Volete sapere del nuovo mondo? Bisogna sapere di un programma militare. No, la disputa non è fra pacifisti in armi e guerrafondai di pace. Sì, la politica non c’entra nulla. Sta sotto, sopra, altrove. Non ha effetti pratici, pure se va in piazza a sventolare bandiere e srotolare striscioni. Il programma militare in questione ha una sigla facile da memorizzare, e conviene memorizzarla perché ne sentirete parlare spesso, almeno per i prossimi vent’anni: Gcap, anzi il Gcap. La sigla sciolta ha un effetto tonitruante: "Global combat air programme". Il programma militare Gcap riguarda aerei caccia di sesta generazione. Al momento il Gcap è in fase di ricerca e sviluppo. Le tappe previste sono tante e le scadenze, quando si va alla scoperta, al solito sono abbastanza ballerine: prototipo entro il 2030, entrata in servizio dal 2035. Il Gcap è supportato con la stessa quota, pari sono, da Gran Bretagna, Giappone e Italia, unica europea del sodalizio. È un’alleanza governativa che va oltre i governi che sovente cambiano, è un’alleanza industriale che vede capofila domestici Bae Systems per la Gran Bretagna, Mitsubishi per il Giappone, Leonardo per l’Italia. Per sapere del nuovo mondo bisogna sapere di Gcap perché un programma militare di questa taglia, per le risorse che mobilita e l’innovazione che apporta, incide sugli equilibri internazionali e, soprattutto, sui rapporti fra Stati. Un caccia di sesta generazione non è un aereo che sgancia bombe: scontato, ma necessario ripeterlo. Alle porte del Gcap, per esempio, da anni bussa l’Arabia Saudita e più volte l’America di Donald Trump ha intimato agli amici britannici, nipponici, italiani di aprire senza esitazione.
Per capire come si è arrivati al Gcap e perché il Gcap è così ambito è utile iniziare da una scheda che Guglielmo Maviglia, l’ingegnere di Leonardo che segue il programma militare, ha illustrato ai senatori riuniti per l’audizione in Commissione Esteri e Difesa. Il titolo è chiaro: "Cronologia delle interlocuzioni internazionali". Il primo dialogo per il Gcap, un progetto europeo per sostituire in futuro gli Eurofighter, risale a dieci anni fa. Già nel 2014 è fallito il dialogo di Francia e Gran Bretagna. Nel 2017 è fallito il dialogo di Francia e Svezia. Nel 2018 è fallita la collaborazione Gran Bretagna e Svezia con Francia e Germania. Sempre nel 2018 è fallito il dialogo Francia e Italia. Nel 2019 l’Europa si è divisa: da un lato Gran Bretagna, Svezia e Italia per il programma militare Tempest, dall’altro Germania, Francia e infine Spagna per il programma militare Fcas. Nel 2022 Gran Bretagna e Italia hanno cominciato a interloquire con il Giappone per fondere il Tempest con il nipponico F-X. Nel dicembre 2023 il Gcap è stato ufficialmente varato con un trattato sottoscritto dai governi di Londra, Tokyo, Roma e ha innescato le procedure nazionali: approvazione alle Camere, stanziamenti in Bilancio. Il Gcap è il quinto programma militare nel mondo, nel nuovo mondo, per dominare i cieli con i caccia di sesta generazione. In teoria. Esclusi i cinesi che sono sempre un mistero avvolto in un enigma, in pratica il Gcap è il programma militare più solido: l’Fcas europeo è parecchio indietro, l’americano F-47 è un annuncio recente di Trump, il russo Mikoyan pak dp è atteso per la metà degli anni Trenta, forse.
La definizione più corretta del Gcap la si trova nell’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa: "Il programma prevede concezione, progetto, sviluppo e acquisizione di un 'Combat Air System' di sesta generazione – Sistema-di-Sistemi – progettato per l’integrazione con la struttura operativa in essere e orientato alla cooperazione così da raggiungere prestazioni che risultino maggiori della somma dei sistemi costituenti". Vuol dire, ignorata l’enfasi, che l’Italia è pronta a dirottare su Gcap una mole enorme di risorse pubbliche per ricerca e sviluppo, soldi che altri settori se li sognano. L’Italia ha ipotizzato quasi 9 miliardi di euro da qui al 2050, ma il denaro certo, per ora, è di 506 milioni per il 2024, 144 per il 2025, 174 per il 2026, 575 per il triennio 27/29. L’integrazione più fresca è di 550 milioni di euro con la legge di Bilancio 2024, semplice prevedere una integrazione ogni anno. Il Giappone ha già puntato 850 milioni di euro per il 2025.
Più dei soldi, decine di miliardi, vale la condivisione tecnologia. Già oggi il Gcap impegna 450 entità nazionali e 9.000 dipendenti di Bae Systems, Mitsubishi, Leonardo. Per esempio Leonardo ha con sé Avio Aereo, Elettronica, Mbda. La ricerca e lo sviluppo di supercomputer e intelligenza artificiale in Italia passano per il Gcap. Può piacere e non piacere, ma è un fatto acclarato. Alla monarchia saudita piace molto: il Gcap potrebbe assegnare a Riad una supremazia totale – tecnologica e militare assieme – nella regione del Golfo. Però il principe ereditario Mohammad Bin Salman non ha altro da offrire che miliardi di dollari. Un paio di anni fa, nel mondo vecchio senza Trump, il governo di Londra era favorevole a un ingresso parziale dei sauditi in Gcap perché con Riad c’era una trattativa per la vendita di una grossa partita di caccia Eurofighter. L’Italia era abbastanza contraria. Il Giappone quasi indispettito. Adesso col ritorno di Trump e la riabilitazione internazionale dell’Arabia Saudita, già ingaggiata nel ruolo di mediatore per la guerra in Ucraina, si fa più fatica a respingere il corteggiamento di Riad. Prova ne è il viaggio a gennaio di Giorgia Meloni alla corte di Bin Salman con in delegazione Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo. Washington insiste per i sauditi perché preferisce il Gcap al franco-tedesco-iberico Fcas: i britannici sono parenti, gli italiani leali, i giapponesi strategici. Fonti di governo sono prudenti. La posizione con i sauditi è più morbida, ma resta "sospesa". Qualcosa verrà concesso, "non l’accesso a informazioni riservate".
A fronte di cospicui ordini di caccia – va ricordato che il successo di un programma militare si misura dal numero dei clienti – gli azionisti di Gcap potrebbero coinvolgere l’Arabia Saudita, e pure gli Emirati Arabi Uniti, in fase di produzione. Come è avvenuto in Italia per l’americano F-35. Si apre una fabbrica in Arabia Saudita, si istruiscono ingegneri e operai locali, e si accontenta la famiglia reale. I britannici sono più disponibili verso l’esterno e dunque verso Riad: "I partner di Gcap si sono sempre dimostrati aperti a collaborare con altre nazioni mantenendosi in linea col programma", dice a L’Espresso un portavoce del ministero della Difesa. Da Londra però, sollecitati su Riad, sono cauti: "Le modalità di coinvolgimento di altri Paesi saranno basate su considerazioni condivise di reciproco vantaggio e su ciò che è meglio per il programma". Per il programma sarebbe "meglio", per usare l’assioma britannico, far confluire in Gcap francesi, tedeschi, spagnoli, non soltanto per spirito europeo e semmai per sfruttare i piani per la Difesa della Commissione, ma per attingere dalle capacità altrui. Influenza americana, rilevanza delle petromonarchie, compattezza europea: il Gcap ci farà presto sapere del nuovo mondo. Per una volta l’Italia si trova dalla parte giusta. Per fare bene. E anche per sbagliare.