La morte di Cloe Bianco, i manganelli sull’indifesa Bruna, sono i preoccupanti sintomi di un odio radicale verso le persone trans* che si manifesta da decenni in questo Paese.
Le persone transgender sono discriminate in ogni ambito, partendo dagli strumenti che lo Stato offre per la loro affermazione di genere, un diritto reso privilegio, vincolato ad una legge molto antiquata, con l’obbligo della terapia ormonale che difatti sterilizza ancora. La legge 164 del 82 prevede un percorso molto lento, standardizzato che si conclude in tribunale, dove si è valutati per la mascolinità o la femminilità e si può essere autorizzati alle operazioni di genere: in Italia non accessibili, con molte tecniche non previste e liste di attesa anche di cinque anni.
Le persone non binarie sono assolutamente escluse da questo disegno, destinate a una condizione realmente invisibile per il sistema. L’inserimento lavorativo è drammatico, soprattutto per le donne trans* escluse dal lavoro per il pregiudizio che le lega automaticamente alla prostituzione. La situazione scolastica e universitaria è ardua per le giovani persone trans*, non avendo una carriera alias spesso abbandonano, chi ha questo diritto spesso ha problemi con amministrazioni inesperte. Per una persona trans* migrante ogni cosa diventa estremamente più complessa per un doppio stigma tangibile, spesso anche all’interno della comunità.
Io non vorrei più sentire di amiche suicide, che rinunciano a sé stesse per un sistema etero cis che ci ha escluso e che miete tante vittime tutti i giorni. Per la gravità delle condizioni delle persone transgender in Italia noi i pride dovremmo farli ogni giorno, come lotta politica necessaria per le nostre vite trans* che sono degne di essere felici, di essere finalmente libere.