Attualità
16 aprile, 2025

Baggina addio. Adesso serve monetizzare

Dopo anni di affitti di favore e vendite, il Pio Albergo Trivulzio, attanagliato dai debiti, prova a far cassa. Ma a rischiare di pagare lo scotto sono gli inquilini a basso reddito

C’era una volta il Pio Albergo Trivulzio, una delle istituzioni più antiche e rispettate di Milano, affettuosamente soprannominato “la Baggina” dai milanesi proprio per il suo essere ubicato sulla strada che porta al quartiere milanese Baggio. L’ente, nel tempo, è diventato celebre prima per tangentopoli negli anni ’90 e poi per affittopoli, vent’anni dopo, fino ad arrivare alle inchieste per la gestione del Covid. In sostanza, non c’è mai stata pace per la più grande e importante Rsa del Paese.

 

Per più di cinque secoli ha rappresentato un faro di assistenza e cura per gli anziani, un simbolo di solidarietà, tanto che nei decenni, sono stati molti i lasciti testamentari di grandi proprietari milanesi che hanno donato ai Martinitt e alle Stelline (ai tempi l’orfanotrofio femminile e maschile gestiti dall’ente) palazzi interi nelle zone più esclusive della città. Questi generosi proprietari però hanno spesso messo su bianco un vincolo: con l’aiuto delle case donate volevano fosse rispettata la mission di aiutare e fare del bene ai lavoratori del Trivulzio e agli ospiti della struttura. Di fatto è stata tradotta questa volontà dando la possibilità a tanti lavoratori dell’ente (e non), di vivere nel cuore della città grazie a canoni di affitto agevolati, lontani dall’andamento del mercato e delle sue possibili schizofrenie.

I numeri

Un patrimonio che supera le 1600 unità immobiliari, oltre a 174 garage e/o posti auto. Una ricchezza che, se solo ci fosse un’idea di città, potrebbe essere valorizzata e utilizzata per la Milano dei lavoratori e non solo per quella dei fondi immobiliari. E invece, negli anni, questa fortuna è stata via via venduta o gestita in maniera quantomeno discutibile. Gli alloggi sfitti rappresentano il 30 per cento del totale, non mancano i casi di subaffitti irregolari e soprattutto alloggi dati in locazione a canone irrisorio.  Uno dei casi più celebri e recenti è la sede di Fratelli d’Italia in Corso Buenos Aires, circa 100 mq affittati a 10 mila euro annui, con un contratto 6+6. Vero è che in cambio del prezzo irrisorio, il partito si è impegnato a fare lavori di ristrutturazione per circa 12 mila euro, ma è altrettanto vero che quell’investimento è stato recuperato in breve tempo se si considera che in quella zona cosi centrale di Milano gli affitti per quelle metrature valgono più del doppio di quello che generosamente è stato concesso al partito di Giorgia Meloni in Lombardia.

Il passivo

Negli anni il Pio Albergo Trivulzio ha venduto diversi beni per rimanere a galla, ma, nonostante questo oggi si trova ad affrontare una palude di debiti che rasentano i 110 milioni di euro oltre ad un’emorragia di dipendenti che dal 2020 non sembra arrestarsi. Per questo motivo, lo scorso agosto, l’ente è stato commissariato e a capo dell’operazione è stato messo l’ex prefetto Francesco Tronca, con il compito di provare a far tornare in conti in ordine con un piano di ristrutturazione. La strada scelta per uscire dalla crisi è stata quella di far conferire i primi palazzi della Baggina nel fondo Invimit (società di gestione risparmio controllata dal ministero dell’Economia). Nelle intenzioni l’obiettivo è quello di «aiutare il Trivulzio a gestire gli immobili in un’ottica non speculativa e nel rispetto della missione dell’azienda». Tradotto, adeguando i canoni di locazione ai prezzi di mercato, provando cosi ad uscire dal dissesto.

A quale prezzo?

È un vecchio dirigente, per molti anni a capo dell’amministrazione del Trivulzio a dire quali potranno essere le conseguenze: «L’obiettivo è liberarsi del patrimonio immobiliare cedendolo a Invimit, incassare subito soldi per sanare debiti. Il rischio però è di non risolvere il problema davvero se non si sistema la governance. In circa sei anni le entrate saranno finite e l’ente si troverà senza soldi e senza immobili. A rimetterci sarà la città di Milano». La società Habyt gestisce molti degli affitti a lungo termine degli immobili del Trivulzio: «Siamo il più grande operatore di alloggi flessibili a livello globale. La nostra missione è fornire alloggi a tutti, ovunque nel mondo», è scritto sul sito. Le cifre? Si può arrivare anche a 900 euro per una stanza di 18 mq.

 

Nel cortile del palazzo di via Paolo Bassi viene incontro Alessandro Manca, ex orfano dei Martinitt e oggi membro del comitato degli inquilini dell’ente: «A 18 anni ho lasciato il collegio e mi hanno assegnato un alloggio qui, sono stato adottato dai lavoratori che mi hanno accolto in questi spazi che una volta erano di socialità e condivisione. In questo palazzo c’è la storia dei lavoratori di Milano». Si commuove mostrando i vecchi pulisciscarpe all’ingresso di ogni scala: «Qui gli operai si pulivano le suole prima di entrare in casa». Ci sono ancora le pietre per spaccare la legna, quella che serviva per scaldarsi in casa. L’intero condominio di via Paolo Bassi 22 è di proprietà del Pio Albergo Trivulzio e ha più di duecento appartamenti, molti di questi negli anni sono diventati B&B e molti altri sono rimasti semplicemente sfitti, abbandonati in attesa di lavori di manutenzione. Rimangono gli inquilini storici, ex infermieri, operatori socio sanitari ma anche impiegati, dipendenti dell’ente che abitano da oltre trent’anni dentro a queste mura dove hanno cresciuto famiglie, speso soldi per ristrutturare gli appartamenti pensando di rimanerci per tutta la vita. E invece no, il piano di ristrutturazione lascia profonda incertezza: molti di loro si sono visti recapitare delle lettere che annunciano la fine dei contratti di locazione, per qualcuno sono direttamente ingiunzioni di sfratto. «Milano sta diventando capofila delle operazioni di finanziarizzazione immobiliare», dice Bruno Cattolici dell’Unione Inquilini che ha organizzato il presidio degli inquilini, lente d’ingrandimento sui beni pubblici, «da svendere al miglior offerente, mettendo a repentaglio la residenza popolare e il diritto all’assistenza».

 

I condomini di via Paolo Bassi hanno appeso striscioni sulle pareti del palazzo. “Gli inquilini non sono il bancomat del Pio Albergo Trivulzio”. La signora Luisa ha perso sia il marito che figlio e ha appena compiuto 84 anni. «Dove vado adesso? Non ci dormo la notte, come posso pagare un affitto a canone di mercato con la mia pensione?». Elena fa vedere la sua casa appena ristrutturata, si muove usando il girello: un tumore alla testa le impedisce di deambulare facilmente. «Io faccio l’operatrice socio sanitaria al Trivulzio e voglio subito tornare a lavorare appena starò un po' meglio. Con i miei 1.200 euro al mese posso pagare quello che pago adesso per casa mia, 600 euro al mese, ma non di più, che fine farò?». Piange chiedendo se «ha senso guarire dalla malattia se poi mi porteranno via tutto quello che ho».

 

Intanto in Consiglio comunale a Milano è stato approvato un ordine del giorno a tutela della case e degli inquilini del Trivulzio e anche in Regione Lombardia è stato depositata una mozione del Pd che chiede esplicitamente al Commissario straordinario di «aprire un confronto con sindacati e inquilini». La nuova gestione commissariale promette di proteggere i soggetti più fragili anche se di fatto non sono ancora chiari i termini, né quali saranno i criteri scelti per stabilire chi ha diritto di restare e chi no. Quel che è certo è che le lettere sono bastate per gettare nel terrore decine e decine di famiglie. Mentre le istituzioni dovrebbero dare risposte sul modello abitativo della Milano del futuro, rimangono dati incontrovertibili: la capitale economica d’Italia è sempre più polarizzata. Chi guadagna meno fa sempre più fatica e di fatto viene espulso dalla città mentre cresce il numero dei residenti benestanti. Dal 2015 i prezzi delle case sono saliti del 65 per cento. In questo scenario la scelta di alienare i beni del Trivulzio non riguarda solo le finanze ma minaccia di stravolgere la missione fondamentale di assistenza che ha contraddistinto l’ente e la storia della città.

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