Cultura
16 luglio, 2007

Farani, 40 anni in costume

A Bracciano, la mostra “Costumi a corte” racconta quarant’anni di attività della storica maison: le creazioni per il teatro, per il cinema e una serie di pezzi autentici per grandi stilisti, da Christian Dior a Balestra

Cosa hanno in comune "La bisbetica domata" di Zeffirelli, "I clown" di Fellini, "I racconti di Canterbury" di Pasolini e "Marie Antoinette" di Sofia Coppola? I costumi di scena, come quelli di numerosi altri film e spettacoli di opera lirica e di prosa, portano la firma di una storica sartoria romana, Farani, che dagli anni Cinquanta in poi ha vestito attori e attrici di pellicole indimenticabili.

Alla maison è dedicata la mostra "Costumi a Corte", allestita nel Castello Odescalchi di Bracciano fino all'11 novembre. Un'occasione unica per mostrare al pubblico il grande lavoro sartoriale che c'è dietro un film o uno spettacolo, il punto di incontro tra arte, artigianato ed impresa. Gli abiti di Farani, infatti, hanno vestito i sogni di grandi registi e dato vita a immagini che fanno parte della nostra memoria collettiva: la giacchetta di lana fuori misura del Totò di "Uccellacci e Uccellini",  l'abito arcaico di Silvana Mangano che interpretava la Giocasta di "Edipo re" - entrambi film di Pier Paolo Pasolini -, le marsine settecentesche di Donald Sutherland nel "Casanova" e il frac blu di Marcello Mastroianni in "Intervista" di Fellini, fino agli abiti medioevali di Roberto Benigni e Massimo Troisi in "Non ci resta che piangere". 

L'esposizione, composta da circa cinquanta pezzi che illustrano più di quaranta anni di attività, presenta sia realizzazioni sceniche, disegnate da grandi costumisti e artisti - come Danilo Donati, Ezio Frigerio, Lele Luzzati - sia una collezione di abiti autentici di varie epoche, dal più antico della metà del Settecento alle creazioni degli anni Cinquanta e Sessanta firmate da stilisti come Christian Dior, Balestra, Galitzine, Schubert.

La storia della sartoria teatrale comincia a Roma negli anni Cinquanta, quando Piero Farani, che ha iniziato la sua carriera come attore radiofonico alla Rai di Torino, scende a Roma in cerca di fortuna. Come altri giovani sconosciuti, frequenta la scalinata di Trinità dei Monti: è lì che conosce Franco Zeffirelli, Paolo Poli, Giancarlo Cobelli, Gian Maria Volontè e, soprattutto, Danilo Donati che si andava affermando come uno dei più interessanti scenografi e costumisti del momento.

E' proprio Donati che lo porta, in veste di assistente, in una sartoria teatrale, "Anna Mode", all'epoca diretta dalle sorelle Allegri. Per Farani è un colpo di fulmine: intuisce di aver trovato la propria strada e in quella sartoria resterà per cinque anni, prima come collaboratore, poi come direttore. Nel '62, incoraggiato dalla crescente fama di Donati e dai molteplici impegni futuri, decide di mettersi in proprio ed inaugura la sua sartoria nella storica sede di viale Mazzini.

Sono gli anni Sessanta, che si caratterizzano per le grandi collaborazioni di Donati con Pasolini, Zeffirelli, Fellini, Lattuada e si traducono in molteplici premi, primo fra tutti l'Oscar per il "Romeo e Giulietta". Ma sono anche gli anni d'oro di Cinecittà e di grandi produzioni internazionali come "Barbarella", primo film tratto da un fumetto e rivoluzionario dal punto di vista dei costumi: ancora oggi le immagini di Jane Fonda compaiono in tutti i libri di storia della moda e del costume.

La maison Farani più che una sartoria diventa un'officina, una bottega, un luogo di sperimentazione. Farani e Donati insieme stravolgono il concetto stesso di costume con creazioni di sfrenata fantasia e libertà totale, dietro le quali c'è la straordinaria cultura figurativa di Donati e l’amore per l'arte contemporanea italiana (è stato allievo di Rosai a Firenze), che gli permettono di reinventare epoche e mondi. In Farani Donati trova grandi capacità tecniche, virtuosismi impossibili e la sua stessa libertà d'immaginazione. I costumi perdono la loro natura sartoriale e diventano pittura, scultura: i tessuti si trasformano o vengono accostati ad altre materie, che a loro volta dimenticano di essere nate plastiche, carta, paglia, metallo o conchiglia.

Esplode poi il boom televisivo: la storica Canzonissima, l'indimenticato Studio Uno, trasmissioni che hanno fatto epoca e che portavano la firma di costumisti del calibro di Coltellacci, Folco, Donati. E ancora gli sceneggiati, antenati delle odierne fiction, primo fra tutti "La vita di Leonardo", con scene e costumi di Ezio Frigerio, che aveva già creato capolavori per Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano. Durante gli anni Settanta la sartoria Farani si sposta sulla prosa e sulla lirica: grazie ai grandi costumisti italiani come Lele Luzzati e Santuzza Calì collabora per i più importanti teatri europei. Agli inizi degli anni Ottanta Farani passa le redini dell'azienda a Luigi Piccolo, detto "Giuti", che oggi continua la tradizione nella nuova sede di via Dandolo con lo stesso entusiasmo e la stessa follia imprenditoriale, aiutato da costumisti giovani e talentuosi come Alessandra Torella e Alessandro Ciammarughi.

Negli anni, Luigi Piccolo ha raccolto un gran numero di pezzi autentici, un corpus di circa 700 abiti che si estende dall'inizio dell'Ottocento al secondo dopoguerra e che comprende, oltre a modelli delle grandi maison anche creazioni anonime; una collezione che rappresenta un valido supporto per quel lavoro di ricostruzione storica che oggi si affianca all’opera di pura invenzione. Cambiano i tempi, le persone, le mode, ma i concetti sono quelli tradizionali legati ad un'unica parola: artigianato. E a un unico principio che spinge tutto avanti: la salvaguardia di una cultura in via di estinzione.

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