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Per gli Stati Uniti il bombardamento israeliano alle tendopoli di Rafah: «Non ha superato la linea rossa»

di Simone Alliva   29 maggio 2024

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Le polemiche per le parole di Tarquinio sullo scioglimento della Nato. Meloni si vendica con De Luca. La riforma della giustizia oggi in Cdm. La Georgia approva la legge russa sugli agenti stranieri. I fatti da conoscere

Per gli Stati Uniti il bombardamento della tendopoli di Rafah: «Non ha superato la linea rossa»
Il bombardamento della tendopoli di sfollati a Rafah, nel sud della striscia di Gaza, «non ha superato la linea rossa» cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha vincolato la prosecuzione degli aiuti militari a Israele. Lo ha dichiarato ieri il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby. «Non ho alcun cambio di politica da comunicare a seguito dell'attacco di domenica. È semplicemente accaduto. Gli israeliani indagheranno, e ci interesseremo molto ai risultati delle loro indagini. Vedremo come muoverci in seguito», ha dichiarato il funzionario.

Il mese scorso Biden ha ammonito che una invasione di terra di Rafah spingerebbe Washington a sospendere gli aiuti militari a Israele. Nelle ultime settimane, però, il presidente Usa è parso tornare sui suoi passi, anche a seguito della durissima reazione di esponenti bipartisan del Congresso, che l'hanno accusato di voler abbandonare il principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente. Nei giorni scorsi le Forze di difesa israeliane hanno intensificato i bombardamenti contro obiettivi a Rafah, e l'attacco contro un campo profughi dello scorso fine settimana, che ha provocato circa 50 vittime civili, ha suscitato dure condanne internazionali. Nelle scorse ore, i carri armati israeliani si sarebbero spinti sino al centro di Rafah, ma la Casa Bianca sostiene che le operazioni non costituiscano ancora una invasione di terra in piena regola.

 

Ucraina: Ue divisa su armi oltre confine e truppe. Putin: "Così la guerra globale è più vicina"
Permettere agli ucraini di colpire sul territorio russo con le armi occidentali e inviare soldati sul suolo ucraino aiuta Kiev o aumenta l'escalation? L'Ue è divisa sul prossimo passo da compiere per aumentare il sostegno e salvare l'Ucraina. La rimozione delle restrizioni sull'uso delle armi date all'Ucraina «è un'azione legittima ai sensi del diritto internazionale quando viene utilizzato in modo proporzionato, è anche chiaro che è una decisione che ogni singolo Stato membro deve prendere e assumersi la propria responsabilità nel farlo o meno», ha osservato l'Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, che non si dice contrario ma fa notare che «bisogna bilanciare il rischio di escalation e la necessità che gli ucraini si difendano».

All'inizio del conflitto tutti gli Stati erano contrari a questa ipotesi ed era stato deciso di non varcare questo limite. Ora «alcuni hanno cambiato idea e oggi accettano di far cadere questa limitazione», ha rimarcato Borrell. «Gli ucraini devono poter neutralizzare le postazioni militari da cui viene attaccata l'Ucraina», rimarca il presidente francese Emmanuel Macron, che aggiunge un dettaglio importante: «Ma non dovremmo permettere loro di colpire altri obiettivi in Russia». Non poter colpire quelle postazioni «significherebbe dire loro 'vi stiamo consegnando armi, ma non potete difendervi'. I baltici e la Polonia premono più di tutti per alzare il livello del sostegno. Per il ministro degli Esteri di Varsavia, Radoslaw Sikorski, l'invio di truppe polacche in Ucraina "non andrebbe escluso" perché "dovremmo lasciare Putin col fiato sospeso sulle nostre intenzioni».

L'altro tema è la prosecuzione dell'addestramento dei soldati ucraini - che finora è stato fatto principalmente in Polonia coinvolgendo nella formazione 50mila militari - sul suolo ucraino. «Non c'è una chiara posizione comune europea al riguardo», riferisce Borrell, spiegando che, se c'è il vantaggio di non spostare le persone e di addestrarle in uno scenario di guerra, c'è anche il rischio di avere la presenza di militari sul territorio ucraino. L'invito a liberare le armi dai vincoli territoriali lanciato dal Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che oggi ha parlato ai ministri della Difesa Ue riuniti in Consiglio, trova un'apertura in Borrell, ma la palla rimane nel campo degli Stati. A Roma però il ministro Matteo Salvini non l'ha presa bene. Dopo Stoltenberg e Macron, questa volta prende di mira l'Alto rappresentante Ue, definendolo «bombarolo» e bollando le sue dichiarazioni come «farneticanti». «Teoricamente dovrebbe rappresentare anche me e il popolo italiano ma non parla il mio nome, non parla il nome del popolo italiano», commenta. Parole incendiarie anche da Vladimir Putin, che dice di ricordare il segretario generale della Nato quando «non soffriva di demenza». «I leader della Nato devono essere consapevoli con chi stanno giocando», ha detto lo zar durante la sua visita in Uzbekistan, commentando la possibilità di permettere a Kiev di lanciare attacchi contro obiettivi in Russia. Non solo: l'invio di truppe occidentali in Ucraina «è un'escalation e un altro passo verso un grave conflitto in Europa e un conflitto globale». Non si lascia intimorire il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che, dopo la tappa spagnola, oggi si è recato in Belgio per siglare con il premier Alexander De Croo un accordo di sicurezza di 10 anni e ricevere l'impegno per 977 milioni di euro di aiuti militari per il 2024 e 30 F-16 che saranno consegnati all'Ucraina fino al 2028, con i primi in arrivo già quest'anno.

 

Sprint del Governo sulla riforma della giustizia. Oggi l'ok del Cdm
Chiudere la partita della separazione delle carriere dei magistrati prima delle Europee portando in Cdm la riforma messa a punto dal ministro Carlo Nordio. L'obiettivo viene ribadito nella maggioranza, dopo l'incontro al Quirinale, dove proprio per parlare della riforma si sono recati in serata il Guardasigilli Carlo Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Al netto dei contenuti, che investono in modo diretto le prerogative del capo dello Stato come presidente del Consiglio superiore della magistratura, centrale resta il nodo dei tempi del provvedimento, che per Forza Italia è un must, e sul quale la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha messo la faccia assicurandone l'arrivo in Cdm prima del voto di giugno. Questo permetterebbe ad ognuna delle tre forze di maggioranza di presentarsi agli elettori con una riforma 'bandiera' messa a segno: quella della giustizia, da sempre cavallo di battaglia del partito fondato da Silvio Berlusconi, arriva dopo il premierato, spinto da Fratelli d'Italia, e l'autonomia differenziata, fortemente voluta dalla Lega. Secondo quanto si apprende, il disegno di legge 'Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare', sarà esaminato nella riunione del Consiglio dei ministri in programma oggi alle 13. Quanto al merito, il provvedimento del ministro Nordio separa in modo netto le carriere tra magistratura giudicante e requirente. Nell'ipotesi allo studio dell'esecutivo, a quanto filtra, si arriverebbe a un Consiglio superiore della magistratura diviso in due diverse sezioni, i cui membri sarebbero scelti tramite sorteggio. Dividere il Csm in due, scartando l'idea di due diversi consigli, che pure è circolata in queste settimane, permetterebbe senza ulteriori cambiamenti di confermare il ruolo di presidente al capo dello Stato. Si punta anche a eliminare la sezione disciplinare del Csm per individuare un'Alta corte cui spetterà il giudizio sugli illeciti disciplinari di tutti i magistrati, anche quelli amministrativi, contabili e tributari. Da ultimo, non è escluso che nel provvedimento entri anche l'inserimento in costituzione del ruolo dell'avvocatura.

 

Meloni si vendica con De Luca: "Come sta? Sono la stronza"
Per tre mesi il sassolino lo ha tenuto nella scarpa. Ma quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata a Caivano per l'inaugurazione del centro sportivo e si è trovata di fronte il governatore della Campania Vincenzo De Luca, non ci ha pensato due volte. Gli ha stretto la mano e senza giri di parole è andata dritta al punto, con fare tutt'altro che improvvisato: «Presidente De Luca, quella stronza della Meloni, come sta?». Una citazione, davanti ad autorità e telecamere, dell'insulto che De Luca le aveva rivolto lo scorso 16 febbraio, parlando con i giornalisti alla Camera in una situazione meno formale. «Benvenuta, bene di salute», le ha detto uno stupefatto governatore.

I 'botta e risposta' tra i due non sono davvero mai mancati. Così come in generale le tensioni fra Regione e governo, anche sui Campi Flegrei, tema di una riunione tenuta a Palazzo Chigi dalla premier di rientro a Roma. A febbraio, quando De Luca guidò, a Roma, la protesta dei sindaci campani sul mancato sblocco di risorse, Meloni, che quel giorno era in Calabria, di quella protesta disse: «Se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più». De Luca sbottò poco dopo in Transatlantico: «Meloni? Senza soldi non si lavora. stronza, lavori lei». A tre mesi di distanza, la staffilata della premier è accolta con entusiasmo dentro FdI. «Giorgia, insegnaci la vita», il post con cui viene rilanciato il video sul profilo di Atreju, la kermesse del partito. Ma il duello a distanza sembra destinato a continuare. Alla vigilia della visita a Caivano il governatore, che da mesi attacca quotidianamente il Governo per la mancata firma dell'accordo sul fondo di coesione, era stato pessimista sulla possibilità di parlare del tema con la premier a margine dell'inaugurazione del nuovo centro sportivo: «Non credo che ci sarà possibilità di dialogo, sarà una comparsata come sempre in questo periodo elettorale, andiamo avanti a passeggiate anche quando magari il tuo governo non c'entra assolutamente niente con le opere in questione». Un riferimento alla visita di Salvini al cantiere del molo Beverello finanziato dalla Regione. Dal palco di Caivano, la premier - De Luca in prima fila - per la seconda volta è andata dritta al punto: «Voglio dire senza polemica al presidente De Luca che se tutte le volte che la politica passeggia portasse questi risultati, avremmo sicuramente una politica più rispettata dai nostri cittadini, quindi continueremo a passeggiare». La risposta del governatore? «Credo che non abbia avuto una informazione corretta, non ho mai parlato di passeggiate a Caivano - ha detto al termine della cerimonia - Ha fatto una polemica del tutto sbagliata e fuori contesto. Mi ero permesso di prendere in giro un po' Durigon ieri per la passeggiata che abbiamo fatto al molo Beverello. Ma sono esponenti di governo che non hanno molta ironia, sono molto nervosi in questo periodo». Qualcuno prova ad andare oltre. Gli chiede se con Meloni si sono salutati, se per caso hanno parlato dell'accordo sul Fondo di coesione. Ma De Luca, forse anche pensando alla 'vendetta' della premier, sorride e glissa: «Siamo persone educate, ospitali, abbiamo il senso dell'opportunità quando abbiamo giornate come queste». Anche se la stretta di mano al veleno ha messo in secondo piano il resto, con la cerimonia dopo nove mesi di lavori con la riapertura la storia del centro alle porte di Napoli ha preso una direzione diversa. O almeno questa è la speranza. Lì dove l'anno scorso ci furono abusi e violenze su due bimbe, è nato un centro sportivo dove si potranno praticare 44 discipline, e dal 10 giugno prenderanno il via anche i campi estivi per bambini e ragazzi. «Faremo vincere lo Stato sulla criminalità organizzata, sul degrado, sull'abbandono e la rassegnazione. Certo che è un imperativo gravoso, ma è quello che gli italiani si aspettano da noi ed è quello che faremo», promette la premier. Don Maurizio Patriciello, che a Caivano ha sempre lottato, si commuove sul palco. E si arrabbia anche quando cita tutto quello che è stato fatto "per riportare lo Stato qui». A Meloni si rivolge con il tu, 'grazie Giorgia'. E lei rassicura tutti così: «Avevamo detto che lo Stato avrebbe reagito a Caivano, abbiamo dimostrato che il degrado e l'abbandono non sono un destino ma una scelta. Lo Stato e le istituzioni possono fare la differenza, lo Stato può mantenere i suoi impegni».

 

Marco Tarquinio

 

"Sciogliere la Nato". Bufera su Tarquinio. Il Pd: "Non è la nostra linea"
Sciogliere la Nato: le parole di Marco Tarquinio provocano una allerta generale all'interno del Partito democratico. E non solo in quel pezzo di mondo dem che, come sottolinea il senatore Filippo Sensi, fa della Nato e dell'ingresso dell'Ucraina nella Nato «un manifesto politico». Anche parte della sinistra del partito accoglie con fastidio quello che viene considerata una nuova 'scivolata' dell'ex direttore di Avvenire. «Ci eravamo lasciati appena alle spalle l'incidente sull'aborto...», osserva sconsolato un deputato. Il riferimento è alle parole pronunciate da Tarquinio in una intervista, «l'aborto non è un diritto» e alla parziale rettifica arrivata poche ore fa: «La scelta della donna è una scelta preziosa e io non solo la rispetto, ma la sostengo». L'intemerata sulla Nato arriva, stavolta, dallo studio di Tagadà, su La7: «Dobbiamo capire che le alleanze, se servono, devono essere difensive, e quindi servono a frenare le offese contro l'umanità perché se servono invece a perpetuare la guerra, allora è meglio scioglierle. Sciogliere quelle con Israele», spiega ancora, «perché fermi la guerra e, quindi, non rifornire più niente degli arsenali di Israele». Infine l'affondo sulla Nato: «E magari, per quello che ci riguarda, sciogliere la Nato in Europa, finalmente, e fare un'alleanza tra pari con gli Stati Uniti, sciogliendo il vecchio per costruire il nuovo. Non si fa in un giorno, ma bisogna farlo». Parole che rimbalzano nelle chat dei parlamentari Pd, soprattutto in quelle di quegli esponenti che, dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, si sono schierati per il sostegno incondizionato a Kiev e per l'ingresso del paese nella Nato. "Ukraine, Nato, Now" è, infatti, lo slogan che campeggia su una maglietta nera indossata dal senatore Pd Filippo Sensi che ne pubblica la fotografia sui social. Una t-shirt che diventa, per Sensi, «manifesto politico» come egli stesso scrive nella didascalia che accompagna la foto. Il Nazareno si attiva immediatamente con il responsabile Esteri, Peppe Provenzano, per ribadire la linea del partito: «Noi siamo per un'autonomia strategica europea, che si esprima all'interno delle alleanze internazionali e rafforzando le istituzioni multilaterali. Oggi, questo significa sostenere l'Ucraina, e lavorare per una pace giusta e non per un'escalation. Significa anche avere un protagonismo in Medio Oriente per far cessare il fuoco, rispettare la legalità internazionale e preservare la soluzione dei due popoli, due Stati, con il riconoscimento dello Stato di Palestina», spiega il titolare degli Esteri del Nazareno nella giornata in cui il Pd, M5s e Avs hanno chiesto all'unisono il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell'Italia», In quanto a Tarquinio, «Com'è noto, è un candidato indipendente, le posizioni sulla politica estera e di sicurezza del Pd le esprime il Pd", spiega il dem: «E sono chiare e note. Le abbiamo ribadite nel programma per le Europee e, a chi vuole strumentalizzare, ricordo che la questione della Nato la sinistra italiana l'ha risolta con Berlinguer negli anni Settanta». Intanto, però, l'ala destra delle opposizioni, da Italia Viva ad Azione passando per Più Europa, attivano le loro batterie contro il quartier generale dem. «Il Partito Democratico con Marco Tarquinio dice che per costruire la pace bisogna sciogliere la Nato, sconfessando l'Atlantismo degli ultimi 70 anni», scrive Matteo Renzi sui suoi profili social. «Nel Pd è sempre più evidente la spaccatura tra chi non mette in discussione i principi delle democrazie occidentali e il sostegno a Kiev e chi sceglie la strada del putinismo mascherato da finto pacifismo», dice Matteo Richetti, capogruppo di Azione alla Camera. «Che un candidato autorevole del Pd alle europee, Tarquinio, proprio in questo momento storico, parli di scioglimento della Nato lascia esterrefatti e imporrebbe alla segretaria Schlein di dire una parola di chiarezza», sottolinea Benedetto Della Vedova: «Per noi Stati Uniti d'Europa significa politica estera e di difesa comune e una rinnovata partnership in ambito Nato».

 

La Georgia approva la legge russa sugli agenti stranieri. Michel: "Si allontana dalla prospettiva di adesione a Ue"
Con 84 voti a favore e quattro contrari, il Parlamento della Georgia ha approvato la legge sui cosiddetti "agenti stranieri", superando in questo modo un veto opposto nei giorni scorsi dal capo dello Stato Salome Zourabichvili. Le norme prevedono che le organizzazioni che ricavino più del 20 per cento dei loro finanziamenti da donatori stranieri debbano registrarsi come agenti di un'influenza esterna. La legge è stata sostenuta dal partito di maggioranza, Sogno georgiano. I critici del testo denunciano il rischio di una restrizione degli spazi di libertà e citano il precedente di norme di segno analogo in vigore dal 2012 in Russia. A prendere posizione è stato anche Josep Borrell, Alto rappresentante della Politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea. Secondo il dirigente, «l'Ue e i suoi Stati membri stanno valutando ogni opzione per reagire a questi sviluppi». Ex repubblica sovietica del Caucaso meridionale con meno di quattro milioni di abitanti, la Georgia ha avviato un negoziato in vista di una possibile adesione all'Unione Europea. «A dicembre, il Consiglio europeo ha deciso di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato, a condizione che la Georgia intraprenda i passi pertinenti e le riforme democratiche necessarie. L'adozione della legge sulla trasparenza da parte del Parlamento rappresenta un passo indietro e allontana ulteriormente la Georgia dal percorso verso l'Ue".  Ha scritto su X il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. "Il popolo georgiano - aggiunge - ha chiaramente scelto un futuro nell'Ue e noi faremo di tutto per sostenere le sue ambizioni. Per questo motivo, aggiungerò la Georgia all'agenda del prossimo Consiglio europeo".

 

Il Parlamento della Colombia vieta le corride dal 2027
Il Parlamento della Colombia ha votato a larghissima maggioranza il divieto agli spettacoli di corrida dal 2027. "Abbiamo fatto un passo avanti storico, l'uccisione dei tori sarà vietata nel Paese", hanno scritto i deputati colombiani. La misura, che entrerà in vigore solo tra tre anni, è stata adottata con 93 voti favorevoli e due contrari. Durante questo periodo "transitorio" lo Stato dovrà garantire posti di lavoro alternativi alle persone che dipendono direttamente o indirettamente dalla corrida e adattare le arene del Paese alle attività sportive e culturali. Nel 2018, la Corte Costituzionale ha autorizzato le corride nelle città e nei villaggi con una tradizione taurina, lasciando ai parlamentari il compito di applicare eventuali restrizioni. Così, a Bogotà e Medellin (nord-ovest), le corride non sono più autorizzate dal 2020. Invece, a Cali (sud-ovest), la terza città del Paese, e Manizales (centro-ovest), le corride sono al centro delle feste tradizionali. Al di fuori delle aree urbane, l'allevamento del bestiame occupa un posto molto importante in Colombia. La Colombia si aggiunge così alla lista dei Paesi sudamericani che vietano la corrida, come Brasile, Cile, Argentina, Uruguay e Guatemala.