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23 dicembre, 2025La sua pena è stata ridotta di 11 anni e 4 mesi. L’avvocata: “Ha attraversato l’inferno. Ora, finalmente, si vede una luce”
L’odissea è quasi finita, dopo dieci anni di attese, appelli, speranze perse e poi ritrovate. Con un comunicato pubblicato alle 17 di lunedì 22 dicembre, il Quirinale ha annunciato cinque nuovi decreti di grazia firmati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Con il potere conferito dall’articolo 87 della Costituzione, il capo dello Stato può infatti annullare del tutto o in parte le condanne giudiziarie. Nella lista di persone graziate c'è anche Alaa Faraj (agli atti Abdelkarim Alla F. Hamad). Si tratta però di una misura parziale, la pena è stata ridotta di 11 anni e 4 mesi.
La vicenda giudiziaria
Ha deciso di imbarcarsi per l'Europa a neanche vent’anni, nell’agosto del 2015, in piena guerra civile e con il sogno di poter continuare a studiare e giocare a calcio. Un sogno che si è infranto ancora prima di toccare le coste italiane. A poche miglia da Lampedusa, nella notte tra il 14 e il 15 agosto, 49 persone sono morte asfissiate nella stiva del barcone. Dopo un processo pieno di incongruenze, è stato condannato insieme ad altre otto persone a trent’anni di carcere per traffico di esseri umani e omicidio plurimo. Sono stati erroneamente identificati come “scafisti”, ma non avevano alcun ruolo a bordo: erano passeggeri come gli altri. La Corte d’Appello di Messina, pur rigettando la revisione del processo, ha definito i ragazzi libici condannati «l’ultima ruota di un mostruoso ingranaggio» e «moralmente non imputabili» e ha auspicato proprio un ricorso allo strumento della grazia per «ridurre lo scarto indubbiamente esistente tra il diritto e la pena legalmente applicata e la dimensione morale della effettiva colpevolezza». Questo passaggio è anche citato nella nota pubblicata dal Quirinale: «Il Capo dello Stato», si legge, «ha tenuto conto del parere favorevole del Ministro della Giustizia, della giovane età del condannato al momento del fatto, della circostanza che nel lungo periodo di detenzione di oltre dieci anni sinora espiata dall’agosto del 2015, lo stesso ha dato ampia prova di un proficuo percorso di recupero avviato in carcere, come riconosciuto dal magistrato di sorveglianza, nonché del contesto particolarmente complesso e drammatico in cui si è verificato il reato».
Le parole dell’avvocata
«È un primo tassello per arrivare a quello che per noi resta l’obiettivo principale: dimostrare che Alaa è innocente e totalmente estraneo ai fatti. Questo provvedimento ci aiuta moltissimo», spiega l’avvocata Cinzia Pecoraro. Grazie al decreto, ora Alaa può accedere alle misure alternative e ai permessi premio. Di fatto, si aprono le porte del carcere. «Considerando anche la liberazione anticipata», prosegue Pecoraro, «la pena residua si riduce molto: parliamo di circa cinque anni. Si tratta di una misura eccezionale, molto rara. Per un caso così complesso e particolare, poi, non possiamo che essere soddisfatti del risultato».
Alaa ha saputo della grazia in modo quasi surreale: «Era in cella, stava sfogliando il Giornale di Sicilia con la televisione accesa su Rai 3. Ha sentito distrattamente che il presidente della Repubblica aveva concesso cinque grazie: tre a cittadini italiani e due a stranieri. L’ultimo nome è stato il suo. Appena ha visto la sua foto in televisione, è svenuto per la felicità».
Tutti i detenuti hanno iniziato a battere sulle inferriate, a piangere, ad abbracciarlo. Erano felici per lui. «Nonostante questo, continuava a dire: “Fatemi parlare con la mia avvocata, non ci credo”. Non sapeva a quanto ammontasse la riduzione della pena. La mattina dopo, appena ha potuto, mi ha chiamata. Era felice, ma voleva una conferma. Gli ho spiegato che anche se non sarebbe uscito subito, adesso il percorso è molto più agevole. E questo è anche il risultato della persona che è e del comportamento che ha avuto in carcere. Ha attraversato l’inferno. Ora, finalmente, si è aperta una luce».
«Alaa ha dimostrato con i fatti di essere una persona perbene», conclude Pecoraro. «Non è un assassino, non è uno scafista: questo lo dicevano già le carte. Ma lui ha dimostrato la sua dignità nei momenti più difficili, con un rispetto profondo per la giustizia e per le istituzioni italiane, nonostante abbia subito un’ingiustizia enorme. È raro incontrare una persona così».
Il libro e la rete di solidarietà
Senza mai perdere la fiducia nella legge, Alaa ha affidato la sua storia alle pagine di “Perché ero ragazzo”, edito da Sellerio, nato dal carteggio con Alessandra Sciurba, filosofa del diritto e docente all’Università di Palermo. L’umanità del suo racconto ha dato vita a una comunità che ha creduto alla sua innocenza e a quella dei suoi compagni di viaggio, vittime dello stesso processo ingiusto. Una comunità che si è stretta intorno a lui lo scorso 29 settembre, quando ha partecipato alla presentazione pubblica del libro, sul sagrato della Cattedrale di Palermo. «Userò ogni strumento culturale e umano che le istituzioni italiane mi metteranno a disposizione», ha detto durante l’evento, «per difendermi senza mai offendere. Sarà sempre questa la mia stella polare».
La misura di clemenza di Mattarella gli ha dato ragione, riconoscendo l'assoluta sproporzione della pena, senza però annullarla per intero. Ha avuto giustizia, ma per la libertà dovrà ancora aspettare. «Io dell’Italia conosco solo tribunali e carceri», aveva scherzato quella sera a Palermo, «ero venuto in Europa per studiare e giocare a calcio. Ormai il calciatore professionista non posso farlo più, ma mi piacerebbe allenare». Presto potrà riallacciare le scarpette e tutto sembrerà tornato come prima. C’è un secondo tempo da giocare. E Alaa, per fortuna, è ancora un ragazzo.
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