Attualità
18 dicembre, 2025Centri pieni, tempi lunghi per la protezione, un’ondata di interventi nei rifugi dei volontari e fogli di via. La manovra per far sparire profughi e rifugiati dalle strade
«Per me è una ferita pazzesca. Non ero presente quando hanno fatto irruzione, mi hanno chiamato dei vicini, sono corso, avevo il megafono in macchina, mi sono messo a urlare: che fate?». Nella parrocchia di Vicofaro a Pistoia Don Massimo Biancalani per dieci anni ha messo in pratica la «chiesa ospedale da campo». Poche risorse, un po’ di sovraffollamento ma volontari e assistenza legale, sanitaria, scolastica e 700 migranti salvati, quelli «che non vuole nessuno»: salute mentale, irregolarità amministrative, dipendenze, limbi istituzionali, indigenza, solitudine. Venti agenti in tenuta antisommossa autorizzati dal sindaco meloniano Alessandro Tomasi – oggi consigliere regionale dopo la sconfitta da aspirante governatore – hanno prelevato gli ultimi sei ospiti, i più fragili, che si rifiutavano di uscire. Uno era ammanettato. Gran parte degli altri 120 erano già in strutture reperite da Curia e Caritas. Le «cose dei poveri», ammucchiate in strada. La chiesa sigillata.
Quello di Vicofaro è stato il più scenografico di una serie di sgomberi frutto delle politiche securitarie ed emergenziali del governo. In linea con ciò che avviene in alcune delle città chiave della “Frontiera Italia”. Da Ventimiglia a Trieste passando per Bolzano, l’obiettivo non è gestire le criticità ma rendere l’Italia un Paese “inospitale”.
Già l’ultimo report di ActionAid e Openpolis, “Accoglienza al collasso. Centri d’Italia 2024”, registrava i primi effetti del Decreto Cutro: con i servizi (legali, psicologici e corsi di lingua italiana) azzerati; i contratti per l’accoglienza diffusa ridotti a favore dei grandi centri e i “centri temporanei” con dotazioni al minimo.
Liberare i posti è un mantra, così chi riceve la protezione internazionale finisce sfrattato dai Cas e in strada. E senza residenza non si può richiedere la carta di identità da cui dipendono istruzione, lavoro e cure. È successo a Bologna al Cas di Malalbergo, a Pescara e al Cara di Bari.
Ad agosto a Trieste era stato sgomberato l’androne del Porto Vecchio diventato un rifugio, dove un algerino è morto il 3 dicembre scorso. Il Cas è piccolo. Il nuovo centro notturno “Spazio 11” ha solo 70 posti. E Fratelli d’Italia si oppone all’utilizzo degli spazi dell’ex Mercato. Negli ultimi giorni altri tre morti in Friuli.
In piazza della Libertà dove opera “Linea d’Ombra” di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, non ci sono più solo gli attuali 40-60 migranti per sera diretti verso il nord Europa, ma stanziali che vivono in un “limbo legale” e i tempi della questura sono infiniti. «Ogni sera – spiega Franchi – abbiamo anche un gruppo di migranti in prima fase, che dopo l’ultima scrematura sono circa un’ottantina, più quelli che ormai sono accolti e che vengono a socializzare. La scrematura è quando spostano questi migranti in altri territori, molto spesso in Sardegna, dove sono isolati in paesetti dell’interno, non hanno corsi di lingua italiana e restano lì in attesa di non si sa cosa».
Anche a Ventimiglia il flusso è cambiato. Le 400-600 persone sotto il ponte della ferrovia sul Roia del 2023, sono diventate al massimo 40 e non vanno più in Francia: passare a Mentone è quasi impossibile e a Oulx, sulle Alpi, usano i droni. Alcuni roghi e un colpo di pistola sparato da un ragazzo tunisino contro un connazionale hanno offerto il pretesto per un nuovo sgombero a settembre, celebrato in tv dal sindaco leghista Flavio Di Muro. I controlli ora impediscono che si creino altri accampamenti. Ma con gli “illegali” c’è chi aspetta due mesi per un posto letto e chi 120 giorni per la domanda di asilo. «Noi di Medici del Mondo – spiega la dottoressa Maria Cristina Daniele – ci occupiamo della parte sanitaria e psico-sociale e c’è una rete che mette un po’ le pezze ma il problema non viene mai risolto alla base». Ci sono Caritas, Diaconia Valdese, WeWork, Save the Children, i volontari. «Qui – insiste Maria Cristina Daniele – bisognerebbe capire perché continuano a dirci che non c’è posto e perché le persone con fragilità non vengono prese in carico, nonostante un sacco di lettere formali, di relazioni cliniche».
A Bolzano i volontari di “Bozen Solidale” descrivono una città «incancrenita»: un’ondata di sgomberi colpisce proprio la bassa manodopera agricola e turistica, tutta migrante. «Il cameriere vestito di tutto punto che serve all’interno di un ristorante stellato – spiegano – è lo stesso della mattina sotto il ponte che si lava la faccia al fiume». Dicono che il nuovo sindaco di centrodestra Claudio Corrarati ha ridotto i posti in accoglienza e avviato il «controllo di vicinato». E che viene usata massicciamente la pratica «arbitraria» del foglio di via obbligatorio, come il Dacur, che allontana da aree urbane: «Il cuoco di un hotel importante del centro durante la pausa mangiava un panino vicino al parco della stazione: ha preso un Dacur perché creava degrado». Due avvocate si occupano dei ricorsi, costosi, e che richiedono mesi di “limbo”: cinque casi vinti, otto pendenti: «Per il migrante in attesa di permesso di soggiorno, il foglio di via vale in tutto il territorio e a prescindere che tu in quel posto stia lavorando o no, perché risulti non residente».
Anche Don Biancalani segue le sorti dei suoi ex ospiti («Hanno allontanato dal Cas un ragazzo perché l’hanno trovato a fumare in camera») e nella parrocchia di Ramini ha ricominciato ad accogliere: «Con queste leggi e queste politiche se non “disobbedisci” non fai nulla. Se a quei fragili dai delle risposte di protezione e aiuto, rischi, ti prendi delle responsabilità importanti».
Dopo l’ultimo blitz alcuni migranti sono fuggiti a Roma e Firenze e lui è andato a cercarli. «Adesso hanno paura, ma con l’arrivo del freddo non possono certo stare al parco delle Cascine. Nessuno dei miei ragazzi rimarrà solo».
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