Sono circa 60 le donne uccise dall’inizio dell’anno, secondo il monitoraggio di Non Una di Meno. In assenza di una banca dati pubblica aggiornata, la raccolta indipendente diventa essenziale per leggere la realtà e chiedere interventi che il governo continua a rimandare
Donne uccise. Accoltellate, soffocate, strangolate, impiccate, bruciate vive, investite, fucilate, picchiate a morte, spinte giù da scale e argini. Ammazzate, fatte a pezzi e nascoste in valigie o abbandonate in un parco.
Perché? Li avevano lasciati. O erano in procinto di farlo. O stavano diventando troppo indipendenti agli occhi dei loro assassini: mariti, ex, conoscenti, amici, vicini di casa. Sempre la solita storia che si ripete all’infinito. Come mostra la timeline, il colore che compare più volte al suo interno è il rosso scuro, che nella legenda indica “partner o ex partner”. Sono circa 60 i femminicidi registrati all’8 novembre 2025. 60 vite spezzate per mano di 59 uomini. Il conteggio è stato possibile grazie ai dati estrapolati dall’Osservatorio di Non Una di Meno, in mancanza di una banca istituzionale pubblica, aggiornata in tempo reale e accessibile. Basando la propria raccolta dati su fonti secondarie, come giornali e siti online, l’osservatorio considera solo gli avvenimenti che riesce a verificare direttamente, escludendo i casi non riportati dai media. Il risultato è che il suo dataset, pur essendo disponibile mensilmente, resta parziale e impreciso, soprattutto se confrontato con quello che potrebbe diffondere l’Istat o il Viminale. Tutto ciò, però, non vanifica il lavoro svolto da fondazioni, organizzazioni, laboratori e istituti di indagine sparsi sul territorio italiano che, anzi, è cruciale per colmare il vuoto alimentato dall’indifferenza delle istituzioni.
Se i numeri non vengono raccolti, studiati e resi pubblici è difficile comprendere la portata del fenomeno e, di conseguenza, elaborare misure strategiche e soluzioni adatte a contrastarlo. I dati pubblicati dal ministero dell’Interno sono trimestrali e disaggregati per genere di vittima e autore con la relazione tra i due. Non sono presenti elementi in più, che renderebbero più facile prevenire la violenza di genere, notare pattern e somiglianze, e comprendere cosa è più rilevante confrontare e misurare a livello statistico e sociale.
Come scrive la data journalist Donata Columbro nel suo nuovo libro: “Contare i femminicidi non serve ad avere un numero da portare nelle trasmissioni televisive o da pubblicare sui social per suscitare indignazione, ma è un lavoro di cura, di recupero della storia di ogni donna, per rintracciare elementi in comune con altre donne uccise, e mettere insieme queste informazioni per elencare quelli che si chiamano fattori di rischio: se oggi il numero delle donne uccise è circa cento ogni anno, contare i femminicidi dovrebbe aiutarci ad arrivare a zero”. Per questo è un lavoro importante e necessario.
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