Il trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri è un “assoggettamento fisico all’altrui potere” che incide sulla libertà personale. Da questa definizione della Corte costituzionale discendono una serie di conseguenze perché, di fatto, la detenzione nei Cpr viene parificata a quella in carcere. Come spiega la Consulta, la disciplina vigente sui Cpr non rispetta la riserva di legge in materia di libertà personale sancita dall’articolo 13 della Costituzione. Tuttavia, la Corte non può introdurre una “normativa compiuta” perché fare leggi spetta per definizione al legislatore.
Con la sentenza di oggi - 3 luglio - la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 14 del decreto legislativo del 1998 che, durante il governo Prodi I, ha introdotto i Cpr in Italia. Le questioni erano state rimesse dal Giudice di pace di Roma, chiamato a convalidare provvedimenti di trattenimento di stranieri in un centro di permanenza per i rimpatri. La sentenza ha rigettato il ricorso perché non titolata a intervenire per introdurre una normativa primaria, ma ha comunque ritenuto sussistente il vulnus denunciato con riguardo alla riserva assoluta di legge. Perché - questo il ragionamento dei giudici costituzionali - la normativa vigente, contenuta in regolamenti e provvedimenti amministrativi, non è idonea a definire precisamente i “modi” della restrizioni e, nello specifico, i diritto delle persone trattenute.