Il tribunale di Milano ha messo sotto tutela l'azienda dell'omonimo gruppo d'alta moda per "omesso controllo": turni massacranti e dipendenti "sempre a disposizione del datore di lavoro". Nei mesi scorsi stessa misura per Armani, Dior e Alviero Martini

"Lavoratori cinesi sfruttati e sorvegliati in opifici dormitorio": Valentino Bags Lab in amministrazione giudiziaria per caporalato

L’ennesimo capitolo di un lungo, lunghissimo filone di indagini della procura di Milano, coordinate sempre dal pm Paolo Storari, sul fenomeno del caporalato. Oggi – 15 maggio – è il turno di una società del gruppo Valentino, la Valentino Bags Lab Srl, che produce borse e accessori da viaggio,  messa in amministrazione giudiziaria su un presunto “omesso controllo” sullo sfruttamento del lavoro, cioè per aver agevolato questi comportamenti nell’intera filiera produttiva. Al centro delle accuse le condizioni di alcuni opifici cinesi – anche la nazionalità cinese dei lavoratori è un elemento che torna ciclicamente in questo genere di indagini – nella lunga catena dei subappalti della produzione. Un tema di cui L'Espresso si era occupato la scorsa estate, con un'inchiesta sulle "due facce della moda".

"Condizioni di sfruttamento dei lavoratori"

Gli accertamenti condotti dal Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri hanno riguardato sette stabilimenti “a conduzione cinese” dove sono verificate “condizioni di sfruttamento dei lavoratori”, come si legge nel decreto emesso dai giudici Rispoli, Spagnuolo Vigorita e Canepari. Per il tribunale milanese, “è fuori di dubbio che Valentino Bags Lab non abbia effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione", senza accertare la “filiera dei sub-appalti”, la lunga catena di affidamenti esterni dietro cui si nascondono, spesso, situazioni di sfruttamento. Tra gli elementi che emergono dalle carte dell'inchiesta anche la "mancanza dei sistemi di protezione dei macchinari”. Oltre all’amministrazione giudiziaria per la società, che verrà d’ora in poi gestita da un amministratore ad hoc, per sette titolari di aziende, anch’essi di origine cinese, sono state comminate multe di 286 mila euro e sanzioni amministrative pari a 35 mila euro.

"Massimizzazione dei profitti"

Dalle indagini come “la casa di moda affidi, attraverso una società in house, la creazione, produzione e vendita delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l'intera produzione di parte della collezione di borse e accessori a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. La Valentino Bags Lab Srl provvedeva poi alla prototipazione delle borse e degli accessori da viaggio, mentre per la riproduzione su larga industriale "può competere sul mercato solo esternalizzando le commesse a opifici gestiti da cittadini cinesi, i quali anche mediante il ricorso a sub appalti non autorizzati riescono ad abbattere i costi ricorrendo al sistematico impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento". Un sistema, si legge ancora, che “consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo l'opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro facendo ricorso a manovalanza 'in nero' e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”.

Le testimonianze dei lavoratori

Dalle testimonianze allegate al decreto della procura di Milano emergono particolari che ben restituiscono lo stato in cui lavoravano i dipendenti cinesi. Negli opifici c’erano stanze “dormitorio”, “ragazze cinesi” che iniziavano a lavorare per la “cucitura” e “l’incoraggio pelli” ben prima delle 8 di mattina e che “continuano ancora” dopo le 19, per oltre 13 ore di attività. Non solo: c’erano anche lavoratori “in nero” che “dormono e mangiano al piano superiore”. C’erano dipendenti,”anche senza permesso di soggiorno, che “si trovavano in situazioni abitative degradanti" negli “stessi luoghi di lavoro o in stabili adiacenti”, con "ambienti abusivi e insalubri". Operai, si legge ancora, “sempre a disposizione del datore di lavoro e di fatto continuamente sorvegliati”.

I precedenti di Armani, Dior e Alviero Martini

Com’è noto, non è la prima inchiesta milanese sullo sfruttamenti dei lavoratori da parte delle case d’alta moda. In passato erano finite in amministrazione giudiziaria anche aziende controllate da altri grandi gruppi come Armani, Dior e Alviero Martini. Procedimento poi “tutti conclusi positivamente con la revoca della misura”. Valentino Bags Lab, nonostante queste vicende abbiano avuto “risonanza mediatica” – scrivono i giudici – “ha continuato ad operare con fornitori che sfruttano i lavoratori e che utilizzano manodopera in violazione delle norme di sicurezza”.

L'inchiesta de L'Espresso sui lavoratori dell'alta moda

Già quest’estate L’Espresso si era occupato del tema, con un’inchiesta di Fabio Pavesi e Gloria Riva che raccontava, tra le altre cose, che nelle case d'alta moda la voce salariale era infinitesimale rispetto ai ricavi. In quell’occasione il nostro giornale aveva messo in fila conti delle griffe, unite dal filo rosso dei grandissimi profitti e della manodopera sottopagata. La Manufactures Dior, che a sua volta subappaltava a imprenditori cinesi la fabbricazione dei capi, nel 2023 dichiara incassi per 688 milioni di euro, mentre gli stipendi si sono fermati a 48 milioni: nei fatti solo il 7% sui ricavi totali. L’anno prima, addirittura, incidevano soltanto per il 5 per cento. Siamo ben al di sotto della media settoriale che, dice l’Istat, si attesta al 14-15 per cento del fatturato.

 

Un canovaccio analogo per Giorgio Armani Operations, che raggruppa gli stabilimenti produttivi dell’impero dello stilista piacentino: ha chiuso il 2022 con ricavi a sfiorare i 900 milioni di euro, con un incremento del 33% sull’anno precedente. Vendite in forte progresso, come l’utile operativo salito da 59 a 74 milioni. Tolti i costi degli acquisti di materie prime e per i servizi, il costo del lavoro vale meno del 7% del fatturato. Per i 1.200 dipendenti, la spesa tra salari e contributi è stata di poco più di 62 milioni di euro, in crescita di 3 milioni. Quindi, mentre il fatturato e gli utili salivano a razzo, i salari restavano quasi fermi.

 

Anche la Alviero Martini è incorsa nell’amministrazione giudiziaria per gli stessi motivi di Armani Operations. Nel 2022 ha fatturato 52 milioni di euro, con costi della produzione per 47 milioni e utili per 3,3 milioni. La voce residuale tra gli oneri di bilancio è proprio il costo del lavoro, che incide per 5,8 milioni. L’azienda aveva spiegato a L’Espresso: “I costi della manodopera per la fabbricazione dei prodotti su larga scala sono da ritrovarsi nelle voci di acquisto di prodotti e servizi, e non all’interno dei costi del personale”.

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