Il ddl del governo aumenta le pene anche per le contestazioni passive contro le grandi opere. In linea con il clima instaurato durante le occupazioni dei licei. La battaglia delle opposizioni

Liceo Tasso di Roma. Alla fine degli anni Sessanta, un simbolo della contestazione studentesca, e anche fonte di apprendimento  per una fetta importante della futura classe dirigente italiana, passata per quelle aule. Perciò, è tanto più significativo che, all’inizio del 2024, proprio nello storico edificio di via Sicilia, siano state avvertite le prime avvisaglie di un clima che stava cambiando. Occupare una scuola, che per decenni era stato di fatto consentito o non punito dalle autorità del mondo dell’istruzione, all’improvviso diventava motivo di dure sanzioni interne: 5 in condotta e diversi giorni di sospensione. Applausi al preside Paolo Pedullà dai ministri Matteo Salvini e Giuseppe Valditara.

  Alcuni mesi dopo, con il sì della Camera al ddl Sicurezza, preceduto  dall’irrompere degli ecologisti di Ultima Generazione sulle strade italiane ma anche  dalle contro-proteste degli automobilisti che restavano immobilizzati dentro i loro veicoli, il blocco stradale è un reato. Non più una violazione punita con la sanzione amministrativa. Qui il vento cambia sul terreno addirittura penale: per chi ferma il traffico stradale e anche quello ferroviario si aprono le porte del carcere: fino a due anni di reclusione, aggravante compresa, più una multa di 300 euro. Il reato si configura anche quando il blocco avviene semplicemente con il corpo del manifestante. Per questo motivo, la norma incriminatrice è stata ribattezzata polemicamente “anti-Ghandi” durante lo scontro al calor bianco avvenuto nell’aula di Montecitorio. Su questo punto e su molti altri, nel segno comune di una svolta definita «autoritaria» o «liberticida» dalle opposizioni, il dialogo è stato impossibile, passando dall’entusiasmo del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Tommaso Fotiper «un’altra promessa mantenuta da parte del governo Meloni, in risposta alla domanda di sicurezza dei cittadini», alla reprimenda dell’esponente di Avs Nicola Fratoianni che ha ribattezzato il provvedimento «ddl repressione», per citare i due estremi di una contrapposizione destinata a proseguire nell’altro ramo del Parlamento. In vista dell’approdo in Senato, infatti, Walter Verini, segretario della commissione giustizia di Palazzo Madama, preannuncia a L’Espresso che «il Pd, con le altre forze di opposizione,  contrasterà  con tutti i mezzi democratici questo provvedimento, che ha visto alla Camera il muro della maggioranza contro ogni ragionevole proposta di miglioramento e di emendamenti». Lo scontro, dunque, non potrà essere più duro, anche considerando che Salvini non intende concedere sconti alle opposizioni, chiedendo piuttosto che il provvedimento sia approvato rapidamente dal Senato attraverso una corsia preferenziale.

«Il disegno di legge sulla sicurezza – sostiene il senatore Verini – è uno degli atti più gravi compiuti da questo governo. La sicurezza è un tema vero, serio, nel tempo delle insicurezze e delle paure. Per questo ci vogliono mezzi e risorse per le forze dell’ordine, presidi adeguati e moderni nel Paese e –  insieme – politiche sociali, educative, di rigenerazione urbana in grado di prevenire degrado, marginalità , insicurezze.  Questa  destra ha scelto invece una strada orrenda. Si istituiscono nuovi reati, si aumentano pene a dismisura».

C’è una doppia impronta, Lega e Fratelli d’Italia. C’è più Piantedosi di Nordio e di Crosetto (sono i tre ministri co-firmatari) nella stesura di un provvedimento che arriva alcuni anni dopo i decreti sicurezza del governo Conte 1, privilegianti il versante dell’immigrazione clandestina con norme molto dure sulle quali, anche allora, prevaleva l’impronta leghista, in particolare quella salviniana. Il decreto sicurezza del governo Meloni, invece, agisce sul lato delle forze dell’ordine e delle misure anti-rivolta ma anche anti-manifestazioni (almeno quelle che si traducono nei blocchi stradali e ferroviari nonché in atti di violenza) con il plauso, fuori dal Parlamento, principalmente dell’Associazione nazionale funzionari di Polizia che giudica il testo uscito dalla Camera «un passo avanti», a partire dall’uso delle telecamere sulle divise degli agenti di polizia, nonostante le riserve del Garante della Privacy («solo in casi di effettiva necessità»). Le altre misure: aumento delle pene per chi durante una manifestazione ricorre alla violenza o minaccia un pubblico ufficiale, con aggravante se ciò avviene per impedire un’opera pubblica oppure una infrastruttura strategica, come Tav e Ponte di Messina. Punite le rivolte in carcere anche quando c’è «resistenza passiva» (di qui la sollevazione di tutte le opposizioni parlamentari). Il testo di legge aggrava anche la condizione delle detenute madri rendendo solo «facoltativo»,  non più «obbligatorio», il rinvio del processo. Dopo il “caso Salis” arriva il reato di occupazione di immobile.  Non viene risparmiata la cannabis light, che entra nella lista delle sostanze stupefacenti e, attraverso un ordine del giorno presentato dalla Lega, si apre la strada addirittura alla castrazione chimica come misura contro la violenza alle donne.

Il centro-destra si è rivelato compatto. Però, parlando con L’Espresso, l’esponente di Forza Italia Alessandro Cattaneo chiede: «Siamo propri sicuri che tutte queste norme siano realmente applicabili sul territorio? Non converrebbe effettuare una verifica prima o in occasione del passaggio al Senato? Sulla sicurezza, cerchiamo di essere pragmatici ispirandoci alla concretezza del compianto Roberto Maroni”. Invece, Salvini preme solo l’acceleratore.