Se la calvizie conta più dell'endometriosi. Gli studi e gli esperimenti sono tarati sugli uomini: la medicina ha un problema di genere

I fondi per i nuovi rimedi sono orientati al maschile. Le malattie che affliggono maggiormente le donne ricevono finanziamenti di gran lunga inferiori rispetto alla loro incidenza sociale

La calvizie maschile, tormento per molti uomini, alimenta un flusso di fondi per un’industria miliardaria di trattamenti, farmaci e interventi estetici. L’endometriosi, strazio cronico che affligge milioni di donne solo in Italia, continua invece a essere trattata come una questione di poco conto. Endometriosi, vulvodinia, sindrome dell’ovaio policistico: sono malattie che stravolgono la quotidianità di chi ne soffre, ma che spesso non vengono nemmeno riconosciute e diagnosticate. Il problema è prima di tutto culturale. Ovvero l’idea, infondata, che il dolore debba far parte del patrimonio genetico di ogni donna. Eva ha mangiato la mela e le donne si portano appresso una specie di maledizione biologica. Quando un ciclo mestruale è accompagnato da fitte lancinanti, il parto catapulta in uno stato di depressione profonda o i rapporti sessuali risultano dolorosissimi la risposta più frequente, anche dei medici, è: "Normale".

 

Così, mentre l’industria della calvizie sfodera trattamenti innovativi e una costante attenzione da parte delle case farmaceutiche, l’endometriosi è relegata a un angolo oscuro, fatto di diagnosi errate e alternative terapeutiche insufficienti. Naturalmente, i finanziamenti alla sanità non dipendono da questioni di genere, ma da altri fattori, come la mortalità (appurato che di calvizie non è mai morto nessuno).

 

Ma Kerri Smith, redattrice di Nature, ha condotto un’analisi che dipinge un quadro preoccupante: le malattie che affliggono maggiormente le donne come l’emicrania, l’endometriosi e i disturbi d’ansia, che impattano oltre sette milioni di persone solo negli Stati Uniti, ricevono finanziamenti di gran lunga inferiori rispetto alla loro incidenza sociale. Eppure, le malattie che colpiscono maggiormente gli uomini, come il morbo di Parkinson o l’Hiv, che riguardano circa 1,2 milioni di persone negli Stati Uniti, godono di un’attenzione economica nettamente superiore, e la ricerca è finanziata oltre il doppio. L’indagine si è svolta dopo aver qualificato il “peso” di una malattia: quanti morti e quanta disabilità si trascina dietro.

 

Il peso della malattia è quindi stato rapportato alla quantità di finanziamenti concessi per studiarla nell’anno 2022. Smith ha così confermato che il rapporto tra finanziamenti e peso della malattia per le patologie che colpiscono principalmente le donne era costantemente e significativamente inferiore allo stesso rapporto per quelle patologie che colpiscono principalmente gli uomini. In sintesi: non conta quanti malati ci siano e quanti morti provochi una malattia, se morti e malati sono donne, la ricerca avanza a piccoli passi, e in salita, per la mancanza di fondi.

 

Non si tratta di esempi isolati: alcuni studi hanno dimostrato che le malattie che colpiscono gli uomini ricevono più finanziamenti rispetto a quelle che colpiscono le donne in tre quarti dei casi. Che si parli di calvizie o di HIV. L’indifferenza ha un prezzo misurabile. Nei laboratori di ricerca, nei trial clinici, nei protocolli farmacologici. I corpi femminili restano esclusi, fuori dai parametri standardizzati che, per convenzione e per inerzia, continuano a modellarsi su quelli maschili. Quindi, anche quando si parla di malattie che colpiscono entrambi i sessi in egual misura, le donne sono sottorappresentate. E tale sottorappresentazione si traduce in una conoscenza insufficiente di come certe malattie o medicine impatteranno i corpi femminili. Ad esempio, le donne hanno più probabilità di morire d’infarto perché i sintomi sono meno studiati (un recente studio includeva 22.000 pazienti, tutti uomini), e i crash test non sono del tutto affidabili, perché i manichini simulano corpi maschili.

 

Persino le cavie animali sono quasi sempre soggetti maschi. Insomma, esistono priorità implicite, scelte tacite che stabiliscono quali sofferenze meritino attenzione e quali possano restare nell’ombra. L’endometriosi è l’emblema di questa negligenza: in Italia, colpisce fino al 15 per cento delle donne in età fertile, ma riceve fondi irrisori, come denunciato più volte dalla Fondazione italiana endometriosi. Sono oltre tre milioni le diagnosi conclamate, ma la ricerca fatica a decollare. Diagnosi che stentano ad arrivare: il ritardo medio nel riconoscimento della malattia da parte dei medici italiani è di sette anni, durante i quali le pazienti vengono abbandonate al dolore.

 

Harvard Politics, rivista dell’omonima università, riporta che al 75,2 per cento delle pazienti è stata diagnosticata erroneamente un’altra malattia fisica e/o mentale prima di ricevere la diagnosi di endometriosi, con gravi conseguenze a lungo termine. E nel frattempo, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha da poco bloccato un finanziamento di sei milioni per la prevenzione del tumore al seno. Le decisioni economiche definiscono il confine tra ciò che conta e ciò che può essere ignorato. Se un problema riceve fondi, diventa una priorità. Se resta finanziariamente invisibile, si diluisce nell’indifferenza, indipendentemente dalla sua diffusione o gravità. Non si tratta di pretendere finanziamenti per tutto, ma di riconoscere che la medicina ha un problema strutturale di pregiudizio di genere. Che certe sofferenze meritano attenzione tanto quanto altre. Che la perdita dei capelli di un uomo non dovrebbe contare più del dolore cronico di milioni di donne.

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