L’emigrazione contemporanea e le reti di volontari fucine di innovazione e di buone pratiche raccontate dalla segretaria generale del Consiglio nazionale degli italiani all’estero

Quest’anno compio vent’anni di emigrazione. Ero una giovane donna in Erasmus, quando sono partita per la prima volta. Zaino in spalla, voglia di esplorare il mondo, di studiare, di mettermi alla prova. Ne vedo a decine arrivare in questi giorni, di ragazzi come la me di allora, nella residenza universitaria che ora dirigo, a Parigi, la Maison de l’Italie.

Se quando sono partita potevamo considerarci come primi fiocchi di neve, è evidente che siamo diventati una valanga. Ed è chiaro anche che i ragazzi di allora cominciano ad avere i capelli bianchi, figli in età da poter fare l’università in Italia e genitori anziani che invecchiano lontano dai loro figli e dai loro nipoti. Se ciascuno fa i conti con l’aspetto privato di questa propria traiettoria di vita, estraendone aspetti festosi e dolorosi, come in tutte le vicende umane, i conti collettivi sono più difficili da fare. Prova ne è che «gli italiani all’estero» rischiano per il dibattito pubblico di essere sempre quei ragazzi sorridenti, con il futuro in tasca, pronti a lanciarsi nell’avventura della vita. Come insetti nell’ambra, cristallizzati in un tempo che non richiede riletture e considerazioni, perché è ancora tutto da scrivere. Eppure vent’anni sono passati.Io li ho passati, nel tempo libero, a fare volontariato nelle reti di italiani all’estero, prima nella Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, poi nel Consiglio generale degli Italiani all’Estero, di cui a giugno sono stata eletta segretaria generale, prima donna e prima expat nella storia dell’istituzione a ricoprire il ruolo apicale.

Non sono sola, siamo quasi duemila volontari all’interno delle istituzioni di rappresentanza di base degli italiani all’estero: ci sono Comitati degli italiani all’estero in più di cento circoscrizioni consolari, siamo in 63 nel Consiglio generale, presieduto dal ministro degli Esteri, e ci sono poi molte Consulte regionali, alcune vere e proprie fucine di innovazione e di buone pratiche. Per non parlare delle migliaia di persone coinvolte nell’associazionismo. Siamo volontari al servizio del nostro Paese per renderlo migliore, anche da lontano. Per tenere vivo il legame, ma anche per essere nodi di una rete concreta, capace di creare opportunità e sviluppo, intrecciata con le istituzioni del nostro Paese, locali e nazionali. Una rete fatta di uomini e donne, giovani e anziani, di expat, ma anche di milioni di profili che non hanno avuto le copertine dei giornali in questi anni, ma sono parte essenziale del corpo sociale di questa nostra Repubblica, con pari diritti.

Nel ruolo che ricopro testimonio della dignità di tutti i percorsi, e della necessità di custodire quanto ottenuto in passato e insieme costruire il futuro. Quando l’8 agosto ho deposto una corona a Marcinelle, l’ho fatto anche per tutti gli expat di oggi e di ieri, che non devono più sentirsi appiattiti in un fotogramma dei loro vent’anni, ma rivendicare da protagonisti la propria appartenenza a una storia di lavoro ed emigrazione che è carne viva di questo nostro Paese.

Siamo ormai il 10% della popolazione italiana a vivere fuori dai confini. Possiamo considerare questa condizione come un’emorragia senza possibilità di scampo, oppure, insieme, come la più bella avventura di coesione civile globale mai scritta.