Mattarella commemora l'eccidio di Brescia con i familiari delle vittime. Ecco le verità accertate in mezzo secolo di indagini: condanne definitive per il capo veneto di Ordine nuovo e un informatore del Sid. Ma i processi continuano

La strage di Piazza della Loggia non è rimasta impunita: c'è una verità storica e giudiziaria che va ricordata e tramandata alle giovani generazioni. Per farlo, a nome di tutti i cittadini, a Brescia interviene il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una data che invita alla memoria: sono passati cinquant'anni esatti dall'attentato del 28 maggio 1974, che provocò un eccidio tra la folla riunita nella piazza simbolo della città per una manifestazione democratica contro il terrorismo neofascista. La bomba, esplosa alle 10.12, causò 8 morti e 102 feriti, che per più di quarant'anni non hanno avuto giustizia. Le prime condanne sono state inflitte nel 2015 e confermate in via definitiva dalla Cassazione nel 2017. Ora stanno per aprirsi due nuovi processi contro altri presunti esecutori, due neofascisti veronesi che all'epoca erano giovanissimi (uno era minorenne) e vivono da tempo all'estero.

Per conoscere e capire cosa si è scoperto in mezzo secolo di indagini, pubblichiamo alcuni estratti del libro "La ragazza di Gladio e altre storie nere: la trama nascosta di tutte le stragi”, scritto da Paolo Biondani , giornalista de L'Espresso, per la collana Fuoriscena di Rcs, con prefazione di Benedetta Tobagi. È un testo che ricostruisce i fatti accertati nei processi, comprovati da sentenze definitive, con l’obiettivo di fornire le informazioni essenziali, verificate, incontestabili (e solo quelle) sulle stragi di stampo eversivo che hanno insanguinato l’Italia dal 1969 al 1980, da Piazza Fontana a Bologna, e sulla strategia del terrorismo mafioso che ha continuato a colpire il nostro Paese dal 1984 fino al 1993. La prima parte del libro, che è dedicato ai familiari delle vittime, riguarda proprio l'attentato di Piazza della Loggia.


I processi sulla strage di Brescia dipanano un'altra trama nera, che da Brescia porta a Venezia. Qui, sull'isola della Giudecca, vive il dottor Carlo Maria Maggi, uomo dalla doppia vita, medico e super terrorista. (…) Secondo tutti i giudici che lo hanno processato, è provato che Maggi «aveva la disponibilità di armi ed esplosivi»; «propugnava azioni violente a scopi eversivi»; «aveva contatti anche con l’estrema destra bresciana»; «era il capo di un gruppo neofascista con un programma eversivo in linea con la strage di Brescia»; e dopo l’eccidio «ha proclamato che non doveva rimanere un fatto isolato». (...)

 

Carlo Digilio era un esperto di armi ed esplosivi. Segretario del poligono di tiro di Venezia, frequentato dai peggiori neofascisti di mezza Italia, faceva parte del gruppo veneto di Ordine nuovo, capeggiato dal dottor Maggi, con un ruolo di primo piano che però veniva tenuto «occulto», per non esporre un complice della sua importanza. È stato processato e condannato insieme a Maggi, in tutti i gradi di giudizio, per associazione terroristica e ricostituzione del partito fascista. Ha però evitato il carcere ed è riuscito a scappare grazie a una soffiata (in odore di servizi deviati). Dal 1982 è vissuto da latitante all’estero, con altri terroristi neri. È stato arrestato a Santo Domingo ed estradato in Italia nel 1992. Poi è diventato un collaboratore di giustizia, ma ha continuato a nascondere una parte della verità, per minimizzare le proprie responsabilità (…) All'epoca delle stragi, era lui stesso a mettere a punto le armi e gli ordigni esplosivi su richiesta del suo capo, il dottor Maggi. (…)

 

La sentenza milanese del 2015 riassume anni di indagini e processi, depurati da tutti gli elementi dubbi, in pochi «punti fermi». (…) Punto primo. Digilio, nella primavera del 1974, ha partecipato a due riunioni con Maggi e il suo guardaspalle, un neofascista veronese di Ordine nuovo, Marcello Soffiati. Nella prima, alla presenza di alcuni «esponenti dell’ala più dura della destra eversiva», Maggi e Soffiati hanno proposto e discusso una campagna di «attacchi violenti ai rossi», per «frenare l’avanzata elettorale della sinistra». Nella seconda, ristretta a «pochissimi intimi», Maggi «ha preannunciato un imminente attentato nel Nord Italia». (...)

 

Punto secondo. Qualche giorno dopo queste riunioni, Marcello Soffiati ha trasportato una valigetta di esplosivo da Venezia a Verona, per ordine di Maggi. Digilio l’ha vista, perché Soffiati gli ha chiesto di esaminarla, nel suo appartamento-covo in via Stella, nel centro storico scaligero, e di metterla in sicurezza per il trasporto. Era un ordigno composto da una quindicina di «candelotti di dinamite di tipo gelatinoso, malleabile, con un timer fabbricato con una sveglia». Digilio è intervenuto e ha fatto le modifiche necessarie a evitare rischi nel trasporto. (...)

 

Punto terzo. Lo stesso giorno, poco prima della strage di Brescia, Soffiati è ripartito da Verona con la valigetta di esplosivo, dicendo che, sempre per ordine di Maggi, doveva portarla «a Milano a qualcuno delle Sam» (il gruppo terroristico che operava anche a Brescia). Poi, pochi giorni dopo l’attentato in Piazza della Loggia, Digilio ha rivisto Soffiati e lo ha trovato «molto provato». Il neofascista veronese gli ha detto di essersi «sganciato» da Ordine nuovo e per qualche mese «è sparito dall’Italia». (…)

 

Alle riunione preparatorie della strage di Brescia era presente anche un neofascista pagato dai servizi segreti come informatore, Maurizio Tramonte. (…) In effetti, lui informava davvero gli ufficiali del Sid. Che sui progetti dei terroristi di destra ricevevano notizie in diretta , proprio da lui, ma invece di intervenire, lasciavano fare gli attentati (…).

 

Questi «punti fermi» hanno trovato innumerevoli conferme e riscontri. Decine di neofascisti veneti testimoniano, in diversi processi, che Maggi aveva effettivamente un arsenale di armi ed esplosivi, in particolare dinamite gelatinosa (detta anche gelignite o jelly), e lo teneva nascosto nello scantinato di un bar-trattoria di Venezia, ritrovo abituale dei neofascisti. Lo confermano perfino diversi affiliati di Ordine nuovo che facevano parte del suo gruppo e furono ospitati da lui in quei locali, per mesi, mentre erano latitanti. Carlo Maria Maggi, inoltre, non era solo un teorico dello stragismo: aveva già organizzato diversi attentati dinamitardi fin dal 1969, l’anno d’inizio del terrorismo politico in Italia. (…)

 

Un riscontro notevole arriva da un vecchio verbale della polizia di Verona, che il 21 dicembre 1974 ha arrestato Marcello Soffiati, dopo avergli trovato in casa un arsenale. Quegli atti ingialliti dimostrano che, sette mesi dopo la strage di Brescia, quel neofascista amicissimo di Maggi si teneva ancora in casa, con diverse armi e munizioni da guerra, anche «dieci candelotti di dinamite». (...)

 

Soffiati è molto legato al «dottore», che lo ha selezionato dal 1969 come capo di Ordine nuovo a Verona, e gli fa da guardaspalle armato. Le indagini sulla strage rivelano che il neofascista veronese in quegli anni ha forti agganci anche nei servizi segreti. (…)

 

La sentenza finale della corte d’assise d'appello di Milano rende verità e giustizia, finalmente, alle vittime di Brescia, con le prime condanne che poi diventano definitive, all’ergastolo, per due neofascisti: il capo dell’ala stragista di Ordine nuovo, Carlo Maria Maggi, come organizzatore, e il collaboratore del Sid, Maurizio Tramonte, come complice degli esecutori. Entrambi hanno continuato a proclamarsi innocenti. Maggi ha evitato di tornare in carcere per problemi di salute: è morto a casa sua, agli arresti domiciliari, nel dicembre 2018. Tramonte ha tentato, senza successo, di ottenere una revisione della condanna ed è l’unico a restare in prigione. (...)

 

La sentenza finale conferma anche il ruolo centrale di Digilio, che fabbricò la bomba. E dichiara pienamente provate le responsabilità dell’intera catena gerarchica di ufficiali del Sid (poi risultati tutti affiliati alla P2) che nascosero e poi bruciarono le informative di Tramonte con il preannuncio della strage.