È la denuncia di Martina Oppelli, architetta affetta da sclerosi multipla progressiva. A darne notizia l'Associazione Coscioni che segue la donna nella sua richiesta: «Una decisione dettata dal Comitato di Bioetica voluto dal governo. Un'offesa alla sofferenza»

«Secondo i medici dovrei assumere ulteriori farmaci che potrebbero, o forse no, attenuare il dolore ma privandomi della lucidità. Dovrei sottopormi ad ulteriori esami diagnostici ed, eventualmente, permettere che il mio corpo sia violato da tubi, sonde o quant'altro. Non posso, non voglio, subire una tortura di Stato». Martina Oppelli, 49 anni di Trieste, architetta affetta da sclerosi multipla progressiva, dopo il nuovo no dell'azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (Asugi) alla sua richiesta di suicidio assistito prende parola. Racconta con lucidità quello che definisce non una battaglia: «Non siamo in guerra», specifica ma «un doveroso percorso giudiziario nel pieno della legalità per far valere il diritto di accesso al suicidio medicalmente assistito». 

 

Nelle sue frasi emerge l'insensatezza della relazione stilata dall’Asugi di non consentirle di accedere in Italia al suicidio medicalmente assistiti, così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019 sul caso di Dj Falbo. «Una relazione pervenuta il 13 agosto, quando io cerco di sopperire al caldo asfissiante , nega l'evidenza: che io sia in una situazione di totale dipendenza vitale da persone, farmaci e macchinari», racconta Oppelli: «Rimango perplessa per come viene descritta la mia condizione fisica e clinica nota da anni agli stessi medici. Basita, poiché la sclerosi multipla mi ha privata di qualsiasi movimento lasciando intatta solo la capacità di pensare, parlare e di autodeterminarmi». 

 

Secondo l'avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell'Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale dell'architetta triestina: «Addirittura, nella relazione si solleva il dubbio che la macchina della tosse, più che una necessità terapeutica, abbia uno scopo 'preventivo', quasi come se la prevenzione del soffocamento fosse un vezzo. L'azienda sanitaria fonda tutta la sua relazione sul parere del Comitato nazionale per la bioetica, che non ha alcuna portata normativa, essendo questo un organo consultivo del Governo. È invece sminuita e disattesa in toto la sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024, che è intervenuta per chiarire la portata estensiva del requisito di trattamento di sostegno vitale. Nelle ultime settimane diverse aziende sanitarie hanno preso atto dell'intervento di questa sentenza, modificando le loro conclusioni proprio in relazione a persone malate in condizioni simili a quelle di Oppelli».

 

La sentenza 135 non viene citata a caso: «Anzi ha una portata fondamentale nel caso specifico - spiega Gallo- in quanto chiarisce che sono trattamenti di sostegno vitale tutte quelle "procedure che sono normalmente compiute da personale sanitario, e la cui esecuzione richiede certo particolari competenze oggetto di specifica formazione professionale, ma che potrebbero essere apprese da familiari o caregivers che si facciano carico dell'assistenza del paziente". Nel caso di Oppelli sono proprio infermieri o assistenti privati che quotidianamente la assistono sia nelle funzioni vitali sia nella somministrazione di terapie, si occupano di imboccarla, farla bere e di tutti i trattamenti in assenza dei quali Oppelli morirebbe nel giro di poco tempo di stenti fra atroci sofferenze». Per l'avvocata Gallo «questa relazione è un insulto alla sofferenza di Oppelli che viene condannata dall'azienda sanitaria a un trattamento inumano e degradante per la sua dignità. Per questo motivo, oltre a procedere contro la valutazione che non trova fondamento nell'evidenza della situazione di salute di Oppelli per quanto riguarda i trattamenti di sostegno vitale, attiveremo le vie che il caso consiglia anche in relazione alle responsabilità che determinano conseguenze gravi per lei»

 

Il calvario di Martina Oppelli è iniziata diversi mesi fa quando, a causa del progressivo peggioramento delle sue condizioni dovuto alla sclerosi multipla, ha chiesto l'assistenza al suicidio medicalmente assistito, legale in Italia alla presenza di quattro requisiti: la persona deve essere capace di autodeterminarsi, essere affetta da patologia irreversibile, che tale patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputa intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

 

L'azienda sanitaria aveva già negato l'accesso alla morte assistita in quanto, secondo la prima relazione di qualche mese fa, la terapia antalgica, anticoagulante, antitrombotica, l'assistenza continuativa di terze persone per svolgere qualsiasi tipo di attività inclusa l'alimentazione e l'idratazione e il ricorso a farmaci broncodilatatori non costituivano trattamenti di sostegno vitale. Visto l'evidente e inevitabile peggioramento delle condizioni della donna il Tribunale di Trieste aveva ordinato all'Asugi di rivalutare entro trenta giorni le sue condizioni visto che nel frattempo era diventata dipendente dalla cosiddetta macchina della tosse, un dispositivo che elimina le secrezioni bronchiali che altrimenti le causerebbero strozzamento e soffocamento. Tuttavia, a seguito dell' ordine del tribunale, l'Asugi ha confermato il suo rifiuto, basandosi su una relazione che sminuisce il ruolo dei trattamenti di cui Oppelli dipende quotidianamente.