Ambiente a rischio
No, l'aria inquinata in Italia non è un problema solo a Frosinone. E non stiamo facendo abbastanza
La città ciociara è in testa alla classifica dell'inquinamento urbano stilata da Legambiente. Ma seguono tutti i capoluoghi della Pianura padana. In un trend che deve essere fermato con decisione. Perché tra sette anni i limiti concessi dall'Unione europea diventeranno ancora più stringenti
Per chi segue le notizie sull’ambiente non è certo una sorpresa: il rapporto Mal’Aria di Legambiente, che ogni anno fa il punto sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane, conferma che chi abita in città respira per almeno due mesi all’anno una pericolosa concentrazione di veleni – microparticelle come PM10 e PM2,5 e gas come biossido di azoto (NO2) e ozono (03). Per molti, anche nel mondo dei media, è stata invece una sorpresa che, nella classifica che generalmente vede tra le città più inquinate i principali centri della Pianura Padana, il primo posto spetti al Lazio: in particolare a Frosinone.
Viene da immaginare il sorrisetto di qualche antiambientalista del nord di fronte a questo sorpasso da parte del capoluogo laziale. Quarantamila abitanti, un’industrializzazione accelerata nel dopoguerra, quando i fondi della Cassa per il Mezzogiorno servirono come risarcimento a una zona rasa al suolo dai bombardamenti alleati (l’80 per cento della città fu distrutto tra il 1943 e il ’44), il capoluogo della Ciociaria sconta la distanza dal mare e la vicinanza alla “valle del Sacco”, una pianura padana in miniatura, nebbia compresa.
L’emergenza inquinamento riguarda l’intera provincia, come gli ambientalisti locali hanno denunciato proprio qualche giorno fa in base ai dati particolarmente allarmanti del gennaio appena trascorso. Le associazioni Fare Verde e Terra Nostra stanno preparando un “Patto per i Sindaci” che impegni gli amministratori a prendere anche «provvedimenti impopolari per tutelare la salute della popolazione, proteggere anziani, bambini, donne incinte e in alcuni casi salvare la vita a chi è fragile di salute».
I “provvedimenti impopolari” di cui si parla a Frosinone sono gli stessi che Legambiente caldeggia per affrontare seriamente una situazione che, secondo i calcoli della European Environement Agency, «in Italia provoca 43mila morti l’anno». Combattere l’inquinamento atmosferico richiede grossi investimenti (per migliorare il servizio di trasporto pubblico, aumentare la rete di centraline di controllo dell’aria, finanziare il passaggio dal riscaldamento a gas a quello "a emissioni “quasi zero”) ma anche cambiamenti nella vita collettiva. E questo sia in città («promuovere l’home working, favorire l’uso di auto elettriche e ampliare le zone ciclo-pedonali») che nelle zone circostanti («vigliare sul rispetto dei regolamenti per lo spandimento e rapido interramento dei liquami, e promuovere investimenti agricoli verso pratiche che riducano le emissioni di ammoniaca»).
Con buona pace dei detrattori dei limiti di velocità da poco introdotti a Bologna, anche secondo Legambiente per un futuro meno inquinato i sindaci dovranno stabilirli perché «la città30 è non solo più pulita, ma più sicura e realmente inclusiva». Nelle metropoli europee che hanno già introdotto il limite di velocità, la riduzione dell’inquinamento è stata intorno al 30 per cento: questo permetterebbe di affrontare con più serenità l’abbassamento dei limiti che entrerà in vigore nel 2030. Con i valori permessi dal 2030 calcola Legambiente, ben il 69 per cento delle città italiane sarebbe costantemente a rischio sforamento. Quest’anno, agli sforamenti record di Frosinone (70 giorni su 365) fanno seguito Torino (66), Treviso (63), Mantova, Padova e Venezia con 62. Poi, tra le altre, Verona (55), Milano (49) Asti (47), Brescia e Monza (40). Un monopolio padano interrotto solo da Napoli: la centralina dell’Ospedale Pellegrini ha segnato sforamenti per 36 giorni (come Ferrara).
La concentrazione di sostanze inquinanti supera i limiti imposti dalla comunità europea e i valori suggeriti dall’Oms anche se, per una situazione anomala dal punto di vista meteorologico che è stata fatta risalire al riscaldamento globale, i dati sono risultati leggermente migliori dell’anno precedente. In effetti nel 2023 18 città sulle 98 monitorate hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10 per 35 giorni: erano state 29 nel 2022 e 31 nel 2021. Ma questo, commenta Legambiente «è principalmente attribuibile alle condizioni meteorologiche “favorevoli” che hanno caratterizzato il 2023, anziché a un effettivo successo delle azioni politiche intraprese per affrontare l’emergenza smog». Spesso anzi i politici italiani hanno remato contro: «È cruciale che il Governo non ostacoli ulteriormente questo percorso, evitando deroghe e clausole che possano giustificare ritardi nel raggiungimento degli obiettivi» stabiliti dall’Unione europea.
Un pericolo che sarà fatto presente da Legambiente nella campagna Città2030, iniziata in questi giorni, che fino al 6 marzo farà tappa in 18 capoluoghi per sensibilizzare amministratori e cittadini sulla necessità di impegnarsi per città più sane e sicure. Anche a costo di diventare impopolari presso gli elettori o nella propria cerchia di amici.