«La mia squadra è composta da persone che sono con me anche da dieci anni e a maggio e dicembre ci sono giorni di ferie aggiuntivi. Cerco di mettermi nei loro panni, mi chiamano "la psicologa"». Dialogo con la chef della cucina di Glass Hostaria a Roma

L'unico vezzo di Cristina Bowerman, chef stellata di stanza a Roma, è un ciuffo di capelli rosa shocking: «Ho scelto di farlo nel 2015 riportando la tinta dagli Stati Uniti», ricorda. Da allora è un po’ la sua cifra stilistica, così come colorata e contaminata è la sua cucina con quartiere generale nel cuore di Trastevere, dove coordina, con piglio vagamente militare, una brigata di uomini («Controllo tutto, ma sono una che delega. Ho messo la mia assistente in smart working almeno otto anni fa»). Siamo in vicolo del Cinque, che collega piazza Trilussa a via della Scala, dove le botteghe dei «pizzicaroli» hanno lasciato il posto ai «pasta e vino take away», le facciate delle case cinquecentesche necessitano di rinfrescate e le «gattare» sono ormai un lontano ricordo. Così come le canzoni di Gabriella Ferri e di Lando Fiorini.

 

Fin dal tardo pomeriggio, davanti al dehors di Glass Hostaria, una stella Michelin arrivata nel 2010 e tre forchette del Gambero Rosso, i turisti scrutano il menu di stagione proposto da chef Bowerman, anche se è difficile trovare posto senza prenotazione. Cominciamo dai clienti: gli italiani spendono sempre di più per mangiare fuori, ma i locali che sopravvivono sono sempre meno. L’ultimo Rapporto Ristorazione 2024 curato da Fipe-Confcommercio segna un +7 per cento dei consumi, che raggiungono i 92 miliardi di euro. Di contro, il tasso di sopravvivenza delle nuove imprese di settore supera, a cinque anni, appena il 50 per cento. «I ristoratori in generale hanno un grosso problema legato ai contratti di lavoro: per poter aumentare gli stipendi chiediamo minore tassazione e spese deducibili. Oltre all’abbassamento dell’Iva su alcuni cibi», spiega Bowerman che conta su una clientela romana fidelizzata. Così come la forza lavoro. «Molti ragazzi della mia brigata, formata da sedici dipendenti, sono qui da oltre dieci anni, il lavapiatti da quattordici. Cerco sempre di mettermi nei loro panni: forse per questo mi chiamano “la psicologa”. Sono tutti professionisti, ciascuno con il proprio ruolo: i ragazzi di sala, per esempio, non hanno mai pulito il pavimento. Dopo la pandemia ho deciso di chiudere due giorni a settimana e nei mesi di maggio e dicembre possono contare su quattro giorni di ferie in più. Inoltre, tutti gli anni li porto in vacanza in Turchia, nel resort dove gestisco un ristorante (Club Marvy e Buono Italiano by Cristina Bowerman, ndr) perché è la monotonia che ammazza il lavoro, non solo la stanchezza fisica», sostiene.

 

Con Andrea Gollino, suo primo socio

 

Guardando al futuro, nel 2023 un imprenditore su due ha investito nel rinnovo del parco attrezzature e nel potenziamento degli strumenti digitali. «L’evoluzione del nostro settore verso l’utilizzo delle tecnologie sta trasformando radicalmente l’esperienza alimentare. Il concetto di “digital food” si riferisce alla combinazione di tradizione e innovazione, dove la prima è rappresentata dalla cultura dei vari Paesi, dalle ricette, dalle pratiche radicate nelle comunità e tramandate di generazione in generazione, mentre la seconda sta introducendo nuovi metodi di produzione, conservazione e consumo del cibo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di migliorare l’accesso al buon mangiare, ridurre gli sprechi, promuovere pratiche sane e sostenibili». Oltre ad aver aderito a “The Chefs’ Manifesto”, l’iniziativa lanciata da Paul Newnham, presidente della task force sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite che riunisce oltre 1.300 cuochi sparsi nei quattro angoli del mondo, Bowerman è appassionata di scienza in cucina. «Parecchi anni fa interpellai Dario Bressanini, chimico e divulgatore, e, con il suo aiuto, partendo da un processo chiamato retrogradazione degli amidi, ho messo a punto un sistema per cuocere le patate basato su vari passaggi. E l’ho usato per la ricetta degli gnocchetti con bagnacauda, baccalà e pomodorini confit o per quella del cuore di manzo, patate affumicate, caffè e habanero. Che all’inizio veniva servito come un taco». Un po’ «quinto quarto», un po’ tex-mex.

 

Laureata in Giurisprudenza all’Università di Bari («Ma non sono mai diventata avvocata»), città dove è cresciuta e dove vive la sua famiglia, classe 1966, prima di tre figli, Bowerman è stata una studentessa secchiona e, al tempo stesso, una capopopolo. «Decisamente fuori dal coro in una realtà di provincia, seppure grande, e non smetterò mai di ringraziare mia madre Concetta, insegnante, per aver esplorato e assecondato il mio spirito di indipendenza. Mi ripeteva: “Devi lavorare. Devi mantenerti da sola”. E così ho maturato la scelta di andare a vivere negli Stati Uniti. Non volevo fare la turista per caso. Avevo lì un’amica e la raggiunsi. Vendetti persino la macchina», racconta con un pizzico di nostalgia. Florida, Louisiana, Nevada, California furono le tappe di un viaggio iniziato per perfezionare la lingua e rimasto a lungo senza biglietto di ritorno. «Fui assunta in una creperia. Eh sì, il primo piatto che ho preparato è stata una crêpe. Ma ero lontana dall’idea di diventare una cuoca. La svolta nella mia vita professionale arrivò a metà anni ’90 quando entrai a fare parte di una società, a Newport Beach, proprietaria di parecchi ristoranti. In poco tempo ho conosciuto i segreti del mondo della ristorazione a 360°: dal marketing alla grafica, dalla scelta delle materie prime all’organizzazione. Ho anche imparato ad apprezzare il sushi e ho fondato con un’amica la società di catering, The Two Skinny Ladies, ispirata al programma tv inglese “Two Fat Ladies” della cuoca Jennifer Paterson, un personaggio che mi è sempre piaciuto». La laurea in Culinary Arts al “Cordon Bleu” della Texas Culinary Academy arriva nel 2003. «Ad Austin, città verde per eccellenza, pioniera dei ristoranti con orto, affiancati al più grande hub di Apple, ho perfezionato le ricette vegetariane che scrivevo rigorosamente a mano. Da buona pugliese ho sempre amato le verdure, immancabili sulla nostra tavola: i miei genitori cucinavano insieme e la domenica pranzavamo in pigiama, con l’odore del ragù che si sprigionava per la casa», racconta la chef che, recentemente, ha portato in India un’anziana signora di Bari, Anna Giannini, per preparare cavatelli e orecchiette ai mille e duecento invitati di un matrimonio da favola.

 

Nel 2010, anno della stella Michelin

 

Davanti a una birra artigianale ghiacciata, fra l’assaggio di un piatto da inserire nel nuovo menu e uno scambio di pareri con il sous chef di Glass Hostaria, Edoardo Fortunato, toscano, Bowerman («È il cognome del mio ex marito americano, Darryl, che vive in Florida e a cui sono molto legata. Il mio sarebbe Vitullo, erroneamente registrato come Vitulli») parla del suo ritorno in Italia, nella Città eterna. «La prima esperienza è stata come stagista al Convivio dei fratelli Troiani, che hanno formato con passione e competenza generazioni di cuochi. Era il 2006. Quando entri in una cucina impari a fare una parte di un piatto, ma da Angelo Troiani, palato sopraffino, e da Antonio Morichini ho appreso i segreti della pasta fatta a mano, del tirare la sfoglia ad arte».

 

Subito dopo, arriva il colpo di fulmine per Glass, complice un bicchiere di vino e la ricerca di uno spazio organizzato da utilizzare di giorno. «Il locale era aperto alla sera, quindi mi sdoppiavo fra il ristorante di un circolo che gestivo allora e Glass. Uno dei soci (che poi diventerà compagno di vita della chef e padre del suo unico figlio, Luca, ndr) mi propose la direzione della cucina. E da lì ebbe inizio l’avventura». Oggi, fra un intervento a un festival – il prossimo sarà il 26 maggio alla XV edizione dei “Dialoghi di Pistoia” – e l’impegno nel sociale, da ActionAid al Telefono Rosa, Bowerman pensa a un sogno nel cassetto da realizzare: un secondo locale, ispirato ai pop up. «Ma l’idea è ancora in fieri», si schermisce. Per il figlio sedicenne cucina tagliolini bottarga, alici e trombolotto, salsa di origini antichissime ottenuta da olio e limone spremuti. «Abbiamo l’abitudine di fare tv dinner: stendo un tappeto verde da gioco e mangiamo guardando serie tv. Le preferite? “Un professore” e “Stranger Things”. Da quando era piccolo gli parlo in inglese».

 

Con il figlio Luca bambino

 

Eclettica e testarda, Bowerman si definisce non senza ironia «chef da campeggio». «Negli Usa ho cambiato 12 case in 13 anni. Mi piace pensare di essere sempre pronta a partire da un momento all’altro. Viaggiare tanto, e da sola, mi ha insegnato molte cose, come acquisire la sicurezza di sé o la consapevolezza di riuscire a cavarsela in situazioni non facili. L’importante è avere dietro un bagaglio leggero. In termini sia pratici sia simbolici. Non è un caso che fra le mie canzoni preferite ci sia “Bag Lady” di Erykah Badu, che recita più o meno così: “Fa’ un bagaglio leggero, signora con la borsa perderai il tuo bus. Non puoi correre perché ti porti dietro troppa roba”».