Attualità
5 novembre, 2025Allo scadere dei progetti che hanno fatto rientrare dall’estero i ricercatori, solo uno su dieci verrà stabilizzato. Addio lavori in corso, in fumo trenta miliardi di investimenti
Doveva essere l’occasione irripetibile per la ricerca italiana: invece è una bolla che sta per esplodere. Perché allo scadere dei progetti finanziati dal Piano nazionale ripresa e resilienza, solo un ricercatore su dieci verrà stabilizzato: e quegli stessi progetti, senza fondi, tra pochi mesi verranno accantonati. Con uno spreco mostruoso di risorse e competenze. È la beffa dell’investimento senza precedenti del Pnrr in Italia: un totale di 30,09 miliardi di euro per la Missione 4 dedicata a istruzione e ricerca. Nello specifico, 8,55 miliardi di euro al ministero dell’Università e della Ricerca per la cosiddetta Componente 2: che – si legge sul sito – «mira a sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo, a promuovere l’innovazione e la diffusione delle tecnologie e a rafforzare le competenze». Ebbene, l’innovazione è stata prodotta, i contratti moltiplicati: da 15 mila, nel 2020, ai 24 mila dell’anno scorso, secondo i dati diffusi da Adi, l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Ma per la maggior parte di assegnisti e ricercatori, la scadenza del contratto sarà un salto nel buio.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato mezzo miliardo di euro per attrarre gli scienziati americani preoccupati dalle derive trumpiane. Ma Francesca Luongo ha già percorso quella traiettoria: dagli Stati Uniti si è trasferita a Siena. Biotecnologa, 35 anni, si occupa di medicina molecolare e dello sviluppo. «Ho un assegno di ricerca di due anni, partito a maggio 2023 ed esteso a novembre 2025 quando finirà la rendicontazione del progetto Pnrr», spiega. Un lavoro su riproduzione e fertilità. «Utilizziamo modelli 3D in vitro per evitare invasività nelle pazienti – racconta – abbiamo acquisito strumentazioni molto costose e materiali per mimare il tessuto». Centomila euro di macchinari più un microscopio a fluorescenza da 150 mila euro acquistato con altri partner. E adesso? «Non si sa. Il taglio al fondo di finanziamento ordinario delle università ha stoppato i concorsi. Verranno banditi solo quattro contratti di ricerca, la nuova tipologia appena introdotta: in tutto l’ateneo. Io proverò a fare domanda all’estero. Ma fa rabbia: formazione e denaro pubblico sprecati. Lo specchio di un’Italia senza programmazione». «Allo scadere dei contratti, l’imbuto è strettissimo», sintetizza Luca Daminelli: antropologo, assegnista all’Università di Genova, fa parte di Assemblea precaria. Daminelli ha un assegno di due anni su un Prin (Progetto di rilevante interesse nazionale) che indaga lo sfruttamento lavorativo, soprattutto nel turismo e nella cantieristica navale: «Un paradosso – sorride – visto che io guadagno 1.400 euro al mese, senza ferie né malattia».
La bolla si innesta su un mondo già in bilico: al Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, circa un terzo del personale non ha un contratto stabile, denuncia il gruppo Precari uniti Cnr. L’ente è in stallo: per tre mesi senza vertici, la ministra Bernini ha firmato a metà giugno il decreto di nomina di tre componenti del cda. Ma i precari restano in agitazione. Daniele Spoladore lavora all’Istituto di Sistemi e tecnologie industriali intelligenti per il manifatturiero avanzato (Stiima) a Milano: il suo ambito è l’intelligenza artificiale simbolica, applicata all’invecchiamento. «Il 10 luglio 2023 ho avuto il colloquio – ripercorre – risulto vincitore, ma la lettera di assunzione arriva solo ad aprile 2024: una gestazione di nove mesi per lentezze burocratiche. Mesi in cui già lavoro al progetto, con un prolungamento dell’assegno precedente». Il lavoro riguarda la riconfigurazione di ambienti di vita per persone non autosufficienti con il supporto dell’Ia. «Il mio contratto è stato rinnovato un altro anno, ma poi? È svilente buttare anni di ricerca che ha prodotto risultati su un tema strategico per il Paese. Chi li porterà avanti?».
Mariacristina Gagliardi lavora al Cnr di Pisa nell’ambito delle nanoscienze e ha realizzato un dispositivo che permette la diagnosi precoce di malattie neurodegenerative, a partire dall’analisi di saliva e lacrime. «Una macchinetta di venti centimetri a basso costo», spiega. Eppure il progetto è scaduto, e così il contratto: «Ero l’unica a lavorarci. E adesso muore così, dopo 100 mila euro spesi per attrezzare il laboratorio?».
Nicola Giampietro lavora a Roma all’Iliesi, l’Istituto per il Lessico intellettuale europeo e storia delle Idee: sociologo, è impegnato nel mega-progetto di costruzione di un cloud per le scienze umane, H2Iosc (Humanities and cultural heritage italian open science cloud): «Il mio contratto termina il 31 ottobre. Siamo in cento – spiega – la metà è in bilico. Dunque, persone formate saranno espulse e chi rimane dovrà farsi carico del doppio del lavoro».
Il paradosso di Fabio Campanella – 41 anni, biologo marino – è che dopo aver lavorato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna è rientrato: attirato dalle sirene del Pnrr. «Il richiamo dell’Italia era forte – racconta – e dicevano che ci sarebbe stata una corsia preferenziale per la stabilizzazione. Adesso è incertezza assoluta». Campanella lavora all’Istituto per le Risorse biologiche e le biotecnologie marine (Irbim) di Ancona, per il progetto National biodiversity future center: «Studiamo gli impatti antropici sulla biodiversità marina – racconta – il mio contratto scade a dicembre. Il paradosso è che in Gran Bretagna la mia posizione esiste ancora, mi riprenderebbero. Ma per venire in Italia ho usufruito delle agevolazioni fiscali previste dal decreto “Rientro dei cervelli”: e ora sono incastrato. Perché se torni all’estero prima di quattro anni devi restituire le agevolazioni. E io, qui, ho comprato casa».
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