Il direttore Carbone: "Vigileremo sul Ponte sullo Stretto". Nel documento della Direzione investigativa antimafia focus anche su camorra, cosa nostra e criminalità pugliese. Nel 2024 confiscati beni per 160 milioni di euro

Mafia, la relazione della Dia: "Almeno 48 locali di 'ndrangheta al Centro e al Nord. Cresce l'interesse per le grandi opere"

L’ultima relazione al Parlamento sull’attività svolta dalla Direzione investigativa antimafia nel 2024, presentata oggi – 27 maggio – a Roma nella sede della stampa estera, fotografa e conferma quel che ormai si può considerare un elemento consolidato: tra le organizzazioni criminali in Italia, la più potente è la ‘ndrangheta, che ha ormai da tempo stabili radici al di fuori della Calabria. È un fenomeno, scrive la Dia, “ormai consolidato e riconosciuto fuori dalla regione di origine in Italia e all'estero. Le più recenti risultanze giudiziarie attestano l'operatività di almeno 48 locali di 'ndrangheta tra il Centro e il Nord Italia, non solo insediando quelle realtà economico-imprenditoriali, ma replicando anche i modelli mafiosi originari che si fondano sui valori identitari posti alla base delle loro strutture”. Tradotto: la ‘ndrangheta non cambia natura quando si insedia in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Emilia-Romagna. Il fenomeno è di portata nazionale e internazionale, ma le radici continuano a essere in Calabria, “fonte di legittimazione di tutte le decisioni strategiche”. A dimostrazione della forza della 'ndrangheta al di fuori della Calabria basta vedere come il 72 per cento delle interdittive della Dia sono state emesse fuori dalla regione d'origine: un dato che dà l'idea delle capacità d'infiltrazione.

 

“Per favorire l’espansione territoriale anche nelle regioni del Centro e del Nord Italia, le cosche hanno fatto leva sulla capacità di instaurare rapporti con clan appartenenti ad altri organizzazioni mafiose di diversa estrazione e origine”. Uno degli esempi più lampanti, ma l’elenco potrebbe essere lungo, è l’inchiesta Hydra condotta dalla procura di Milano che proprio in questi giorni è entrata nel vivo con l’avvio delle udienze preliminari e che ipotizza l’esistenza di un network criminale che “catalizza e gestisce risorse finanziarie, relazionali ed operative di compagini di camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra, attraverso uno stabile vincolo associativo.

Una 'ndrangheta "proteiforme"

Quello che emerge dalla relazione della Dia è l’immagine di una ‘ndrangheta “proteiforme”, che si distingue per la vocazione affaristico‐imprenditoriale e per il ruolo di protagonista di rilievo nell'ambito del narcotraffico internazionale. Una conferma di quanto scritto dall’organismo interforze nato nel 1991, una delle intuizioni di Giovanni Falcone, è arrivata la scorsa settimana con l’inchiesta “Millenium” condotta dalla procura di Reggio Calabria e che ha portato all’arresto di 97 persone: quel che è emerso è la persistenza di un organo collegiale – che dimostrerebbe la persistenza dell’organizzazione unitaria della ‘ndrangheta – che gestiva in regime di monopolio il traffico internazionale di cocaina, con contatti direttissimi e paritari con i cartelli sudamericani. Seguire i movimenti economici continua a rimanere la strategia principale per capire come si muovono e come si trasformano le organizzazioni mafiose. “Le cosche – si legge nella relazione – avrebbero evidenziato un crescente interesse nel controllo delle grandi opere pubbliche e nella gestione delle risorse economiche degli enti locali, come nel caso delle aziende ospedaliere o dei servizi di raccolta rifiuti”. E sugli appalti per il Ponte sullo Stretto, ha garantito il direttore della Dia Michele Carbone, “siamo pronti a svolgere l'attività di prevenzione che sarà decisa dagli organi istituzionali. Abbiamo già un background molto importante di esperienza, di capacità, di risorse”. Ma la Dia dice anche un’altra cosa importante, che smentisce le teorie che vorrebbero una ‘ndrangheta totalmente finanziarizzata che ha abbandonato i suoi metodi tradizionali: “Pur facendo ampio ricorso a strategie di tipo collusivo e corruttivo per imporre la propria supremazia nei settori legali di interesse, la ‘ndrangheta non ha mai dismesso l'uso efferato della violenza, strumento imprescindibile per rimarcare l'autorità dei clan nei contesti territoriali locali”. 

160 milioni di beni confiscati nel 2024

Ovviamente, non c’è solo la ‘ndrangheta. Nel 2024 la Dia ha sequestrato beni per 93,4 milioni e confiscato beni per 159,9 milioni. In particolare, sono stati sequestrati beni per 56,7 milioni alla camorra, per 15,9 milioni alla ‘ndrangheta, per 13 milioni alla mafia foggiana e per 5,9 milioni a Cosa nostra; confiscati beni per 104 milioni a Cosa nostra, per 30,9 milioni alla camorra, per 8,1 milioni alla ‘ndrangheta e per 2,2 milioni alla mafia foggiana. I monitoraggi antimafia effettuati lo scorso anno sono 1.980 nei confronti di altrettante imprese. Nello stesso periodo, sono stati effettuati 22.949 approfondimenti sulle persone fisiche collegate a vario titolo alle imprese stesse.

"Alcuni imprenditori da vittime a complici"

"Le infiltrazioni mafiose – ricorda il report – possono estendersi anche alla fase successiva all'aggiudicazione dell'appalto: le imprese vincitrici, infatti, sono spesso costrette a subappaltare attività ad aziende affiliate alla criminalità, come il noleggio di mezzi a freddo o a caldo, la fornitura di materiali edili, i lavori di movimento terra, la sorveglianza dei cantieri, il trasporto di rifiuti in discarica”. La relazione della Dia dice un’altra cosa significativa, che chiarisce meglio il rapporto cosche-imprenditorialità: “Non di rado, l'accentuazione della vocazione economica delle consorterie si sposa, soprattutto nelle regioni trainanti per l'economia dove maggiore è la presenza imprenditoriale e più vivaci gli scambi finanziari, con la determinazione di evadere il fisco da parte di alcuni titolari di imprese che tendono ad aggirare le regole della libera concorrenza, ignorando i comportamenti fiscalmente corretti. Quando, infatti, le tangenti frutto della prevaricazione delle consorterie vengono coperte da fatture fittizie, trasferendo il costo della mazzetta sul piano fiscale, si ottiene la convenienza da parte dell'imprenditore vittima a non denunciare l’estorsione”.

Cosa nostra in cerca di leader

Nella fotografia scattata dalla Dia, Cosa nostra è ancora un’organizzazione in cerca di leadership che, al netto di diversi tentativi, non è ancora riuscita a ristrutturarsi come era ai tempi dei corleonesi (tra l’altro, per una mera casualità, la nuova relazione è stata pubblicata nel trentaduesimo anniversario della strage di via de’ Georgofili, a Firenze). “La prolungata assenza di una leadership solida e riconosciuta ha determinato ciclici avvicendamenti e tentativi di stabilizzazione tra le nuove e le vecchie generazioni, configurando un modello di coordinamento fondato sulla condivisione delle linee d'indirizzo e su una gestione operativa ‘intermandamentale’". “Considerate le complesse relazioni tra le famiglie di Palermo e della Sicilia occidentale e gli altri clan presenti nella Sicilia orientale – si legge ancora – gli attuali equilibri si configurano come assetti a 'geometria variabile', in ragione della fluidità delle leadership criminali e dei business illeciti oggetto di contesa, elementi che generano alleanze e tregue tra i diversi clan”. Per la Dia, “Cosa nostra manifesta una presenza capillare su tutta l'isola, con proiezioni che, già nei decenni passati, si sono estese all'estero. I principali interessi criminali includono il traffico di stupefacenti, che ha visto la capacita' di instaurare relazioni e forme di cooperazione con 'ndrangheta, camorra e soggetti stranieri per l'approvvigionamento della droga; le estorsioni, che costituiscono uno strumento tradizionale di controllo territoriale, oggi caratterizzate da modalita' persuasive che evitano la violenza, limitandosi all'imposizione di forniture di beni, servizi e manodopera a prezzi maggiorati; il gioco e le scommesse online, funzionali al controllo del territorio e al riciclaggio dei capitali illecitamente accumulati”. “L'interesse mafioso – conclude la Relazione – si estende altresì ai settori dell'economia legale: l'infiltrazione nei processi decisionali degli enti locali, l'acquisizione diretta o indiretta di attività economiche tramite imprenditori compiacenti e prestanome, l'infiltrazione del comparto agro-alimentare mediante truffe finalizzate all'indebita percezione di finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo agro-pastorale”.

La camorra

I numeri sulla camorra parlano di 240 misure interdittive antimafia nel corso del 2024, di cui 232 nelle sole province di Napoli e Caserta. La struttura della camorra, rispetto a Cosa nostra e ‘ndrangheta, è storicamente stata più diffusa e meno accentrata. “Con il termine camorra – scrive infatti la Dia – viene definito il fenomeno mafioso campano nelle sue diverse forme, che assume specifiche peculiarità in ragione dei differenti contesti territoriali in cui ha avuto origine e si è evoluto. Accanto ad organizzazioni criminali che potrebbero essere definite, per struttura e per capacità delinquenziali, di 'livello inferiore' – condensate attorno a piccoli nuclei familiari e orientate principalmente allo spaccio di stupefacenti e alle pratiche estorsive ai danni di attività commerciali, oltre che ai più comuni reati predatori – coesistono organizzazioni mafiose di più lunga tradizione, che nel tempo si sono evolute in strutture organizzative più complesse per il conseguimento di una molteplicità di interessi illeciti. Queste ultime protendono verso alleanze che spesso si consolidano in 'cartelli' o 'confederazioni' e adottano strategie sistemiche all'interno del contesto socio-economico in cui operano anche oltre le aree di tradizionale immanenza, agendo come vere e proprie 'imprese mafiose’”.

La criminalità pugliese

Nella relazione della Dia c’è anche una corposa parte dedicata alla criminalità pugliese, su cui negli ultimi anni si è alzata l’attenzione degli inquirenti e che ha conquistato un “posto d’onore” accanto alle altre storiche mafie. “Lo scenario mafioso pugliese è costituito da una pluralità di organizzazioni criminali, per lo più autonome, caratterizzate da un accentuato dinamismo conseguente agli altalenanti rapporti di conflittualità e alleanze interni”. Il contesto criminale pugliese viene suddiviso tradizionalmente in camorra barese, mafie foggiane e sacra corona unita, che tuttavia all'occorrenza realizzano tra loro, in maniera sinergica, forme di strategica collaborazione funzionali al soddisfacimento di remunerativi e comuni interessi illeciti. Il traffico di stupefacenti si conferma il “core business” della criminalità pugliese, “grazie alla sua elevata redditivita”. Settore, questo, “ulteriormente rafforzato dalla creazione di solidi legami con altre organizzazioni criminali che garantiscono privilegiati canali di approvvigionamento dello stupefacente sia esteri (Albania e Spagna) sia nazionali (trafficanti calabresi)”.

 

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