Attualità
25 settembre, 2025il 25 settembre del 2005 Federico Aldrovandi moriva a diciotto anni in via dell'Ippodromo a causa delle violenze subite dagli agenti
Sono trascorsi 20 anni da quando Federico Aldrovandi è stato ammazzato da quattro poliziotti. Di anni Federico ne aveva appena compiuti 18, quando la sua giovinezza è stata spezzata dai manganelli e dalle ginocchia che lo tenevano inchiodato all’asfalto.
“Ipossia seguita da ischemia cardiaca” la causa accertata della morte. Il vocabolario della medicina legale si traduce con due manganelli rotti degli agenti, con il soffocamento dopo che gli erano montati sulla schiena, le ecchimosi su tutto il corpo, “54 lesioni e la distruzione dello scroto” come ricorda Lino Aldrovandi, il padre di Federico in un’intervista a “La Stampa”. Ci volle del tempo per confutare la versione ufficiale secondo cui Federico Aldrovandi “si era sentito male”.
L’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi in un’interrogazione parlamentare lo definì “un eroinomane” cercando di avvalorare una ricostruzione che lo dipingeva come un violento in preda all'alcool e alle droghe. In realtà Federico Aldrovandi era impegnato in un progetto per la prevenzione delle tossicodipendenze e secondo le analisi quella mattina aveva nel sangue modeste quantità di alcool.
Quando è stato ucciso era appena rientrato nella sua Ferrara dopo un concerto al Link di Bologna, ci era andato con dei vecchi compagni di scuola e con loro aveva passato la serata fino all’alba del 25 settembre. Un’amica racconterà ai giudici di averlo visto l’ultima volta mentre “camminava in direzione via Bologna, una traversa di via Ippodromo”. Proprio in via Ippodromo verrà ritrovato, poco dopo, il suo corpo senza vita.
Nell’intervista a “La Stampa” il padre racconta: “Alle cinque e mezza ho visto il suo letto intatto. Quando faceva così tardi avvertiva sempre mia moglie, così l’ho svegliata ma lei non aveva avuto nessun messaggio. Ho cominciato a chiamare il suo cellulare ma non rispondeva, così ho telefonato agli ospedali, ma senza risultato. Allora ho chiamato polizia e carabinieri qui a Ferrara e mi sono sentito rispondere “vi faremo sapere”. Quella frase sospesa diventò poi la sagoma dell’auto della polizia arrivata alle undici fuori dalla casa di Aldrovandi. “È morto?”, chiese Lino Aldrovandi, l’agente della Digos annuì.
“La morte di Federico Aldrovandi è stata causata dalle percosse subite quando era già ammanettato” si legge nella sentenza con cui Luca Pollastri, Monica Segatto, Paolo Forlani e il capo pattuglia Enzo Pontani sono stati condannati a tre anni e mezzo per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi e della violenza”, poi confermata in cassazione il 21 giugno del 2012. L’indulto dopo sei mesi rimise in libertà i poliziotti che tornarono in caserma con incarichi amministrativi. Come ha detto in una recente intervista Patrizia Moretti, la madre di Federico, “evidentemente la polizia non li riteneva indegni di tornare a lavorare”.
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