Attualità
20 novembre, 2025A Prato, l’epicentro della mafia d’importazione. Dopo i colpi inferti e la violenza per le strade una relativa pax. Vitale per il controllo della logistica. Necessaria alle frodi Iva
A Prato è tornato il silenzio. Dopo mesi di incendi e aggressioni, tanto violente quanto volutamente dimostrative, la mafia cinese sembra aver deposto le armi della platealità per rintanarsi dietro una più confortevole apparente discrezione. La sua esistenza sul territorio, però, non è più oggetto di discussione, come è stato per lungo tempo. Fin da poco dopo il suo insediamento, nel luglio del 2024, il procuratore di Prato, Luca Tescaroli, ha lanciato l’allarme sulla pericolosità della criminalità organizzata cinese e sull’importanza di disporre degli adeguati strumenti per combatterla. Tescaroli, che fa risalire lo scoppio del conflitto al giugno 2024, riconosce che negli ultimi mesi «c’è stata una rarefazione» dello scontro. Tuttavia, descrive una realtà che rimane preoccupante: a Prato la criminalità cinese fa ricorso alla violenza con modalità assimilabili ai fatti di sangue che hanno attraversato la Sicilia e la Campania negli scorsi decenni. È «un segno distintivo rispetto a quanto avveniva nel passato», aggiunge con tono pacato.
Sulle indagini e i nomi di questa guerra di mafia vige il massimo riserbo, ma i suoi contorni sembrano avere dei lineamenti abbastanza nitidi. «Ci sono delle zone di Prato che sono proprio occupate militarmente, fisicamente dalla mafia (cinese)», spiega Edoardo Michelotti, deputato di Fratelli d’Italia e membro della Commissione parlamentare antimafia. «A Prato sembra che si sia radicata una sorta di cupola che poi si propaga a livello nazionale e internazionale», afferma il parlamentare. Secondo lui, potrebbe aver contribuito a incrinare gli equilibri di potere l’inchiesta “China Truck”, che nel 2018 portò all’arresto di decine di cittadini cinesi e all’individuazione di Zhang Naizhong come il “capo dei capi” della mafia sinica in Italia. Salvatore Calleri, consulente della Commissione parlamentare antimafia, restringe il quadro e parla di due fazioni contrapposte: è una guerra tra «un gruppo che era molto forte sul territorio e un altro gruppo che non si conosce». Anche se nessuno si spinge a fare nomi il gruppo un tempo «molto forte», e ora sotto attacco, è quello guidato da Naizhong.
Dinamiche di potere che mostrano un mondo criminale molto diverso da quello di soli pochi anni fa. «Oramai è superata la questione China Truck. Siamo bene al di là, c’è uno scenario che sta cambiando, è mutato ed è ancora peggio», sostiene Calleri, le cui parole sono corroborate dal procuratore di Prato, che parla di un «salto di qualità» compiuto dalla criminalità cinese. I suoi gangli si estendono ora anche alla politica e agli enti pubblici. I membri della mafia cinese, infatti, «hanno una vocazione ad aprirsi per cercare di allacciare legami con esponenti delle forze dell’ordine, con esponenti delle pubbliche amministrazioni, perché hanno capito che in questo modo possono raggiungere risultati qualitativamente più significativi», sostiene il procuratore, che poi rivela: «Cercano di giocare un ruolo nelle campagne per le elezioni ». Tescaroli, però, non si sbottona oltre. Non chiarisce a quali campagne elettorali si riferisca, se locali o nazionali o se faccia riferimento al comune pratese o ad altri territori.
Il solo dato certo è che Prato è il centro della criminalità organizzata sinica in Europa, non la periferia. E lo si evince chiaramente se si guarda a un settore chiave nel ventaglio degli interessi della mafia cinese: la logistica. I numerosi incendi avvenuti a Prato ai danni di aziende del settore testimoniano quanto sia fondamentale controllare questo settore per imporre la propria supremazia sul gruppo rivale. Ma la portata è diventata ancor più chiara quando la magistratura ha collegato alcuni di questi atti violenti con incendi avvenuti nello stesso periodo a Parigi e Madrid. «Le strutture imprenditoriali pratesi hanno filiali e dislocazioni a Roma, in Spagna, in Francia e gestiscono affari con diverse capitali dell’Europa» e «il centro è Prato», afferma Tescaroli.
La logistica suscita ancora di più i violenti appetiti dei gruppi criminali dal momento in cui esiste un vulnus nel sistema doganale europeo talmente profondo da permettere l’ingresso di merci nell’Ue in evasione dell’Iva per miliardi di euro: il regime doganale 42. Questo strumento prevede la possibilità di sospendere il pagamento dell’Iva su merci dichiarate come destinate a un Paese dell’Unione diverso da quello di importazione. Il suo uso lecito consente di favorire e velocizzare gli scambi commerciali. Il suo uso illecito garantisce alla malavita l’opportunità di importare ingenti quantità di merci con destinatari fittizi e farne sparire le tracce, rendendone pressoché impossibile la riscossione delle imposte evase. «Il regime 42 fa saltare il punto di controllo», commenta Davide Bellosi, direttore territoriale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli per Toscana e Umbria. «Se il punto di controllo fosse effettivamente il punto in cui tu introduci la merce sul territorio comunitario – spiega il direttore – problemi non ce ne sarebbero, perché in quel punto lì tu dovresti assolvere integralmente la fiscalità per avere la disponibilità della merce. Il regime 42 fa saltare questo punto naturale di controllo e poi, una volta saltato, devi inseguire». Immessa nel mercato unico, la merce circola liberamente all’interno dell’Ue ed è onere di chi la riceve contabilizzare e pagare l’Iva. Questo impone alle autorità di mettere in piedi dei sistemi di verifica a posteriori e di conseguenza, in caso di frode, risalire la filiera criminale diventa molto più complicato. La situazione è aggravata dall’assenza di una legislazione armonizzata fra i vari Stati membri, che non assicura uno stesso livello di controllo, e dalla mancanza di un obbligo di condivisione delle informazioni fra i vari enti nazionali competenti.
Questo aspetto potrebbe essere superato dalla proposta della Commissione europea di istituire un “centro dati doganali dell’Ue” (EU Customs Data Hub), ovvero una piattaforma digitale che dovrebbe centralizzare e integrare dati fiscali, doganali e logistici. Tuttavia, se approvata, la sua piena implementazione è prevista al momento solo per il 2038. «Ciò significa che, per oltre un decennio, sarà necessario convivere con gli attuali rischi», affermano dalle Dogane.
Per le organizzazioni criminali si tratta quindi di un’attività economica dai rischi contenuti, ma dagli alti profitti. «Se sei un truffatore e vuoi massimizzare la tua frode, il regime 42 è molto conveniente – dichiara a L’Espresso una fonte di Bruxelles – Ciò che il regime 42 rivela è l’imperfezione dell’unione doganale europea». A suo avviso, siamo di fronte a un mercato interno che è perfetto per i truffatori ma imperfetto per le autorità di vigilanza.
La stessa Corte dei conti europea nella sua ultima relazione speciale afferma che «le misure esistenti non sono adeguate né per prevenire o rilevare in modo efficace le frodi Iva sulle importazioni nell’ambito di dette procedure (regime doganale 42 e sportello unico per le importazioni), né per mantenere l’equilibrio tra agevolazione degli scambi e tutela degli interessi finanziari dell’Ue». L’abuso di questa procedura non solo castra in maniera significativa il gettito fiscale, ma alimenta una concorrenza sleale che impatta negativamente sul tessuto industriale europeo sano. È evidente che poter rivendere sul mercato merci a un prezzo estremamente più basso grazie all’evasione delle imposte dia un vantaggio schiacciante. La conseguenza è una ferita profonda al bilancio dell’Ue e degli Stati membri, in un momento in cui si parla con tanta insistenza di reperire nuove risorse.
Per poter sfruttare i punti deboli del regime 42, il controllo della logistica assume un ruolo cruciale, perché permette di spostare le merci a proprio piacimento, falsificare i documenti di trasporto, disporre di autisti compiacenti. Grazie anche alla stretta interconnessione tra le varie comunità cinesi presenti in Europa, i gruppi criminali sono riusciti a sviluppare una rete transnazionale di logistica via via più integrata. «Le aziende di Paesi terzi, non voglio fare nomi di specifici Paesi, ma penso sia chiaro a chi mi riferisco – precisa sorridendo il funzionario – Si tratta di realtà che sono in grado di avere il pieno controllo sul trasporto, sullo stoccaggio e anche sulla documentazione».
In passato, sostiene la fonte, era difficile riscontrare da parte delle organizzazioni criminali un tale controllo della catena logistica ed era perciò più facile, analizzando i vari passaggi, scovare le irregolarità. «Per il bene delle aziende che utilizzano legittimamente questo sistema, quanta frode siamo disposti a tollerare?», chiede il funzionario europeo, che poi si risponde: «Credo che i politici, i legislatori e gli operatori del settore fossero d’accordo su un margine piuttosto ampio. Il problema è che la questione sta assumendo proporzioni sempre maggiori – avverte – raggiungendo livelli che forse non siamo pronti ad accettare».
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