La Lega rivendica il primato del governo. FdI in imbarazzo e FI invita a non immischiarsi. Mentre il Pd tentenna. Quando l’ipotesi fusione getta in confusione

Fermare Unicredit! L’impazienza è solo leghista. Non la condivide neppure il maggiore partito di governo. Per realizzare il terzo polo bancario e aprire le porte al pluralismo sulla scia del nuovo Mps, bloccare l’assalto a Banco Bpm? Invita alla prudenza Marco Osnato (Fdi), presidente della Commissione Finanze di Montecitorio. «Il multipolarismo bancario è sicuramente una risorsa per il tessuto socio-economico della nostra nazione, ma è anche vero – dice – che il mercato ha le sue regole e le sue dinamiche, certamente vigilate dagli organismi competenti che sono e devono restare autonomi dalla politica. Allo stesso tempo la politica è giusto che analizzi il contesto e dia anche una sua opinione, senza però trasformarsi in una realtà dirigista». L’offerta di pubblico scambio (ops) lanciata da Unicredit, con un ruolo centrale dell’amministratore delegato Orcel, ostacola il progetto avviato dal ministro Giorgetti: spezzare il duopolio rappresentato da Intesa-San Paolo e da Unicredit inserendo un terzo soggetto costituito da Mps, (dopo che il Tesoro ha ceduto il 15 per cento), Bpm, Anima (società di gestione del risparmio con la compresenza di Bpm e Poste italiane) più Caltagirone e Del Vecchio. Un’operazione che suscita forti perplessità fra i cultori del mercato per il ruolo del potere politico (il ministero di via XX Settembre) nel tentativo di ridisegnare il sistema finanziario, fino a quei rischi di “dirigismo” evocati dallo stesso partito della premier. E con una posizione del tutto defilata di Forza Italia che poi non si è associata neppure alla reprimenda di Giorgetti contro Orcel, ritenendo, il vicepremier Tajani, che la politica non dovesse «immischiarsi». È in campo, secondo gli Azzurri, «il libero mercato in un Paese membro dell’Unione europea». 

 

Nella Lega ad uscire allo scoperto ancora più di Giorgetti, è stato Salvini che, appena tre giorni prima della manovra di tutt’altro segno comunicata solo all’ultimo momento da Orcel al ministero dell’Economia, aveva annunciato in modo trionfalistico: «Adesso Mps è tornata appetibile, produce utili, corre in Borsa e l’unione con Bpm la porta a essere il terzo polo italiano, spero delle piccole e medie imprese, perché tante banche così italiane non sono più». A Salvini interessa Bpm per gli evidenti riflessi politici su Milano e sul Nord, ma gli preme soprattutto salvaguardare Mps ormai privatizzata. Il punto è che gli argomenti e i toni che il vicepremier utilizza rendono, alla fine, più difficile e isolata la battaglia leghista. Salvini non solo ha espresso una sorta di “sovranismo bancario” contro Unicredit, che pure versa le tasse nel nostro Paese, ma si è anche lanciato in un’offensiva contro Banca d’Italia: sovranismo più populismo. L’accusa nei confronti di via Nazionale è di non aver vigilato, ma Fratelli d’Italia invita a guardare più avanti, perché «la Bce, la Banca d’Italia e la Consob insieme all’Antitrust – sottolinea Osnato – faranno le opportune verifiche come prevede la normativa». Quindi, il compito non spetta solo a via Nazionale.

 

Posizioni diverse nella maggioranza. Quanto ai partiti di opposizione, il Pd ha forse sorpreso chi si aspettava che si sarebbe schierato dalla parte di Unicredit, dopo le intemperanze leghiste e la golden power evocata da Giorgetti in risposta alla mossa dell’ad Orcel. Non tragga in inganno la presenza, nell’Istituto finanziario internazionale, di Carlo Padoan, presidente dopo essersi dimesso da deputato, ma soprattutto ex ministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, e ancora prima consigliere economico di D’Alema e di Amato a Palazzo Chigi. Secondo i Cinque Stelle, non da oggi, «un gigantesco conflitto di interesse». Ma, intervistato da La Repubblica, Antonio Misiani, responsabile Finanza del Nazareno, ha collocato il maggiore partito di opposizione su una posizione critica: «L’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Bpm solleva molti interrogativi. Noi siamo sempre per il pluralismo del sistema bancario, il duopolio non è certo un assetto ottimale». Una cauta apertura al terzo polo. E «ci può stare – ha aggiunto Cecilia Guerra, deputata del Pd, ex sottosegretaria all’Economia nei governi Conte 2 e Draghi – anche il golden power se si tratta di difendere asset strategici». In più i 6.000 esuberi, paventati dall’amministratore delegato di Bpm Castagna, sono anche uno strumento di pressione su partiti e sindacati affinché si schierino contro Unicredit. Taglia corto Carlo Calenda: «È assurdo – dice il leader di Azione – pensare che la politica, con tutte le crisi che ci sono, si metta anche a decidere quali banche debbano comprare altre banche. Siamo nani rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Il fatto che Unicredit cresca è positivo per l’Italia». Vedremo se a raffreddare le tensioni saranno, come ipotizza il quotidiano Milano Finanza, le possibili rassicurazioni sull’autonomia e sull’intangibilità di Mps da parte di Orcel nell’ops su Bpm, istituto che ha, in pancia, il 5 per cento della banca senese. Evitare che quest’ultima finisca nell’orbita di Unicre- dit, infatti, è importante per Giorgetti-Salvini. Solo così il progetto del terzo polo potrebbe forse sopravvivere. Ma il pericolo è che la politica, interferendo, provochi solo confusione. E farne una battaglia all’insegna dell’«italianità» – poco credibile in difesa di una Bpm partecipata sia dal francese Crèdit Agricole sia dall’americana Blackrock – rischia di non portare da nessuna parte.