Serve gestire i bisogni produttivi, in crisi con la decrescita demografica, e la ripresa della nostra emigrazione. Ma si preferiscono gli slogan

Il report realizzato dal sistema informativo Excelsior–Unioncamere sulle “ Previsioni occupazionali in Italia a medio termine”  prevede nel periodo 2024-2028 un fabbisogno tra 3,1 e  3,6 milioni di unità, pari a 630-730 mila all’anno, concentrato per più del 70% nei servizi. Un trend  sostanzialmente in linea con quello del periodo 2019-2023 (600 mila  entrate nei servizi sul totale di 893.000 entrate). La  diminuzione della forza lavoro tra il 2019 e il 2023 è stata  di circa 1,3 milioni di addetti (meno il 2,4%). Un fenomeno che  differenzia il nostro Paese rispetto ad altri Paesi europei. 

 

Negli ultimi quattro anni, infatti, in Spagna la dinamica registra un aumento di  600 mila unità. In Francia e Germania  la  situazione è stazionaria.  Il saldo negativo della forza lavoro di fronte alle necessità rilevate del  report Excelsior-Unioncamere ripropone la questione dei flussi migratori in ingresso. Un fenomeno  che  diventa persino più stringente per la ripresa di flussi di italiani che emigrano, attirati da migliori occasioni professionali e salari più remunerativi.  

 

Il respingimento e l’espulsione, gridati ad alta voce dal governo non hanno ridotto la pressione migratoria. Nel 2023 gli ingressi sono cresciuti del 50%. Va preso il toro per le corna. Va pensata una nuova politica. Vanno rivisti i meccanismi di ingresso degli immigrati. Va ripristinata la programmazione triennale delle quote di ingresso di lavoratori stranieri. Respingere gli immigrati in cerca di lavoro con la “paura della sostituzione etnica” è stupido. Il pane si fa con la farina; la produzione nell’industria e nei servizi con la forza lavoro.

 

L’emigrazione dovrebbe diventare uno degli assi centrali del piano Mattei che ha un senso se condiviso politicamente e finanziariamente a livello europeo, unitamente alle azioni rivolte a far uscire dal bisogno i popoli dei Paesi africani. Indipendentemente dai risultati che saranno  conseguiti ci vorranno decenni prima che  quei Paesi possano risolvere i problemi occupazionali. Nel medio periodo l’emigrazione continuerà a essere una soluzione. Per questo i flussi migratori dovrebbero diventare una leva  del piano Mattei al pari degli interventi di natura economica e sociale.

 

In un simile scenario, come indicato nel numero di marzo di Limes, le medie e grandi imprese italiane dovrebbero essere coinvolte per attivare corsi di formazione professionale  degli aspiranti lavoratori non comunitari nei Paesi di origine o di transito. Per il fabbisogno delle piccole imprese dei vari settori, invece, l’avviamento al lavoro di giovani aspiranti a emigrare dovrebbe essere risolto con interventi diretti del governo italiano in modo da poter soddisfare le necessità  indicate dai flussi migratori.

 

Il governo potrebbe cogliere due piccioni con una fava: impegnarsi da un lato a far crescere il sistema economico locale nei Paesi africani come annunciato nelle linee del piano Mattei e dall’altro creare le condizioni idonee per preparare la forza lavoro per soddisfare le necessità di un Paese in cui la popolazione attiva continua a ridursi (circa 8 milioni in meno nel 2050), aumentano gli anziani, diminuiscono i giovani e le culle sono sempre più vuote (meno 14 mila rispetto al 2023).