Attualità
8 ottobre, 2025Milioni di fondi europei continuano ad arrivare ad aziende condannate per caporalato e schiavitù moderna. La "condizionalità sociale", intanto, si rivela una misura cosmetica. Così l'Europa non ferma l'abuso nei campi
“Problema dormire. Problema mangiare. Problema lavoro. Problema documento”. Mamadou snocciola così l’elenco dei suoi guai. È un bracciante agricolo e aspetta da due anni un permesso di soggiorno. “Voglio lavorare, lavorare subito. Datemi documento per almeno un anno e vediamo cosa succede”. I suoi compagni ridono e annuiscono.
È luglio e siamo all’insediamento di Torretta Antonacci, nell’entroterra pugliese. Qui i braccianti vivono nelle loro auto sotto il sole cocente. Tornare a casa dai campi significa tornare a questa distesa di lamiere roventi, asfalto sciolto, recinzioni metalliche e container arrugginiti. La macchina segna 45 gradi, sono le quattro del pomeriggio e l’aria sembra bruciare pure il retro degli occhi.
Per sistemare questo posto erano stati promessi ventotto milioni di euro del PNRR. Rischiano di sparire – perché mai assegnati – insieme alla maggior parte di quei 200 milioni di finanziamenti europei chiesti per il superamento dei ghetti dei braccianti. Siamo a Torretta Antonacci per un’attivazione simbolica del sindacato Flai CGIL: ci passano pettorine rosse, rastrelli e zappe. L’asfalto è pieno di buche e sulla carta doveva già essere stato riparato. Gli occhi diffidenti delle ronde del villaggio ci studiano per un’ora. Poi si convincono. Tutti insieme, in processione con i rastrelli, seguiamo il camion che scarica la ghiaia sulla strada dissestata.
Mentre i fondi europei promessi per superare i ghetti si dissolvono, altri continuano a scorrere nelle tasche di chi sfrutta: quelli della Politica Agricola Comune. Con un budget complessivo di 378 miliardi di euro, la PAC rappresenta circa un quarto del bilancio dell’Unione Europea. Tra il 2015 e il 2021 ha versato all’agricoltura italiana più di 30 miliardi di euro. Il supporto all’agricoltura è in teoria enorme, eppure secondo l’Autorità Europea del Lavoro quasi un lavoratore agricolo su tre non ha un contratto scritto. Oxfam nel 2024 denunciava “milioni di braccianti migranti sfruttati nei campi europei”. In Italia quasi il 70% delle ispezioni nelle aziende agricole riporta irregolarità contrattuali. Per decenni dunque questi fondi hanno sostenuto anche aziende segnate da lavoro nero, caporalato e violenza. “Per sessant’anni la PAC si è mostrata poco attenta, se non disinteressata, al valore del lavoro che è l’architrave dell’agricoltura” osserva Jean-René Bilongo, coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto, “un paradosso”.
Per questa inchiesta transfrontaliera, di cui L’Espresso è partner, ci siamo chiesti se e fino a che punto i fondi europei sostenessero il modello di sfruttamento agricolo. Abbiamo ricostruito una trentina di casi di agricoltori coinvolti in violazioni del lavoro, rintracciabili attraverso atti giudiziari pubblici e articoli di stampa, e li abbiamo incrociati con i database dei pagamenti PAC. L’indagine è stata limitata dall’opacità dei dati: molti fascicoli restano oscurati o inaccessibili, e gran parte dei fondi scorre dentro cooperative e consorzi che ne cancellano le tracce. I risultati però parlano chiaro. In ognuno di questi trenta casi analizzati – che coprono tutte le forme di abuso dalla schiavitù moderna, inclusi casi di omicidio, alle infrazioni quotidiane su salari e orari – i fondi PAC hanno continuato a fluire anche dopo l’inizio delle indagini, spesso dopo le condanne, a volte anche durante la pena.
Alcuni esempi italiani. In Campania: migranti irregolari costretti a lavorare undici ore al giorno, sette giorni su sette, per 4,50 euro l’ora. Il proprietario dell’azienda è condannato per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento. Nei sei anni precedenti alla condanna riceve quasi un milione di euro in fondi europei. Un anno dopo la condanna ne intasca quasi duecentomila: abbastanza per coprire quasi per intero le sanzioni imposte dalla sentenza.
In Veneto: dieci braccianti stipati in una stanza, bagni da cantiere in un container, botte e sevizie. L’indagine parte nel 2014, la condanna arriva dieci anni dopo. Nel frattempo l’azienda incassa quasi duecentomila euro di fondi europei.
In Sicilia: padre e figlio condannati per sfruttamento nel 2015 con la confisca di dieci milioni di euro. Il figlio continua a ricevere altri duecentomila euro fino al 2021.
In Piemonte: madre e figlio, cinque anni di reclusione a ciascuno per sfruttamento di lavoratori migranti. L’anno della condanna ricevono novantamila euro di sussidi. L’anno successivo, mentre scontano la pena, più di centomila.
In Puglia: duemila braccianti pagati meno di tre euro l’ora, turni di quattordici ore senza acqua. Una bracciante si sente male tre volte nello stesso giorno e l’imprenditore agricolo non presta soccorso. Nei due anni precedenti all’inchiesta, quello stesso imprenditore intasca quasi mezzo milione di fondi europei. Dopo aver patteggiato una reclusione di diciotto mesi, riceve quindicimila euro nei due anni successivi.
In un altro caso in Spagna, un agricoltore già condannato nel 2016 per sfruttamento lavorativo – e incriminato due volte per omicidio per la presunta morte di due braccianti migranti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro – ha ricevuto quasi 120mila euro di fondi pubblici tra il 2014 e il 2022. La somma include diciassettemila euro pagati nel 2022, un anno dopo la scomparsa di un altro lavoratore, Ibrahima Diouf, del Senegal, in seguito a una lite per salari non pagati. L’agricoltore è ora in attesa di processo per il presunto omicidio.
“Il problema non è nemmeno se un’azienda prende poco o tanto, il tema è che dovremmo vincolare i finanziamenti europei alla qualità del lavoro” dice Yvan Sagnet, ex bracciante agricolo e fondatore della rete di acquisto solidale No-Cap, nata nel 2017 per corrispondere un prezzo giusto a prodotti e produttori, e per rispettare i diritti dei lavoratori. Per decenni nessuno ha proposto una regola che fermasse questo flusso. Eric Sargiacomo, europarlamentare francese e vicepresidente della commissione per l’agricoltura, ammette che i diritti dei braccianti non siano stati una grande priorità: “La questione sociale è un po’ fuori tema nella maggior parte delle discussioni a cui ho assistito”. Ma durante la trattativa per la PAC 2023-2027, l’europarlamentare tedesca Maria Noichl ha messo sul tavolo l’idea che i sussidi dovessero essere legati al rispetto dei contratti, della salute e dei diritti fondamentali dei lavoratori. “I soldi non appartengono agli agricoltori, appartengono ai contribuenti. Siamo noi a decidere chi li riceve”. Noichl ricorda la battaglia estenuante per far approvare la sua proposta. Commissione e Consiglio si sono opposti fin dall’inizio, sostenendo le lobby agricole che bollavano la proposta come un "eccesso burocratico". Ma dopo un voto forzato in plenaria al Parlamento e con l’appoggio dei sindacati e della società civile, la misura è sopravvissuta – anche se in forma molto ridotta. La Commissione ha parlato di “passo storico nella difesa dei diritti dei braccianti”, la federazione sindacale europea EFFAT ha salutato l’accordo come “una grande vittoria sindacale”.
Quattro anni dopo però la stessa Noichl si è detta “non molto orgogliosa di quello che abbiamo ottenuto”, perchè è “il minimo del minimo”. La condizionalità sociale, per come è formulata, copre solo una piccola parte del diritto del lavoro – le direttive sulla sicurezza e sulla trasparenza delle condizioni contrattuali – mentre obblighi fondamentali come il pagamento del salario minimo e le ferie sono esclusi. In più chi vìola le regole rischia solo un taglio tra l’1 e il 10% dei sussidi, che arriva al 30% se l’infrazione si ripete. In tutti i casi la sanzione si applica una tantum, un solo anno – poi tutto può riprendere come prima. “Penso che le sanzioni siano troppo basse per fare da deterrente” ci dice Sargiacomo.
Per Olivier De Schutter, co-presidente dell’IPES-Food, il fatto che l’Ue continui a finanziare aziende condannate o accusate di sfruttamento è “scandaloso”. “I fondi pubblici continuano a sussidiare aziende coinvolte in produzioni alimentari basate sullo sfruttamento, inclusa la schiavitù moderna” ci ha detto, “la condizionalità sociale doveva cambiare tutto questo, ma si è rivelata un provvedimento di facciata, incapace di prevenire gli abusi o imporre vere sanzioni”.
Italia, Austria, Belgio e Francia avevano promesso di applicare la condizionalità sociale già dal 2023 senza aspettare che diventasse obbligatoria per tutti i paesi membri da gennaio 2025. A giugno però l'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea)– che distribuisce i fondi europei – ha scritto in una circolare interna ma disponibile online che i dati del 2023 e della prima metà del 2024 sono “indisponibili” e ha lamentato l’inaccessibilità delle informazioni per applicare la norma in modo completo. Per il secondo semestre 2024 invece ha scritto che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro avrebbe segnalato 579 casi per l’applicazione della norma. Quasi sempre la sanzione sarebbe stata un taglio del 5% degli aiuti una tantum, ridotto al 2,5% in caso di adempimento. Solo in dieci casi si sarebbe arrivati a tagli del 10%, ridotti al 7,5% in caso di adempimento.
Abbiamo chiesto ad Agea dati aggiornati, importi complessivi e chiarimenti sul reperimento dei dati. Non abbiamo ancora ricevuto risposta. “Sebbene il ministro Lollobrigida rivendichi che l’Italia sia stato uno dei primi Paesi ad applicare la condizionalità sociale, ad oggi ancora non sono state stipulate tutte le convenzioni con gli organismi di controllo che dovrebbero vigilare sulla corretta distribuzione delle risorse europee” commenta Silvia Guaraldi, segretaria nazionale di Flai CGIL. E non è solo l’Italia a faticare nell’applicazione della condizionalità sociale. La Francia non ha ancora applicato alcuna sanzione. In Austria solo un agricoltore è stato multato per due violazioni nel 2023 e 2024: poco più di 3.000 euro, cioè appena il 4% dei 40.000 euro che riceve in media ogni anno in sussidi.
La condizionalità sociale nella sua forma attuale è “meno un primo passo nella giusta direzione per proteggere i lavoratori”, ha detto Yoan Molinero, ricercatore presso il Centro Studi sulla Migrazione dell’Università Comillas, “e più una misura cosmetica pensata per dare l’apparenza di un cambiamento mantenendo lo status quo della PAC”. Guaraldi di FLAI CGIL commenta che “andrebbe rafforzata ed estesa”. La nuova proposta della Commissione però prevede di annacquarla, esentando le aziende sotto i dieci ettari – il 70% delle aziende agricole europee. “È come dire che lo sfruttamento è accettabile purché avvenga su piccola scala” commenta Cristina Guarda, eurodeputata dei Verdi e agricoltrice, che aggiunge: “essere sottopagati non ci dà il diritto di violare i diritti altrui”.
Questa inchiesta è stata realizzata con il supporto di Journalismfund Europe.
È stata pubblicata anche su DeSmog (edizione internazionale), El Salto Diario (Spagna), profil (Austria), L’Humanité (Francia), FragDenStaat (Germania) e Taz – die tageszeitung (Germania). Hanno contribuito all’inchiesta Eoghan Gilmartin, Simon Guichard, Silvia Lazzaris, Meriem Mahdhi, Franziska Schwarz, Hélène Servel, Jonas Seufert e Pascale Müller.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Speciale 70 anni - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 3 ottobre, è disponibile in edicola e in app