Attualità
7 agosto, 2025Il match è in programma il prossimo 14 ottobre a Udine. "Non si può restare in silenzio, serve un gesto simbolico", ha detto il responsabile sport del Pd Berruto. Ma per il ministro Abodi "a differenza della Russia, Israele è un Paese aggredito"
Mauro Berruto, il responsabile sport del Partito democratico, l’ha definita “la partita che non dovrebbe essere giocata”, eppure Italia-Israele si giocherà. E per certi versi è già iniziata. Le due squadre si affronteranno il prossimo 14 ottobre in un match valido per le qualificazioni ai Mondiali maschili di calcio del 2026. Ma fuori dal campo è già iniziato lo scontro tra i difensori di una presunta neutralità dello sport e chi crede che dietro l’equidistanza si possa nascondere la complicità al massacro in corso a Gaza.
"Sono consapevole che non tocchi agli organismi sportivi italiani decidere su questo ‘ban’, ma a quelli internazionali coinvolti”, ha dichiarato Berruto, “però mi chiedo: cosa possiamo fare noi?”. Secondo il parlamentare ed ex ct della nazionale italiana maschile di pallavolo, la mancata esclusione di Israele dalle competizioni internazionali evidenzia una “doppia morale”, se si guarda alle azioni intraprese contro la Russia dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina o contro il Sudafrica durante l’apartheid. Quella con la Federazione russa è un’analogia che il ministro dello Sport Andrea Abodi rifiuta in modo categorico: “Israele è stato aggredito, la Russia è un Paese aggressore. Se non ci fosse stato il 7 ottobre non saremmo in questa condizione, e se Hamas non si nascondesse dietro la popolazione civile probabilmente non saremmo in questa condizione”.
“Le parole di Abodi riflettono perfettamente la posizione del governo di pieno sostegno a Israele”, spiega Nicola Sbetti, ricercatore all’Università di Bologna e studioso del rapporto fra sport e politica internazionale. E se le violazioni commesse da Israele potrebbero indurre a vedere una doppia morale nel comportamento delle istituzioni sportive, “va ricordato che la questione morale non è mai stata utilizzata per sanzionare o meno un Paese a livello sportivo. I Paesi sono stati sanzionati esclusivamente in base ai rapporti di forza politici”. I principi su cui si basano le organizzazioni sportive internazionali, chiarisce lo storico, sono l’universalismo e la neutralità. Il primo rappresenta “l’obiettivo di includere tutti. Perché se perdi anche solo un Paese, viene meno il tuo monopolio”. La neutralità è invece uno strumento per “difendersi dalle pressioni esterne. Ovviamente è un principio ipocrita e impossibile da realizzare, però è funzionale”. “Nel caso della Russia”, continua Sbetti, “non si è deciso di sanzionarla perché era giusto farlo, ma perché c’era un numero talmente forte di federazioni, governi, atleti stessi che prendevano posizione e rischiavano di paralizzare lo sport internazionale”. Il vero motivo dietro la sanzione alla Russia era dunque quello preservare lo sport internazionale ed evitare pressioni e boicottaggi in grado di bloccare tutto. Una questione che potrebbe porsi anche riguardo a Israele. “Al momento, però, la pressione su Israele è minima. Non è mai stata messa in discussione la partecipazione alle qualificazioni Fifa, che sta attuando una strategia pilatesca, per prendere tempo e non decidere. Rimandare tutto è l’unico modo per evitare una crisi interna”.
Eppure, dal punto di vista giuridico gli elementi per giustificare delle sanzioni verso Israele ci sarebbero, come l’uccisione di atleti o la distruzione di infrastrutture sportive. “Forse la più grave – giuridicamente – è che ci sono squadre israeliane nei territori palestinesi occupati, che fanno parte del campionato israeliano, ma giocano in insediamenti illegali”, ricorda Sbetti.
In questo contesto, il dissenso degli atleti e le campagne di sensibilizzazione possono avere un ruolo nel far scricchiolare la legittimità del governo di Tel Aviv. È quanto sostiene Mauro Berruto, che ha auspicato, in vista della partita di ottobre, “un gesto simbolico, come le magliette rosse indossate da Adriano Panatta e Paolo Bertolucci nella finale di Coppa Davis nel Cile di Pinochet". Secondo Nicola Sbetti, però, “perché un boicottaggio sportivo abbia minima efficacia, deve essere coordinato con un boicottaggio economico e politico”. Nel momento in cui Israele è un alleato dell’Italia, continua, “è difficile chiedere alla Figc di boicottare un evento. Non ci sono le condizioni politiche”.
Ma se le istituzioni hanno le mani legate, o se le sono legate da sole, una partita di calcio tra Italia e Israele è comunque un’occasione per denunciare, sensibilizzare e parlare della catastrofe umanitaria a Gaza. “E, in effetti, qualcosa si sta già muovendo”, aggiunge Sbetti. “C’è attenzione. Siamo solo ad agosto, e già ci sono interventi di parlamentari, di attivisti. L’annuncio della vendita dei biglietti ha fatto discutere. È ovvio che la Figc non poteva non venderli, ma è anche chiaro che in Italia c’è un sentimento crescente che fatica a digerire le morti, i bombardamenti quotidiani, la fame, la distruzione sistematica”.
Il calcio è un linguaggio universale, può essere megafono di propaganda ma anche un modo per inchiodare alle proprie responsabilità gli stessi atleti. È il caso di Shon Weissman attaccante israeliano che in questa sessione di calciomercato sarebbe dovuto passare dal Granada al Fortuna Dusseldorf. L’affare è saltato per una mobilitazione dei tifosi che si sono opposti all’acquisto di un calciatore che sui suoi profili social ha invitato a “cancellare la striscia di Gaza" e “sganciare 200 tonnellate di bombe”. Dovrà cercarsi un’altra squadra, la troverà e continuerà a giocare.
Souleiman Al-Obaid, invece, non potrà giocare più. Era considerato il “Pelé palestinese”, è stato il miglior marcatore del campionato per tre stagioni consecutive. Mercoledì 6 agosto, le forze israeliane lo hanno ucciso mentre era in attesa vicino a un punto di distribuzione di cibo. Nello stesso giorno in cui in Italia si discuteva su come far giocare una partita “che non si dovrebbe giocare”, veniva spazzata via un’altra vita che non doveva finire.
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