In occasione del voto che ha assegnato il quinto mandato al presidente Aliyev, il Comitato elettorale ha ospitato Caita e Di Giuseppe di Fratelli d'Italia e Gruppioni di Italia Viva: tutti entusiasti della grande prova di democrazia di Baku. Al governo di Roma conviene non disturbare troppo l'Azerbaigian che ci vende gas e petrolio

Questa è esemplare per una lezione italiana di realpolitik. Siccome l’Azerbaigian ci sfama col metano venduto a buon prezzo, non appassiona per nulla concionare sui diritti umani, civili, sociali del popolo azero oppure sui profughi armeni estirpati dal Nagorno Karabakh. Quando non conviene, è meglio soprassedere con i princìpi morali. Perché Roma è assidua cliente di Baku. Le condizioni sono politiche, più che di contratto. Le proteste sono mal tollerate. Il composto silenzio è assai gradito. Però le lusinghe – ah, le lusinghe – gratificano il regime azero. Come quelle di un terzetto di parlamentari italiani che ha accettato l’invito in Azerbaigian per monitorare le elezioni presidenziali straordinarie convocate il sette febbraio da Ilham Aliyev per attribuirsi il quinto mandato. Si tratta dei deputati Salvatore Caiata e Andrea Di Giuseppe di Fratelli d’Italia e Naike Gruppioni di Italia Viva. Illustri ospiti del governo di Baku che, ha ricostruito L’Espresso, sono tornati in Italia con un carico di entusiasmo e magari di preziosi insegnamenti. A differenza dei colleghi europei che hanno visitato i seggi azeri per l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) e hanno riscontrato un voto senza concorrenza, senza oppositori, senza giornalisti. Non libero.

 

La coppia patriota Di Giuseppe e Caiata, più Gruppioni, membri della commissione Esteri, ha trascorso a Baku tre giorni abbastanza faticosi: partenza il 6 febbraio; il 7 perlustrazioni ai seggi; l’8 incontro con Sahiba Gafarova, presidente dell’assemblea parlamentare; il 9 ritorno in Italia dopo patinate conferenze stampa. Ciascuno ha raccontato ai media azeri un aspetto della formativa esperienza. Gruppioni ha notato la partecipazione spontanea: «Vorrei che in altri Paesi del mondo fossero interessati alle elezioni come in Azerbaigian». Di Giuseppe ha apprezzato la mobilitazione dei ragazzi: «Ho incontrato molti giovani, un fatto positivo e in controtendenza rispetto all’Italia e all’Europa, dove sono restii a votare. Sono segnali importanti in un processo democratico. Nel nostro Paese dobbiamo fare riscoprire alla gente l’amore per la politica e riportarla a votare». Il meno loquace Caiata ha elogiato la «trasparenza».

 

 

Ormai l’Azerbaigian, ex Repubblica sovietica con legami sempre più avvolgenti con la Russia, è il secondo fornitore di metano per l’Italia. In classifica segue la più vicina Algeria, altro preclaro campione di democrazia. Algeri e Baku hanno rimpiazzato Mosca. Vladimir Putin ha soddisfatto per vent’anni il fabbisogno energetico di Roma e di fatto l’ha sottomessa con la serena complicità dei governi italiani. Il consumo di metano s’è ridotto lo scorso anno calando a 61,5 miliardi di metri cubi. Era già successo una decina di anni fa. Per fattori produttivi e climatici. Nonché per i costi alti che inducono le famiglie a risparmiare. A ogni modo, e nonostante le variazioni di consumo, nel 2023 il gasdotto Tap ha trasportato sulle coste del Salento circa 9,2 miliardi di metri cubi di metano azero. Oltre il dieci per cento dei rifornimenti annuali. La bilancia commerciale fra Roma e Baku non pende verso Baku: è piegata su Baku. Roma esporta merci per 400 milioni di euro e ne importa, soprattutto metano e pure petrolio, per circa 12 miliardi: erano 20 nel 2022 per l’inflazione, attorno a 9 nel 2021, una media di 5 in precedenza. L’apporto di Roma è fondamentale per il prodotto interno lordo di Baku che è di 50 miliardi di euro. Per riequilibrare una relazione economica che potrebbe imbarazzare, il governo Meloni cede volentieri un tipo di prodotto che i regimi poco democratici o per niente democratici reclamano con insistenza: armi. A giugno Roma ha venduto a Baku un C27J Spartan, aereo per il trasporto tattico di Leonardo. Qualche decina di milioni di euro. Un bel segnale per la promettente cooperazione nel settore Difesa agevolata da un viaggio nel gennaio 2023 del ministro Guido Crosetto. A settembre l’esercito azero, però, ha ripreso a martellare il territorio conteso del Nagorno Karabakh e dunque la martoriata popolazione armena della defunta Repubblica dell’Artsakh.

 

Il secolare conflitto è finito con la resa degli armeni e decine di migliaia di profughi. La risoluzione del Parlamento europeo (4 ottobre 2023) ha parlato di «pulizia etnica»: «Deploriamo il numero di morti e feriti causato dal recente attacco a opera dell’Azerbaigian, esprimiamo solidarietà agli armeni del Nagorno Karabakh che sono stati costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre ancestrali; riteniamo che la situazione attuale equivalga a una pulizia etnica». Per capitalizzare la vittoria issando la bandiera azera nel Nagorno Karabakh, il presidente Aliyev ha indetto elezioni anticipate per ottenere il quinto mandato consecutivo e restare al potere almeno sino al 2031. Aliyev è subentrato vent’anni fa al padre Heydar, figura di assoluto rilievo ai tempi dell’Unione Sovietica e poi fondatore dell’Azerbaigian indipendente. Con la repressione del dissenso, gli arresti dei giornalisti e una competizione farsesca, Aliyev ha trionfato col 92 per cento dei voti e un’affluenza del 76 per cento. Che i capi siano dittatori o autocrati, ai regimi non democratici la supponenza occidentale non piace più. Così il Comitato elettorale centrale, non proprio un organismo imparziale, ha allestito il suo controcanto. Ha portato a Baku “osservatori” di chiara provenienza democratica e li ha mostrati alla popolazione con interviste e dichiarazioni amplificate dall’agenzia di stampa statale Apa. Per l’Italia bastava scegliere. Il gruppo di amicizia interparlamentare è parecchio attivo e lo presiede Marco Scurria (FdI) che in passato è andato a Baku a celebrare i cent’anni dalla nascita di Heydar Aliyev con Ettore Rosato (Iv) e Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri con Mario Monti diventato politico con Giorgia Meloni. I tre parlamentari Caiata, Di Giuseppe e Gruppioni si sono definiti «osservatori». In nome e per conto di chi? Non erano col gruppo Osce, peraltro composto da sei italiani, quattro deputati e due senatori di estrazione mista. Di Giuseppe e Gruppioni sono risultati assenti per la Camera, mentre Caiata in missione per Ince, l’Iniziativa Centro Europeo. L’Espresso ha contattato i tre parlamentari. Di Giuseppe ha spiegato di aver assolto anche il suo ruolo di presidente del Comitato per il Commercio internazionale. La sua vicepresidente Gruppioni ha precisato di avere riportato ciò che ha visto, nessuna rielaborazione, nessuna opinione. Una sorta di asettica cronista. Caiata non ha risposto. Evidentemente il modello azero l’ha incuriosito parecchio. E lo sta provando.