I non italiani che finiscono nel circuito penale vengono inghiottiti da un sistema che non capiscono, vedendosi così negate misure alternative. Per questo a San Vittore c’è uno sportello dedicato a loro

Colpevole due volte: quando il recluso è anche migrante

«Quando per una serie di ragioni una persona migrante finisce nel circuito penale italiano, vive una condizione peggiore». A parlare è l’avvocato Paolo Oddi che, assieme alla professoressa di diritto penale Angela Della Bella, ha aperto uno sportello di informazione giuridica per detenuti non italiani in una delle carceri più sovraffollate e con più stranieri del Paese: la Casa circondariale di San Vittore, Milano.

 

«Oltre a dover affrontare le difficoltà del processo, che non è pensato per far capire lo straniero – continua Oddi –, è anche difficile per loro accedere a misure alternative». Magari il migrante è irregolare e non ha i documenti per dimostrare che ha un alloggio. E allora niente arresti domiciliari. Anche per questo «c’è più carcerazione per il migrante ed è più facile che rimanga chiuso negli istituti penitenziari». Per definire questa condizione è stato coniato il termine crimmigration, che identifica proprio «lo spazio di interferenza tra diritto penale e diritto dell’immigrazione», spiega Oddi.

 

È un mix che crea bombe a orologeria. Non solo una somma di due disagi, ma un aumento esponenziale delle difficoltà. È da qui che arrivano i disastri annunciati – dai suicidi alle rivolte nelle carceri – protagonisti di articoli sui giornali e servizi nei tg. Anzi, arrivano da più lontano. «Per il migrante la cosa più importante è il suo progetto migratorio. Ha investito denaro, risorse, ha affrontato viaggi spaventosi. Quando poi si vede di fronte al fallimento del progetto migratorio va in grave crisi». Oppure è un migrante regolare, magari con una famiglia. Ma se commette un reato arriva sempre il provvedimento di espulsione. «Su questo si giocano le battaglie legali della crimmigration, in cui si richiede al giudice un bilanciamento tra il reato commesso e i diritti fondamentali della persona». Anche quello all’unità familiare e al rispetto della vita privata sono presenti nelle carte dei diritti dell’uomo.

 

“Questioni di crimmigration” è anche il nome del corso universitario di Oddi. Lì studenti e studentesse discutono i casi penali che incontrano a San Vittore durante il tirocinio allo sportello. L’obiettivo di Oddi e Della Bella è creare un luogo per spiegare ai detenuti alcune questioni tecniche che non conoscono. Oddi racconta di un ragazzo egiziano arrestato a Catania che si era trasferito a Milano dopo essere stato scarcerato. Il tribunale ha riformato l’ordinanza e lui è stato portato a San Vittore dopo un controllo. «Con lo sportello abbiamo rimesso in comunicazione l’assistito con il suo difensore che non sapeva più dove fosse». Gli stranieri brancolano nel buio di un sistema che non si preoccupa di spiegargli cosa possono fare. O magari qualcuno glielo spiega, ma non sempre nella loro lingua.

 

«A San Vittore trovi chi è stato arrestato il giorno prima in seguito alla retata fatta in strada o quello che non ha capito come andare a presentarsi in Polizia e viene rimesso in carcere. Questo scatena una dinamica molto ansiogena». Anche perché molti dei detenuti sono persone fragili, «una popolazione talmente deprivata, soprattutto giovane, che magari fa uso di sostanze». In tre ammassati in stanze da due. Così si alimentano «frustrazioni che a volte si aggiungono a delle fragilità psichiche già importanti», conclude Oddi.

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