Sono trascorsi tre anni da quando la Regione Piemonte ha avviato il Fondo Vita nascente, con l’obiettivo dichiarato di favorire la tutela sociale della maternità. Creato per destinare aiuti economici «a gestanti e neomamme», gli stanziamenti sono aumentati di anno in anno e oggi superano complessivamente i tre milioni di euro. Il fondo è rivolto a organizzazioni che operano per la tutela materno-infantile e a beneficiarne, dal 2022, sono le associazioni antiabortiste, insieme a una fondazione che dice di occuparsi di sperimentazione in ambito scientifico e sociale, con focus sull’ambiente.
Intanto, in Piemonte come altrove, il progressivo smantellamento della medicina territoriale sta riducendo gli spazi di accesso alla salute sessuale e riproduttiva. Per Tullia Todros, ex direttrice del Dipartimento di Ostetricia e Neonatologia dell’ospedale Sant’Anna di Torino e referente della rete femminista + di 194 voci: «Il vuoto creato dalle istituzioni nei servizi sanitari pubblici limita il diritto alla salute e viene progressivamente occupato da altri, ovvero dalle cosiddette associazioni pro vita».
In questa regione, dal 2020 l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) farmacologica nei consultori è vietata, in contrasto con le linee guida del ministero della Salute. Nello stesso anno, il governo regionale di centrodestra ha iniziato a favorire l’ingresso dei movimenti antiabortisti nei consultori e negli ospedali piemontesi. Una delibera regionale dedicata permette infatti la loro iscrizione ai registri delle Asl, dove possono aprire sportelli informativi. La stessa delibera ha dato modo a queste associazioni, nel luglio 2023, di inserirsi nell’ospedale Sant’Anna di Torino con la cosiddetta Stanza dell’ascolto.
Il Sant’Anna è uno dei principali punti nascita della città. Al suo interno si concentra da anni anche la maggioranza delle ivg ospedaliere a livello nazionale. «Nel 2024 sono state 2.039 – spiega Silvio Viale, primario di ginecologia e responsabile del servizio di ivg dell’ospedale – È il numero più alto in Italia nonostante le ivg presso il Sant’Anna siano diminuite, come anche nel resto del Piemonte, mentre a livello nazionale si registra un aumento».
A chi critica la presenza di un’associazione antiabortista all’interno dell’ospedale, Claudio Larocca, presidente della Federazione del Movimento per la vita di Piemonte e Valle d’Aosta e del Centro di aiuto alla vita di Rivoli – le due associazioni che hanno sottoscritto l’intesa per l’apertura della Stanza – risponde che con questo servizio «si intende applicare interamente la legge 194, in particolare quella parte preventiva rimasta inattuata che prevede anche il coinvolgimento del volontariato nella rimozione delle cause che potrebbero portare all’interruzione di gravidanza».
Nel suo statuto, il Movimento per la vita italiano si oppone tuttavia alla legge 194 e «a ogni provvedimento che voglia introdurre o legittimare pratiche abortive». Per il Movimento la legge è «ingiusta» e «rimuoverla – si legge nei documenti pubblicati sul sito – è un obiettivo ineliminabile». A febbraio 2025 la presidente nazionale del Movimento per la vita Marina Casini ha inoltre ribadito a Famiglia Cristiana che l’aborto non è un diritto.
Intervistato nel corso di questa inchiesta sull’andamento dell’iniziativa, Larocca ha fatto sapere che, da quando la Stanza dell’ascolto è stata inaugurata, i volontari che se ne occupano hanno ricevuto una decina di contatti tramite il servizio dedicato via chat e via telefono, «a cui sono seguiti tre o quattro incontri di persona, non tutti all’interno della stanza». Per Laura Onofri, presidente dell’associazione Se Non Ora Quando Torino: «Sulle modalità di assistenza fornite nella Stanza dell’ascolto non c’è trasparenza. Non si sa nulla neppure sul tipo di formazione dei volontari che dovrebbero operare al suo interno, visto che la formazione dalla Regione non è richiesta e non si conosce di che tipo sia».
L’inserimento della Stanza dell’ascolto nell’ospedale ha assunto fin da subito un ruolo politico divisivo, ma stando alle rendicontazioni dei progetti finanziati dal Fondo Vita nascente, ottenute tramite richiesta di accesso agli atti alla Regione Piemonte, non è la prima volta che le associazioni antiabortiste sono presenti in questo luogo. Il Sant’Anna, già nel 2022, viene citato da due associazioni che beneficiano del fondo regionale come uno degli enti collaboratori coinvolti nell’attuazione delle loro iniziative. Movimento per la vita Torino e Promozione vita dichiarano in particolare di ricevere dall’ospedale «consulenze ostetriche-ginecologiche».
Le rendicontazioni visionate risalgono al 2022 e al 2023, periodo in cui le associazioni antiabortiste riportano di aver speso la maggior parte dei soldi ricevuti dalla Regione per fornire rimborsi di pagamenti alle donne che lo hanno richiesto. Si tratta in particolare di spese condominiali, bollette, rate di affitti e mutui, acquisto di elettrodomestici, latte e pannolini, ma anche di «piccole spese» generiche, «alimentazione per adulti» e «scarpe pesanti per donna».
In assenza di criteri che stabiliscano delle condizioni reddituali per l’assegnazione degli aiuti economici alle utenti e di criteri di rendicontazione specifici, i documenti ottenuti sono stati compilati in modo discrezionale dalle varie associazioni, tra informazioni lacunose o assenti che non permettono di comprendere a pieno l’uso di questi fondi e a chi sono destinati.
Poco è dato sapere sui profili e sulle condizioni delle donne che accedono a questo tipo di sostegno. Elenchi scarni di informazioni si alternano ad altri più dettagliati, dove tre associazioni indicano che alcune delle donne che si sono rivolte a loro, intercettate anche tramite i servizi sociali, hanno subito violenza domestica. Ospitate presso strutture alberghiere pagate dalle associazioni, dopo essersi allontanate da casa insieme ai figli, queste donne hanno ricevuto denaro per comprare beni di prima necessità. Come si legge infatti nelle rendicontazioni, allontanandosi dai propri partner le donne avevano perso «ogni fonte di sostentamento».
Silvia Lorenzino, avvocata che collabora con i centri antiviolenza e formatrice sulla tematica della violenza di genere, ritiene la dinamica descritta particolarmente grave: «Ciò che sembra verificarsi è che donne vittime di violenza, in situazioni di difficoltà e di dipendenza economica dal partner, invece di essere informate del loro diritto a rivolgersi ai centri antiviolenza, vengono indirizzate in modo inappropriato proprio dagli stessi servizi sociali che dovrebbero orientarle correttamente». Secondo l’avvocata, in questo modo le donne vengono private della possibilità di ricevere strumenti fondamentali come il reddito di libertà, e di accedere a percorsi adeguati: «Le associazioni antiabortiste non consentono a queste persone di autodeterminarsi in un percorso di emancipazione che possa farle uscire in modo strutturato da situazioni di violenza fisica, psicologica ed economica».
Il ruolo dei servizi pubblici nel segnalare le donne alle associazioni antiabortiste e viceversa è un elemento comune presente nella maggior parte delle rendicontazioni ottenute. Secondo i documenti, l’intercettazione delle utenti passa dalle parrocchie e dalla rete territoriale, ma a indirizzare le donne verso i gruppi pro vita sono spesso anche i servizi sociali e gli uffici pubblici locali, sulla base di un «accordo diretto» con le associazioni.
*Questo articolo è parte di un’inchiesta finanziata nell’ambito di S-Info, progetto co-finanziato dalla Commissione Europea che ha come capofila Tele Radio City scs e vede la partecipazione di partner da Italia, Belgio, Malta e Romania. L’inchiesta completa verrà pubblicata sul sito sinfo-project.eu e su Globalproject.info