Attualità
6 settembre, 2025Le navi, gli equipaggi, gli aiuti ma anche il supporto a terra e l’organizzazione: l’attivismo riparte dalla rete internazionale di Sumud Flotilla. Con base in Sicilia
Ad Andrea Tringali brillano gli occhi mentre racconta del giorno in cui arrivò quella chiamata: «Mi è arrivata una telefonata da una certa René di Messina, diceva: “Guarda che c’è una nave della Freedom Flotilla ad Augusta, forse hanno bisogno di aiuto”, così ci siamo presentati per la prima volta agli attivisti della Handala». Era l’estate del 2024, ad Augusta faceva molto caldo proprio come adesso: la Handala aveva fatto il giro d’Europa con l’obiettivo di arrivare a Gaza, ma tra Malta e Sicilia si era rotto il motore. «Noi siamo stati d’appoggio soprattutto umano a delle persone che avevano creduto di poter andare a Gaza e invece si erano ritrovate bloccate, costrette a tornare a casa, deluse e scontente», continua Andrea.
Da allora è passato più di un anno e diverse navi dal porticciolo di Augusta, la Handala, la Madleen e poi ancora la Handala, tutte intercettate e sequestrate illegalmente in acque internazionali dall’esercito israeliano. Fino alla scorsa settimana, quando il porticciolo turistico ha ospitato decine di navi, le stesse che partiranno da Siracusa per unirsi alla Global Sumud Flotilla. E così che la Sicilia orientale, da Catania a Siracusa, è diventata il “centro del mondo”, almeno per un attimo, almeno per questa parte di mondo, quello delle persone libere, di coloro che si oppongono al genocidio in corso a Gaza.
«La Freedom Flotilla – continua Andrea – ha quindici anni di esperienza, è un movimento internazionale dal basso ma la Sumud ha portato questo modello a un livello ancora più grande, con tutte le difficoltà che ne derivano: equipaggi da comporre in poco tempo, richieste arrivate online, necessità di scouting, rischio di infiltrazioni. Per questo ci sono procedure più stringenti e comunicazioni spesso compartimentate, non tutti sanno tutto, ed è giusto così. Vivendo tutto questo mi rendo conto della grandezza del progetto. La Sumud è la prima “macchina” globale che vedo funzionare davvero dal basso, con cittadini di tantissimi Paesi che lavorano insieme. Migliaia e migliaia di persone che si danno compiti, si coordinano, portano avanti un progetto comune, una flotta per rompere l’assedio di Gaza. Questo mi emoziona e mi convince che dobbiamo farlo non solo perché c’è un genocidio in corso, ma anche perché questo modo di agire potrebbe cambiare il mondo. Se le persone cooperassero così anche al di fuori delle emergenze, vivremmo in una società diversa».
Nata sulla scia della Global March to Gaza dello scorso giugno e sull’esperienza della Freedom Flotilla Coalition che dal 2010 lotta per rompere l’assedio via mare imposto sull’enclave palestinese, la Global Sumud Flotilla è la più grande missione umanitaria indipendente diretta a Gaza mai esistita. Si tratta di più di cinquanta navi partite da Barcellona, Genova, Catania, Siracusa e Tunisi con centinaia di attivisti, associazioni e volontari a bordo, provenienti da 44 delegazioni di altrettanti Paesi. L’obiettivo è chiaramente portare solidarietà concreta e simbolica a Gaza, spezzare l’assedio con una mobilitazione civile senza precedenti ma anche quello di costringere i Paesi di provenienza dei partecipanti a prendere posizione contro Israele nell’eventualità in cui venissero fermati e detenuti o peggio attaccati.
Lo scorso lunedì il ministro israeliano Ben Gvir ha dichiarato che gli attivisti della missione navale verranno arrestati e trattenuti in detenzione prolungata nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, solitamente utilizzate per detenere i terroristi. Il sequestro, secondo il ministro di estrema destra, sarebbe del tutto legale poiché il governo ritiene che la flotta sia un tentativo illegale di aggirare il blocco imposto su Gaza. Ma di illegale c’è solo il blocco stesso, imposto da Israele ed Egitto con il sostegno degli Stati Uniti a partire dal giugno 2007 e contrario alla risoluzione 1860 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Inoltre, la Corte Internazionale di Giustizia l’anno scorso aveva stabilito, in via provvisoria, che nessuno può ostacolare aiuti umanitari verso Gaza, considerando il rischio concreto di genocidio. Trattandosi di una missione umanitaria, le dichiarazioni di Ben Gvir sulla Global Sumud Flotilla non solo violano in via intenzionale la sentenza della Corte, ma dimostrerebbero la volontà genocidaria di Israele a Gaza.
«La nostra missione è protetta dalla Corte di Giustizia Internazionale, noi seguiamo la legge internazionale secondo la quale Israele non ha diritto né di intercettare né di fermare nessuna missione umanitaria verso Gaza – ha spiegato Tony Lapiccirella, a bordo della lead boat che aprirà il convoglio – L’uso delle leggi antiterrorismo per delegittimare noi e mascherare la loro violenza non è altro che quello che succede in Europa per esempio con Palestine Action considerato terrorista dall’Inghilterra. In Israele questo è evidente in maniera quasi caricaturale, e smaschera l’uso che si fa della legge antiterrorismo contro i movimenti sociali».
A Genova, dal G8 luogo simbolo della repressione, lo scorso 30 agosto sono scese in strada più di 50mila persone per Gaza e in sostegno della missione della Global Sumud Flotilla. «Quello che spero è che da questa mobilitazione rinasca un movimento internazionalista. Per come viviamo, con questa nostra linea di crescita esponenziale, si ha sempre l’idea che bisogna avere delle soluzioni immediate. Io invece credo che serva la capacità di dare una direzione e soprattutto di saper reggere il processo mentre si fanno dei passi. E questo che stiamo facendo è un passo fondamentale – racconta Cecilia Canazza, leader della comunicazione della delegazione italiana – anche se il punto di partenza di questa mobilitazione a livello comunicativo è stato molto “brandizzato”, resta comunque un punto di accesso e di connessione con il mondo di oggi. Adesso la missione è questa, l’obiettivo è avere gli occhi del mondo addosso e per questo dobbiamo utilizzare le strutture esistenti. Ma quegli stessi canali, quegli stessi occhi, devono poi essere riempiti e sfruttati per conversazioni molto più profonde. Ed è proprio in questa direzione che spero di sviluppare il nostro movimento in Italia. I movimenti – continua – hanno quasi l’obbligo di porsi questo obiettivo, al di là delle singole missioni. Perché anche se arrivassimo a Gaza, anche se domani la Palestina fosse libera, il mondo non lo sarà dai sistemi strutturali capitalistici che continuano a creare, a livelli differenti, ingiustizia e violenza».
Ma in qualsiasi forma si evolva questo movimento di sicuro c’è che in Italia ha coinvolto tutti e tutte, da Genova fino alle più remote province siciliane. «Vedere una città che si anima per questi scopi è sicuramente una grande gioia. E vedere persone che non avevano mai preso l’iniziativa essere qui oggi a preparare cibo, a dare accoglienza agli attivisti, a scendere in piazza, è un grande orgoglio e ci dimostra che anche a Siracusa il movimento cresce», conclude Eleonora Gennaro del comitato per la Palestina della città aretusea: «C’è una connessione tra le ingiustizie e le violenze subite da questa terra martoriata negli anni sia sul piano bellico sia su quello economico e quelle vissute dai palestinesi e nella forma più atroce dai gazawi. Qui abbiamo il polo industriale più grande d’Europa, abbiamo Sigonella, abbiamo il Muos a Niscemi, siamo coinvolti in prima linea. Per questo proviamo una passione, un sentimento più alto, più nobile, che oggi ci fa unire contro il genocidio a Gaza e domani, speriamo, contro le ingiustizie tutte».

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