Strette di mano, foto di rito, visite di cortesia: ma di relazioni e denunce sulle condizioni dei penitenziari neanche l’ombra. Così la destra ha svuotato un presidio dei diritti dei reclusi

Pure il garante dei detenuti chiude gli occhi sulle carceri

L’ultima visita risale allo scorso 12 giugno, alla casa circondariale di Potenza. Sul sito del Garante nazionale delle persone private della libertà è pubblicata la foto di rito. Ritrae – sorridenti – l’avvocata Irma Conti – membro del collegio del Garante che è presieduto da Riccardo Turrini Vita – e il direttore del carcere. Tre righe di didascalia e stop. Non c’è traccia di un rapporto sulle condizioni della struttura né su quelle di detenzione, non si sa se siano state riscontrate illegalità. Non c’è traccia di report nemmeno a conclusione delle visite precedenti. Taranto, Bari, Brindisi, Trani, solo per fare qualche esempio. «In un anno abbiamo fatto quasi 87 visite per un totale di oltre 80mila chilometri percorsi», assicura Irma Conti. Quanto ai report: «Vengono pubblicati solo quando termina l’interlocuzione con l’amministrazione di riferimento». Amministrazione che per le carceri è quella penitenziaria. E che in realtà avrebbe 30 giorni di tempo per rispondere ai reclami. Tutto si è invece incomprensibilmente dilatato da oltre un anno a questa parte. E cioè da quando è stato nominato il nuovo collegio, alla fine del gennaio 2024. Perché per trovare un rapporto – che è un obbligo di legge – bisogna risalire all’11 novembre dello scorso anno. E non si riferisce alle carceri ma ai Cpr (centri di permanenza per i rimpatri) di Trapani, Caltanissetta, Roma Ponte Galeria. Relazioni pubblicate peraltro con ritardo, dato che si riferiscono a ispezioni fatte tra il 5 febbraio e l’11 maggio, diversi mesi prima. Ma almeno queste ci sono

 

Del resto invece non si sa nulla, il Garante ha pubblicato solo una carrellata di foto, alternate ad analisi di dati statistici. Non sappiamo se sono stati acquisiti atti, documenti, testimonianze. Non sappiamo se le visite sono state a sorpresa – come dovrebbe essere – né che cosa hanno appurato. Non lo sa nemmeno il Parlamento. L’ultima relazione risale al 15 giugno del 2023 e fu presentata dall’allora presidente del Garante, Mauro Palma. Poi il silenzio. E una attività che il collegio asserisce essere intensa ma della quale non c’è evidenza se non tante passerelle di cui sono protagonisti comandanti della polizia penitenziaria, provveditori regionali, direttori e vicedirettori.

 

«Indipendentemente dall’idea che abbiamo della pena – dice ora Palma –, su una cosa dovremmo essere tutti d’accordo: il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, che condanna trattamenti contrari al senso di umanità e dice che le pene devono tendere alla rieducazione». Che cosa non sta funzionando nell’attività del nuovo Garante? Il presidente Turrini Vita ha sostituito in corsa, nell’ottobre scorso, Maurizio D’Ettore, deceduto pochi mesi dopo la nomina: era subentrato a Palma. Turrini Vita è un ex magistrato, giudice prima a Pordenone poi a Roma, con una carriera maturata tutta all’interno del ministero della Giustizia, come vicecapo del dipartimento di giustizia minorile e dirigente del Dap, il dipartimento di amministrazione penitenziaria. In pratica: oggi fa il controllore e fino a poco tempo fa era il controllato.

 

L’organismo, istituito nel 2013 con il decreto legge 146, dispone di uno staff di 25 persone che si aggiungono ai tre componenti il collegio: oltre a Irma Conti e Turrini Vita, Mario Serio, docente di Diritto civile all’Università di Palermo. Dello staff fanno parte anche agenti della polizia penitenziaria, che durante le visite non possono qualificarsi. Ai tempi di Palma erano sei, adesso sono raddoppiati. La conferma che le cose non stanno procedendo per il verso giusto arriva dall’avvocato Michele Passione, storico legale di parte civile del Garante nei processi per abusi, maltrattamenti e torture ai danni di detenuti. Si è da poco dimesso. Passione ricorda che un tempo la squadra del Garante entrava nelle carceri a sorpresa alle 8 o alle 9 del mattino. «Acquisivamo documenti e verificavamo eventuali abusi e violazioni – dice Passione – Poi redigevamo una relazione. Se l’amministrazione rispondeva offrendo una spiegazione convincente a ciò che avevamo rilevato tutto finiva lì, altrimenti la relazione veniva pubblicata. Oggi tutto è cambiato, si ha l’impressione che ci sia più attenzione all’incontro con le autorità che all’effettiva situazione delle carceri».

 

Passione inviava atti e informazioni sui processi in corso per maltrattamenti e torture: San Gimignano, Santa Maria Capua Vetere, Reggio Emilia, Verona. Da mesi non riceveva più risposte. «Quando sono emersi i gravissimi fatti di violenza nei confronti dei giovani detenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano – ricorda Passione – ho scritto immediatamente, sollecitando la costituzione di parte civile per poter partecipare a un eventuale incidente probatorio. Anche in quel caso non ho ricevuto risposta». Per lui la questione è adesso tutta politica: «Ho visto che il nuovo orientamento va in una direzione opposta alle prerogative del Garante e ho fatto due più due». Irma Conti giura adesso che solo il decesso dell’ex presidente D’Ettore ha rallentato l’iter per la presentazione della relazione al Parlamento. E che entro breve sarà fissata una data. Poi, per lei, non esiste un’emergenza. «Semplicemente perché la situazione delle carceri è cronica e patologica», dice. Novemila detenuti in custodia cautelare, in attesa di giudizio. Circa ventimila con pene inferiori ai cinque anni. L’ultima analisi dei dati fatta dal Garante e aggiornata alla fine di maggio dice che sono una cospicua parte delle 62.722 persone recluse, a fronte di appena 46.706 posti effettivamente disponibili. Dimenticate.    

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