L'anniversario
Strage di via D'Amelio, quelle cinque vite spazzate via dal tritolo che non ricordiamo
Trentadue anni fa l'attentato mafioso contro Paolo Borsellino uccideva anche Emanuela Loi e altri quattro colleghi poliziotti, spesso dimenticati. Ma è nostro dovere non lasciarli nell'oblio
Pubblichiamo qui la prefazione di Enrico Bellavia a “Cinque vite” di Mari Albanese, Navarra Editore (208 pagine, 15 euro)
Li chiamiamo eroi e ci assolviamo un po’. Perpetriamo in questo modo un’ipocrita impostura. Gli concediamo il tributo sacrale, rovescio dell’indifferenza. Li vogliamo sull’altare, per confinarli nell’universo parallelo del sacrificio: lì dove conta il come e poco il perché. Indifferenti alla loro umanità, ignari di quanto la nostra dipenda da loro, non ne ricordiamo neppure i nomi, li liquidiamo con un’appendice - “i ragazzi della scorta” -, una locuzione sbrigativa, una nota a margine.
Li ascriviamo all’elenco delle vittime collaterali di stragi che riconosciamo per un luogo o, al massimo, per uno dei bersagli. Togliamo loro lo spessore del corpo. Completiamo a nostro modo l’opera di rimozione che il tritolo ha compiuto. Li priviamo della profondità di una vita. Per renderli anonimi comprimari di una tragedia. Quasi che il loro essere lì nel momento esatto in cui l’ordito dell’eccidio trovava il suo compimento fosse frutto del caso. E non il costo dell’assunzione di un rischio. La precisa volontà di adempiere al proprio dovere, mentre altri lo eludevano. Esserci, anche di fronte a un destino prevedibile che la corresponsabilità degli ignavi, dei distratti, dei collusi ha reso ineluttabile. E senza vera giustizia.
Chi erano, cosa amavano, quali affetti dilaniati hanno lasciato nell’inferno di Palermo? Quali appuntamenti hanno mancato nel giorno della bomba?
Emanuela Loi, 24 anni, solare, amante del mare, voleva diventare maestra e orgogliosamente si ritrovò a vestire una divisa in un’isola diversa dalla sua Sardegna dove sarebbe andata presto per frequentare il corso scorte ad Abbasanta.
Agostino Catalano, 43 anni, tre figli, vedovo e risposato, tra tele e pennelli si riappropriava dell’anima creativa che le brutture del quotidiano mortificavano. Passato per qualche tempo alle Ferrovie, alla prima occasione era tornato alla sua divisa.
Eddie Walter Cosina, 31 anni, figlio di emigrati friulani in Australia, aveva pure fondato una radio libera. La Sicilia, da triestino cittadino del mondo, era una scelta. A maggio del 1992 aveva chiesto di andare alla Dia, la direzione investigativa antimafia e quando chiesero rinforzi per le scorte era andato a Palermo.
Vincenzo “Fabio” Li Muli, 22 anni, una sorella per vicemamma, un diploma all’industriale e il desiderio di essere un agente, stravedeva per la sua Victoria, contava i giorni per sposarla e sarebbe corso da lei a fine turno.
Claudio Traina, 26 anni, aveva il mare nel cuore e il fratello Luciano, ispettore alla Mobile da emulare. Aveva lavorato a Milano, lì aveva incontrato Maria, dalla quale aveva avuto un figlio. Aveva chiesto un incarico investigativo, ma si era ritrovato alle scorte senza neppure l’addestramento.
Trentadue anni fa, alle 16.59 del 19 luglio del 1992 si trovavano in via Mariano D’Amelio con il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino perché lì, al suo fianco, avevano deciso consapevolmente di essere, onorando un patto di lealtà con quello stesso Stato che non li ha protetti. Più esempi che eroi, si riappropriano del loro spessore, dei sogni e dei corpi, nel racconto che Mari Albanese in Cinque Vite (Navarra Editore) ricava da una immersione, tanto profonda quanto partecipata, nello strazio del ricordo di chi li piange ogni giorno.
Se si potesse scegliere di morire forse nessuno vorrebbe farlo di domenica. Quando le città sembrano sopirsi e i pochi al lavoro contano le ore per tornare in famiglia, qualunque cosa voglia dire. Per chi resta c’è sempre un dopo che sarebbe dovuto accadere, l’amarezza per uno sguardo o una parola mancata, un attimo della vigilia da fissare, la struggente nostalgia dell’irrisolto e l’orrore che ti resta attaccato addosso. Claudia ha voluto che ci fosse l’acqua ad accarezzare Emanuela nel giardino della sua eternità. «Come se io la stessi coccolando ancora e questo mi conforta». E c’è un’altra Emanuela Loi con la divisa da poliziotta. È nata nel 1992, quattro mesi dopo la fine della zia. Alessandro porta addosso il ciondolo che gli riconsegnarono come unico ricordo di suo fratello Fabio. E Victoria, sposa senza matrimonio, lo incrocia nella foto incorniciata sotto alla scritta «famiglia». Lo rivive tra le lettere che manda a memoria. Tommaso non va mai a trovare Agostino al cimitero, va in via D’Amelio: «Le anime dei ragazzi sono qui e io la sento questa energia». Dijana, presenza discreta al fianco di Eddie nell’ultimo anno, lascia ancora una rosa bianca sulla sua tomba ogni estate. A Luciano è toccato di riconoscere Claudio dalle scarpe. E quando va a pregare per lui porta un fiore anche per gli altri.
Antonio Vullo, il superstite, vide Eddie accendersi l’ultima sigaretta. «Sopravvive alla vita» che gli «è stata donata un’altra volta». Ma sconta in terra «il contrappasso del dolore».