Attualità
6 novembre, 2025Il lavoro dei sanitari sull'isola siciliana nel racconto di un medico. Pochi mezzi, paghe inadeguate: "Non chiamatela emergenza, ma mancata programmazione"
Domenica di fine ottobre, a sedici miglia da Lampedusa, un barcone è stato raggiunto dalle motovedette. Sottocoperta c’erano due corpi senza vita. In coperta e nella stiva, molte persone respiravano a fatica dopo ore di vapori di benzina. È la fotografia che tante cronache hanno già raccontato: arrivano, li salviamo, li curiamo. Ma quello che spesso non passa è come, con quali mezzi, in quali condizioni, e a quale prezzo umano e professionale per chi sta sull’isola a tenere insieme i pezzi.
Nelle ore successive allo sbarco i casi di intossicazione sono aumentati: i codici rossi si sono moltiplicati, gli elicotteri hanno solcato la notte tra l’isola e la Sicilia occidentale, cinque pazienti sono stati trasferiti in condizioni critiche e uno è morto il giorno successivo. La differenza l’ha fatta di nuovo la prontezza di chi lavora nel 118, dal molo alle ambulanze, fino alla Centrale operativa e agli equipaggi dell’elisoccorso. Quando la stiva sa di idrocarburi, il tempo non è un dettaglio: è terapia.
La Centrale operativa 118 ha fatto ciò che una Co deve fare quando le risorse sono al lumicino: ha ordinato il caos. Ha assegnato priorità, ha trovato posti letto in rianimazione, ha allertato gli equipaggi Hems (Helicopter emergency medical service), ha tenuto la linea con le squadre a terra e in volo, ha ricucito una rete di soccorso che rischia di strapparsi a ogni ondata. Con poche mani e attrezzature spesso al limite, ha tamponato quello che si poteva tamponare. Ma questo non può diventare normalità: si poteva fare di più e si doveva fare di più, in prevenzione, mezzi, organici, programmazione. È qui che la retorica dell’«emergenza» smette di essere una spiegazione e diventa una scusa.
Nel momento più critico e atroce di quelle ore, al presidio territoriale d’emergenza di Lampedusa si è verificato un episodio grave: un cittadino lampedusano, in escandescenze, ha aggredito verbalmente il personale e si è scagliato contro la scrivania del medico di turno, accusando i sanitari di occuparsi «più dei migranti che degli italiani». In quell’istante si stavano gestendo gravissimi codici rossi, con pericoli di vita immediati. Il triage non ha passaporto: si cura per gravità, non per nazionalità. La tutela e la sicurezza degli operatori sono parte del diritto alla cura, esattamente come l’ossigeno, i farmaci salvavita e un elicottero che decolla in pochi minuti.
Chi vola da Lampedusa lo sa: non ci sono strade alternative, non ci sono ospedali dietro l’angolo. C’è il mare. Di notte, con meteo incerto, con pazienti ipossici e instabili, ogni decollo è una decisione pesante e ogni minuto è ossigeno. Eppure a questa frontiera sanitaria che è prima di tutto un diritto costituzionale alla cura continuiamo a chiedere eroismo, mentre le istituzioni raccontano numeri selezionati e mostrano soddisfazione di facciata.
C’è un punto politico che non si può più eludere. Il 118 è un servizio essenziale. Non è volontarismo, non è buona volontà: è lavoro qualificato che regge la sicurezza sanitaria di un territorio unico per isolamento e complessità. Eppure la Regione siciliana continua a non riconoscere pienamente un adeguamento delle tariffe: i compensi restano sotto la media nazionale. Sono arrivati ritocchi, certo, ma parziali e tardivi: non colmano il divario e non rispondono alla natura insulare e alla specificità dei voli sul mare. È un paradosso che non regge: pretendiamo standard europei di risposta, ma paghiamo chi salva vite come se prestasse un servizio accessorio.
Questo governo ha preferito la narrazione dei «numeri sotto controllo». Le cronache locali hanno tenuto traccia della realtà: due morti, intossicazioni in aumento, trasferimenti urgenti, una macchina che regge grazie alla professionalità di chi c’è. La verità è che senza una programmazione seria e finanziata, l’isola continuerà a vivere di picchi e affanni, e a ogni picco domanderemo alla centrale operativa, alle ambulanze, agli equipaggi Hems di fare miracoli. I miracoli non sono una politica pubblica.
Diciamo una cosa semplice: basta con i grazie a costo zero. Servono dotazioni e organici stabili, protocolli chiari, formazione mirata ai rischi specifici (chimici, psicotraumi), basi Hems realmente h24 con margini operativi adeguati al teatro insulare. E soprattutto serve allineare subito le tariffe di medici e infermieri del 118 alla media nazionale, introducendo indennità specifiche per il rischio e la complessità dei voli sul mare. È un atto di giustizia verso chi lavora e una garanzia per chi, su quel mare, arriva in condizioni disperate.
Non chiamatela emergenza: chiamatela programmazione mancata. La Centrale operativa 118 e gli operatori sul campo hanno dimostrato, ancora una volta, che la differenza tra un esito e un funerale passa dalla loro competenza, dalla loro prontezza e dalla loro resistenza. Tocca alla Regione e al governo fare la propria parte: risorse certe, trasparenza sui dati clinici e operativi, corridoi umanitari che riducano i viaggi della morte e, soprattutto, dignità salariale a chi questo diritto lo rende reale ogni giorno. Perché su quel tratto di mare tra Lampedusa e la terraferma non si viaggia per gloria, ma per salvare vite.
*Anestesista rianimatore, Policlinico di Palermo e eservizio 118, centrale operativa Palermo-Trapani e isole minori Lampedusa e Pantelleria

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