Attualità
20 novembre, 2025Braccialetti elettronici che si rompono, desinenze che non si pronunciano, titoli che si sbagliano. Piccole cose quotidiane che fanno l’enorme mattanza
Esattamente sessant’anni fa Lietta Tornabuoni elencava in un articolo su L’Espresso, dal titolo “Botte alla moglie”, in quanti modi le donne venivano ferite e percosse dai propri mariti. «Con una stecca da biliardo. Con un bicchiere infrangibile. Con pugni, calci, ceffoni, spinte, gomitate al fegato. Col settimo volume (Sr-Z) del dizionario delle Opere e dei Personaggi. Con la catena bloccasterzo della Citroën Deux Chevaux. Con la bottiglia di cristallo martellato dello Haig&Haig Pinch Bottle. Con il manico della scopa e con un bastone da golf, con la molletta da bucato di plastica che dà pizzichi dolorosissimi e con una caffettiera inglese di peltro che lascia tenaci contusioni. Con una cinepresa opportunamente roteata e persino con il calcio del Golden Arrow Gun, un mitra giocattolo per bambini. Con un dolcissimo animaletto di pezza inglese di peluche. Con una bottiglia di birra, con una pentola di terracotta, con un ferro da stiro, con un portacenere di ceramica, con un metro d’acciaio».
La violenza brutale attraverso piccole cose domestiche. Della serie, le donne non si colpiscono con un fiore. Meglio usare tutto il resto.
Oggi ogni numero è vissuto come un lutto, la proiezione di un film che fotografa una realtà inaccettabile, sulle cui immagini scorrono come titoli di coda gli elenchi malsani dei femminicidi inarrestabili. Ma non solo. Perché la violenza, quotidiana come una goccia capace di erodere e spezzare, si insinua proprio nelle piccole cose, nel salotto buono quando parte uno schiaffo, perché in fondo te lo sei meritato. La violenza delle piccole cose si nasconde con facilità, anche nella pubblica piazza. È quella che fa chiamare “mostro” chi mostro non è perché non è eccezione ma solo regola, quella che sbatte in prima pagina la vittima, giovane e bella, e relega a un trafiletto nascosto la moglie più adulta, ammazzata con la stessa violenza ma con meno foto social da esporre alla comune empatia. È il racconto sul “bravo ragazzo”, sul “vicino sempre gentile”, “una bravissima persona”, “molto ricco, di successo”, “abile imprenditore”, che “salutava sempre”. È la colpa riversata addosso, sulle schiene e le menti delle vittime che non hanno denunciato, che non hanno denunciato in tempo, che non hanno denunciato abbastanza. E mentre il tempo passa inesorabile, la violenza di genere resta addosso a un genere solo, quello femminile, che fa rumore nelle piazze e nelle case, che si indigna per scuotere le coscienze come se il macigno non fosse lanciato dagli uomini. Ce ne sono volute cinque di donne, a partire dall’accordo bipartisan tra Giorgia Meloni e Elly Schlein per introdurre nel codice penale un nuovo articolo che sancisse che senza consenso il sesso si chiama stupro, e che come tale va punito. Un passo storico, sicuramente. Ma che fa anche una certa impressione. Perché si è dovuto arrivare al 2025 per sancire una cosa così semplice, in fondo così piccola. Ma che sembrava rispetto ad altri Paesi europei un ostacolo insormontabile.
La violenza uccide, con numeri indecenti per ogni Paese a suo dire civile, ma a volte, spesso, quasi sempre, ferisce, degrada, stupra, isola, strappa la libertà di essere, che al contrario della legge non è uguale per tutti. Perché gli uomini che camminano per strada non hanno paura. Tornano la notte, senza bisogno di avere un’amica di scorta che li accompagni con la voce al telefono. Le donne si tutelano autoproteggendosi, evitano una strada, o un intero quartiere, guardano l’orologio in maniera diversa e il movimento cambia. Si chiama “geografia della paura”, e come evidenzia la ricerca condotta da ActionAid e Osservatorio di Pavia e B2Research sulle percezioni della violenza e delle discriminazioni in Italia, oltre la metà delle donne di ogni generazione dichiara di sentirsi insicura mentre quasi la metà degli uomini intervistati no, non ha mai avuto paura nello spazio urbano.
E su questi numeri che scorrono calpestando le piccole cose, emerge che la violenza economica è considerata “accettabile” da un uomo su tre. Per uno su quattro la violenza verbale e quella psicologica sono ampiamente motivate. Il cinquantacinque per cento dei cosiddetti Millennials ritiene legittimo il controllo sulla partner. E già che ci siamo, anche la violenza fisica è giustificabile per quasi due maschi adulti su dieci, in caso di tradimento, di mancata cura della casa e della prole. Ed è così che le donne continuano a essere viste come altro, fidanzate, mogli, madri, proprietà di qualcosa o di qualcuno che sentendole come cosa propria ne dispone liberamente. Non possono essere abbandonati questi uomini a cui non è stato insegnato il contrario, figli di una cultura patriarcale nel suo Dna costitutivo, che li ha posti su un piedistallo di potere inattaccabile.
«L’ho uccisa perché mi aveva lasciato»: lo dice Alessandro Tucci dopo aver massacrato Martina Carbonaro, lo dice Vincenzo Gerardi dopo aver accoltellato a morte la moglie Teresa Stabile. E in un messaggio alla suocera aggiunge: «Ho fatto quel che dovevo, buona Pasqua». La violenza delle piccole cose si nasconde in un microingranaggio, quello del braccialetto elettronico che non funziona a dovere. E che permette all’ex compagno col divieto di avvicinamento di uccidere Tiziana Vinci. Tina Sgarbini invece viene ammazzata dall’ex con una pellicola da cucina, e quando smette di respirare l’uomo scrive su un biglietto una piccola cosa: «Ho fatto una cavolata».
Maschi che sgomitano nel prendersi tutto, corpi, potere, posizioni, occupano i dibattiti sui temi femminili, si appropriano del linguaggio difendendo a spada tratta persino una cosa piccola come la desinenza, eletta a simbolo di un cambiamento troppo duro da affrontare. Ma il linguaggio si impara a scuola, dal primo giorno, quando montando i cubi di legno si comincia a convivere, condividendo giochi ed esperienze. E che sia la scuola il luogo prioritario da cui deve passare l’educazione a riconoscere e rifiutare relazioni tossiche e violente è quasi assodato. Quasi, però, solo dalle medie in su come chiede il ddl Valditara, a costo zero e solo con «il consenso informato» dei genitori, per arginare il pericoloso spettro del gender, che sembra essere uno spauracchio ben più temibile della violenza di genere.
«Sconcertati, incerti, incapaci di capire e impostare i rapporti su basi diverse, esasperati dal crollo della propria posizione di predominio, i mariti borghesi avvertono di non riuscire più a dominare le mogli. Allora persino gli uomini che detestano la violenza, abituati a trattare le donne con rispetto e gentilezza, non sanno trovare altro modo per reagire, altro mezzo per imporsi. Picchiano: con rabbia, con furore, con il desiderio preciso di umiliare come estrema confessione di inadeguatezza, l’ultima disperata prova di forza del sesso forte. Così chiudeva l’articolo Tornabuoni. Era il 1965, ieri come oggi. Ma c’è ancora domani.
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