Il campione mondiale della disciplina racconta come è nata la sua vocazione e perché ricordare è una componente essenziale del sapere umano. «Le nostre facoltà mentali sono profondamente intrecciate e inseparabili»

Otto anni fa decisi, per nessuna ragione in particolare, di ricomprare un cubo di Rubik. Quando ero più piccolo avevo speso anni interi nel tentativo di risolverlo, senza successo, e guardando indietro forse fu proprio quello l’inizio di tutto. Il mio primo tentativo di superare i miei limiti.

 

Con l’aiuto dei tanti tutorial presenti su Internet imparai il metodo per risolverlo e finalmente raggiunsi quel piccolo – eppure così stimolante – traguardo. Ma non finì lì. Presto scoprii che con un adeguato allenamento avrei potuto diventare sempre più bravo, sempre più veloce. Questo evento, all’apparenza insignificante, segnò l’inizio di tutto ciò che è stato il mio percorso finora, cambiando la mia vita in modi che, ai tempi, nemmeno potevo immaginare.

 

A ogni modo, dopo poco tempo il mio metodo di risoluzione preferito divenne quello da bendato e finalmente entrai in contatto con le tecniche di memoria. Capii in fretta che imparandole avrei potuto migliorare enormemente i miei tempi di risoluzione ma per qualche ragione le cose presero una piega molto diversa. Mi accorsi infatti di essere piuttosto bravo negli esercizi di memoria, addirittura più di quanto non lo fossi nel cubo di Rubik, attività in cui, paradossalmente, ai tempi avevo investito molte più ore di allenamento.

 

Decisi così di buttarmi e iscrivermi alla mia prima gara di memoria, i Campionati italiani. Arrivai secondo. Spinto da quel primo posto che non ero stato in grado di conquistarmi decisi di alzare la posta partecipando, lo stesso anno, ai Campionati europei e mondiali. Arrivai primo, in entrambi, memorizzando, tra le altre cose, 35 mazzi di carte e 3.000 cifre in un’ora.

 

A questo punto vi saranno sorte diverse domande. Innanzitutto, perché?

 

Per lo stesso motivo per cui un corridore prova a correre i 100 metri in 10 secondi: per la sfida, per il senso di appagamento dato dal superamento di un limite. Perché una volta iniziato un percorso in cui puoi prendere qualcosa e portarla a un livello che comunemente le persone ritengono impossibile, è difficile smettere.

 

Ma al di là degli aspetti agonistici, che forse interesseranno a pochi tra coloro che leggeranno questa storia, una domanda a cui voglio rispondere in maniera molto chiara è la seguente: ci serve ancora la memoria nell’era di Internet e dell’Intelligenza artificiale?

 

Risposta breve: sì.

 

Risposta lunga: conoscere un’informazione, esserne padroni e averla immagazzinata e a disposizione nella nostra mente è molto diverso da poterla ottenere senza alcuno sforzo tramite strumenti esterni. Banalmente, il fatto di non avere un determinato argomento o concetto consolidato all’interno della nostra mente ci impedisce di richiamarlo alla memoria e usarlo nel momento del bisogno. Inoltre, forse ancora più importante è che non ci rende neppure in grado di capire di poterlo usare. Tra quest’ultimo punto e il precedente c’è un’ulteriore differenza, provo a spiegarla con un esempio. Ponendo che io non sappia quando è avvenuto il crollo del muro di Berlino scoprirlo sarebbe molto facile, basterebbe una ricerca su Google di, al massimo, 15 secondi. Tuttavia, se stessi viaggiando in un determinato periodo storico, l’assenza di quel dato nella mia mente mi impedirebbe proprio di inquadrare bene il contesto e averne quindi una visione tridimensionale.

 

Questo è un esempio banale, ma trovo che se esteso a grandi campi di conoscenze e soprattutto di competenze ci faccia capire quanto sia importante conoscere davvero. Questo vale sia per applicare sia per innovare, dal momento che la creatività nasce sempre da elementi già presenti, con cui entriamo in contatto e che aspettano solo di essere mescolati, modificati e intrecciati. Tutte azioni che partono da una presenza iniziale.

 

Su questo argomento ci sarebbero tante altre cose da dire ma mi limito ad aggiungerne solo un’altra, che da sola può aprire diverse riflessioni: tutte le nostre facoltà mentali sono profondamente intrecciate e inseparabili. Memoria, ragionamento, creatività, linguaggio…è difficile capire dove inizia l’una e dove finisce l’altra, sia da un punto di vista neuroscientifico sia dal semplice buon senso. Pertanto indebolirne una, usandola sempre meno, significa, di riflesso, indebolire, anche solo in parte, tutte le altre.

 

D’altro canto, avendo imparato la maggior parte delle cose che so (comprese le tecniche di memoria) tramite Internet e avendo anche studiato Computer Science all’università, sono dell’idea che la tecnologia sia il maggior alleato dell’apprendimento. Proprio per questo penso che la scuola, oltre a un metodo di studio adeguato e fondato su basi scientifiche, dovrebbe insegnare anche l’uso di questi strumenti (Ia compresa), al posto di tante date storiche da imparare a memoria o di argomenti affrontati anche 3/4 volte nell’arco del percorso. Ma visto che questo, almeno per il momento, non succederà, tanto vale imparare a fare entrambe le cose da soli.