Analisi
Le idee economiche dei vecchi democristiani sono ancora attuali
Il Codice di Camaldoli ha ispirato la nostra Costituzione. Una visione modernissima sui rapporti tra Stato e mercato, pubblico e privato. E che potrebbe indicare la strada per combattere le disuguaglianze
La scomparsa di Arnaldo Forlani ultimo grande leader della Democrazia cristiana, che peraltro ho potuto osservare “da vicino” per ragioni personalissime sin dalla mia adolescenza, rende doveroso l’omaggio a quel gruppo formidabile di uomini, che, da qualsiasi prospettiva ci si ponga, hanno garantito i diritti fondamentali a tutti noi. È innegabile infatti il ruolo centrale che hanno avuto nella felice stagione italiana del secondo dopoguerra e nel decisivo processo di integrazione europea. Sono passati ormai trenta anni dalla fine di quella esperienza e non c’è più da prendere posizione per ragioni di parte; è opportuno viceversa analizzarne il sistema “valoriale” di riferimento per recuperarne il senso profondo per l’Italia di domani.
La nostra Costituzione economica, ossia l’insieme dei principi che delineano il modello di società prefigurato dai costituenti (cui è dedicato il titolo III della parte I della Carta), è in larga parte figlia di un gruppo di giovani, provenienti dal Movimento Laureati di Azione Cattolica, che si riunì nel Cenobio di Camaldoli nell’Aretino, nel luglio del 1943.
La riflessione proseguì a Roma sotto la guida dell’Istituto Cattolico di Attività Sociale e produsse nella primavera del 1945 il testo “Per la comunità cristiana. Principi dell’Ordinamento sociale a cura di un Gruppo di studiosi amici di Camaldoli”, comunemente noto come “Codice di Camaldoli”. Un modello che, come ha scritto Giuliano Amato molti anni fa, ha avuto come cifra caratteristica ed unificante la «autonomia delle comunità intermedie, delle aggregazioni che non volontariamente, ma naturalmente si costituiscono fra individui».
Una visione caratterizzata da un controllo sociale dell’economia in cui lo Stato coordina, disciplina ed orienta l’iniziativa economica sullo sfondo di una società in cui sono allocate, ai diversi livelli, le formazioni intermedie, i gruppi sociali e le istituzioni periferiche, in uno spazio di libertà in cui viene garantita la effettiva democrazia politica e la proprietà come frutto del lavoro e del risparmio.
Secondo questa impostazione qualsiasi forma di burocratizzazione, di assistenzialismo, di supplenza pubblica ingiustificata sarebbe stata in contrasto con il fondamentale “principio di sussidiarietà” in quanto intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato provoca la perdita di energie umane e l’aumento degli apparati, pervasi da logiche burocratiche.
Nel “Codice” venivano individuati i principi cui si deve conformare l’attività economica: l’uguaglianza dei diritti; la partecipazione effettiva di tutte le classi alla vita economica, sociale e politica mediante una progressiva educazione alla responsabilità civile; la dignità della persona; la solidarietà; la destinazione primaria dei beni comuni; il libero commercio nel rispetto della giustizia commutativa; la proprietà acquisita nei diversi modi legittimi a cominciare dal lavoro; il rispetto delle esigenze della giustizia commutativa nella remunerazione dello stesso; la giustizia distributiva e legale nell’intervento dello Stato. Il gruppo di Camaldoli affermava infine che un buon sistema economico deve evitare l’arricchimento eccessivo che rechi danno a un’equa distribuzione nell’interesse di tutti.
Quel nucleo fondante democristiano, la cui irruzione in pieno conflitto mondiale colse di sorpresa le vecchie forze politiche moderate e progressiste, antifasciste ma litigiose, avrebbe fortemente ispirato la linea dei decenni successivi nell’implementare le decisive riforme che avrebbero previsto la liberalizzazione degli scambi con l’estero, la politica abitativa (con la Legge Fanfani), la sorprendente crescita del Mezzogiorno (con la Casmez), la riforma agraria, la nascita di enti a partecipazione statale (a cominciare dall’Eni di Enrico Mattei) e le politiche di sviluppo che tenessero conto delle dimensioni del mercato in un sistema economico organizzato su scala continentale europea.
Quanto, infine, ai monopoli, erano ritenuti un inevitabile risvolto del capitalismo avanzato da contenere attraverso il controllo dello Stato per impedirne gli effetti pregiudizievoli sui consumatori. Alle nazionalizzazioni, veniva preferito il modello delle partecipazioni dello Stato che non si sostituiva al mercato ma lo integrava e lo modificava con l’attività economica pubblica, ispirata al «principio fondamentale di procurare una utilità sociale maggiore di quella che i mezzi che l’alimentano avrebbero determinato se lasciati nelle mani dei singoli». L’attività economica pubblica, infatti, avrebbe garantito un’equa attribuzione dei vantaggi offerti ai vari individui ed alle diverse classi sociali, con particolare riguardo alle necessità di chi non è in grado di provvedervi con le proprie forze, con l’esclusione di qualsiasi privilegio nel godimento delle utilità pubbliche. A differenza del pensiero comunista, tuttavia, il controllo dello Stato doveva svolgersi, in questa prospettiva, nel pieno rispetto della dignità della persona e dei corpi intermedi. In definitiva, il pensiero democristiano considerava il “mercato” un’istituzione necessaria ma non sufficiente a garantire i fondamentali diritti della persona umana.
Emerge insomma una “visione” attualissima, forse ancora più moderna di quanto lo fosse allora specie rispetto alle gravi criticità nate dal fenomeno definito, complessivamente e convenzionalmente, “globalizzazione”. Il tramonto dello Stato forte ed interventista, cui abbiamo assistito per effetto delle inefficienze e delle derive clientelari, ha gravemente ridotto la capacità di realizzare i fini solennemente perseguiti dalla nostra Costituzione. Orbene, al di là delle posizioni ideologiche, si deve infatti riconoscere che in questi anni siano aumentate in modo abnorme le disuguaglianze con l’emersione di oligarchie economico-finanziarie che rappresentano la più grave delle minacce al fisiologico funzionamento della democrazia e che, insomma, il pensiero di quegli uomini indica, oggi più di ieri, la strada maestra…