Attualità
12 agosto, 2025Siamo un Paese tropicale part-time. Il piano di prevenzione scade quest’anno, ma perché funzioni occorre un circuito virtuoso di sorveglianza e contenimento
È dal 2009 che il virus West Nile, arrivato in Italia (e in altri Paesi dell’Europa centro-meridionale) dall’Africa sub-sahariana attraverso le rotte degli uccelli migratori, ogni anno ricompare, soprattutto in Pianura Padana, durante il periodo estivo. Trasmesso attraverso la puntura della zanzara comune, la cosiddetta Culex, il virus ha il suo serbatoio negli uccelli migratori, ma infetta in maniera più o meno virulenta anche diversi uccelli stanziali. L’uomo, così come il cavallo, è considerato un dead-end host, ovvero, una volta infettatosi, può sviluppare la malattia ma non trasmette a sua volta l’infezione. Ciò differenzia il comportamento del virus West Nile da quello di altri virus trasmessi da vettori, quali ad esempio dengue o chikungunya, che hanno un ciclo di trasmissione uomo-zanzara “tigre” (Aedes albopictus)-uomo.
Il virus del Nilo Occidentale (West Nile è la regione dell’Uganda Nord-Occidentale dove venne isolato, per la prima volta, nel 1937) in genere non colpisce omogeneamente il nostro Paese, ma genera focolai circoscritti, pur se di diversa ampiezza. I focolai possono poi espandersi, o anche spostarsi in maniera capricciosa e poco prevedibile. Ad esempio, negli Stati Uniti, un’epidemia nata a New York camminò coast-to-coast per arrivare sino in California. Così in Italia, dal Veneto il virus è passato in Emilia, lambendo alcune province della Lombardia, e più a Ovest fino al Piemonte. Altre volte, piccoli focolai compaiono e ricorrono in zone ristrette, come ad esempio accade per ragioni non del tutto comprensibili nella Sardegna occidentale o in altre aree del Paese.
Quest’anno, però, il virus sta colpendo con una certa intensità soprattutto la provincia di Latina, dove ha iniziato a diffondersi rapidamente. Del resto, l’agro-pontino, prima della bonifica ben descritta da Pennacchi in “Canale Mussolini”, era una zona malarica, e le zanzare, in quelle pianure dense di coltivazioni irrigate, continuano a riprodursi con una certa solerzia. L’altra zona pesantemente colpita è la provincia di Caserta, che però appartiene a una regione – la Campania – in cui West Nile aveva già fatto la sua comparsa in precedenza. In compenso, sono ancora pochi, per fortuna, i casi segnalati nelle zone endemiche del Nord.
L’ampia variabilità geografica e la localizzazione dei focolai in alcune regioni spiega quanto sia importante identificare le aree affette, all’interno delle quali vanno prese particolari precauzioni. Si tratta in maggior parte di zone rurali, anche se non è da escludere che aree urbane possano diventare hotspot per la diffusione del virus, sempre che si determinino, in alcuni quartieri, le condizioni ideali per la sua trasmissione. Di fatto, epidemie urbane sono state osservate, in passato, a Bucarest e a New York.
Fortunatamente, anche all’interno delle aree colpite, non tutti coloro che vengono punti da una zanzara si infettano e, soprattutto, non tutti coloro che si infettano sviluppano sintomi, in forma più o meno grave. Quando si affronta il tema del rischio di infettarsi e di ammalare occorre infatti pensare in termini probabilistici. Anche all’interno delle aree in cui il virus sta attivamente circolando, la prevalenza di zanzare positive per il virus è in genere bassa, per cui la probabilità di infettarsi cresce col numero di zanzare da cui si viene punti. Per quanto riguarda il rischio di sviluppare sintomi o di ammalare gravemente una volta infettati, poi, i sacri testi ci dicono che, su 100 casi, circa 20 presentano sintomi lievi, e meno dell’1 per cento va incontro a un’encefalite che può essere anche grave e letale, ma bisogna considerare che il rischio aumenta con l’aumentare dell’età e/o con la presenza di comorbidità.
Si può prevenire o almeno controllare la circolazione del virus del Nilo Occidentale? Innanzitutto, in Italia è in vigore un piano quinquennale per le arbovirosi, che scade proprio a fine anno e che può funzionare se applicato e reso materia vivente attraverso una intensa collaborazione fra ministero, Regioni, Asl e Municipi. Prima che inizi la stagione calda è importante tenere bassa la densità delle zanzare nelle aree a rischio utilizzando dei larvicidi. È poi prevista la pronta identificazione delle aree colpite, non solo attraverso la sorveglianza dei casi umani, ma anche tramite la sorveglianza entomologica e il monitoraggio di uccelli selvatici o stanziali, nonché di animali sentinella (avicoli allevati all’aperto, cavalli). Identificati i focolai, scattano le misure di contenimento, dalla disinfestazione – in casi estremi anche con adulticidi – al controllo delle donazioni di sangue. Infine, è di estrema importanza stabilire un corretto canale di comunicazione con i cittadini per ottenere la loro collaborazione sia per evitare che si creino ristagni di acqua nei dintorni delle abitazioni, sia nel ridurre il rischio di punture di zanzare attraverso misure di protezione individuali, quali l’uso di zanzariere e repellenti o la scelta degli indumenti da indossare.
Il nostro, in fondo, è sempre stato un Paese tropicale part-time, e la crisi climatica, determinando un allungamento della stagione calda, potrebbe creare le condizioni per una maggiore diffusione di virus esotici nell’era della globalizzazione. Solo prendendo coscienza di tali rischi e attraverso un esplicito patto con i cittadini, affinché ognuno faccia la sua parte, si potrà convivere con questo e altri virus venuti da lontano, riducendone l’impatto sulle nostre comunità.
*epidemiologo, professore di Igiene
e sanità pubblica, Università
Vita-Salute San Raffaele, Milano
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