Scappare non serve. Se anche uno si cancella da Facebook, stremato dalle richieste di 'amicizia' e di partecipazione a 'cause', il social network lo insegue lo stesso, visto che ormai ne parlano tutti, in tivù o alla macchinetta del caffè. Da un punto di vista mediatico siamo forse al picco della parabola 'hype': il momento in cui un'innovazione raggiunge il massimo della popolarità. Segue, di solito, la fase della disillusione e infine un assestamento.
Intanto però il picco è tra noi. Se l'è beccato nei giorni scorsi anche Letizia Moratti, dopo che su Facebook è nato il gruppo 'Portiamo un chilo di sale al sindaco perché faccia spalare la neve'. O il cantante Gigi D'Alessio (35 mila iscritti al gruppo 'Perché Dio si è preso De André e ci ha lasciato D'Alessio?'). E pure il papa (oltre 115 mila i firmatari per la petizione 'Trasferiamo il Vaticano in Groenlandia'). Si potrebbe andare avanti all'infinito: tra i 150 milioni di iscritti a Facebook nel mondo (quattro milioni in Italia), i gruppi e le cause esistenti vanno oltre l'umana immaginazione. Fate una prova e scrivete nella finestrella del sito la prima parola che vi viene in mente - tortellino, Cassano, Kant, semaforo - e scoprirete fan e controfan di qualsiasi tipo. Compresi, ovviamente, quelli che si augurano il decesso altrui, da Marzullo a Topo Gigio, da Berlusconi al gattino Virgola, da Prodi a Maria De Filippi.
Insomma, basta fare un giro in questa Babele per porsi qualche domanda sulla sua identità e sulla sua influenza sulla società e sulle persone: che cos'è davvero Facebook? Un gioco goliardico e basta? Un luogo di ritrovo in cui ciascuno dice la prima cretinata che gli viene in mente e trova subito un seguito? O uno specchio abbastanza fedele della società 'vera' - un po' come Internet nel suo complesso - in cui battono mille pulsioni e 100 mila opinioni? E questo grande contenitore rischia di appiattire e banalizzare le tante battaglie civili serie che molti vi conducono, oppure bisogna soltanto imparare a separare il grano dal loglio, dato che tutta la Rete è stata, fin dall'inizio, un fiorire di siti più o meno assurdi dalla quale però poi sono emersi i vari Wikipedia, eBay, Google e tanti altri?
David Kirckpatrick, 55 anni, è uno dei maggiori analisti del fenomeno: ne scrive da anni su 'Fortune' e sta completando in questi giorni un libro che si intitola 'The Facebook Effect' (in uscita a settembre per Simon & Schuster). "Facebook", spiega, "è fondamentalmente una piattaforma di comunicazione, quindi contiene tutto: lo si può usare per decidere dove andare a cena, ma anche per scegliere il presidente degli Stati Uniti. E un esempio della sua forza ce l'ha fornito proprio lo staff di Obama, creando su Facebook migliaia di gruppi locali che poi sono stati fondamentali nella campagna elettorale fuori dalla Rete. Un altro caso sono i cortei contro i rapimenti in Colombia: un membro di Facebook, Oscar Morales, ha creato un gruppo che ha portato in piazza contro le Farc 12 milioni di persone".
Sulla stessa linea d'onda è anche Dave Awl, autore di una guida all'utilizzo del social network intitolata 'Facebook me', in uscita a febbraio: "Il mezzo, per sua natura, tende ad allineare le interazioni, a ridurre le conversazioni a scambi brevi. Per questo la prima impressione è che si tratti di un luogo leggero e frivolo. Invece il potenziale di comunicazione virale, attraverso le catene di conoscenze, ha un potenziale immenso, se colpisce qualche nervo scoperto dell'opinione pubblica".
Insomma, il mezzo è robusto nonostante le tante sciocchezze che vi si trovano, e pare non si tratti neppure di una moda passeggera alla Second Life: "Facebook è qui per restare", sostiene Awl. Aggiunge Kirckpatrick: "Se i trend di crescita continuano con i ritmi attuali, nel giro di due anni Facebook supererà il traffico di Google. Ci sono paesi, come il Cile, dove più della metà degli utenti Internet sono iscritti a Facebok, o come il Canada dove siamo al 42 per cento. L'unico evento che potrebbe fermarne la corsa sarebbe un crollo totale dei server, una catastrofe tecnologica con la perdita dei dati e delle identità, un'ipotesi assai improbabile".
Tanto più che, ormai, "la massa critica dei suoi utilizzatori è tale da rendere ipotizzabile che Facebook trovi un modello di business profittevole, probabilmente attraverso la pubblicità mirata e personalizzata", come spiega lo studioso di nuovi media Howard Rheingold, docente a Berkeley: "Facebook nasce come mezzo per mantenere un legame tra compagni d'università che andavano a vivere in città diverse. Poi si è evoluto ed è diventato quello che vediamo oggi: un media sociale con grandi capacità di organizzare azioni collettive sulla vita reale (anche Rheingold cita il caso Obama, ndr). Se ci sono dentro anche tante sciocchezze, forse è per la sua origine giocosa di incontro virtuale tra studenti: ma questo non sminuisce la sua potenza di media sociale con milioni di persone che lo frequentano".
Già, milioni di persone, e molto interessanti anche come consumatori: Facebook (al contrario di MySpace) è frequentato parecchio anche dai trenta-quarantenni, "e il suo segmento di crescita maggiore è quello sopra i 25 anni", come dice Clara Shih, che a San Francisco si occupa di 'faceconnection' e ha da poco scritto un libro intitolato "L'era di Facebook: sfruttare i social network per fare prodotti migliori e vendere di più". "Da quando ha raggiunto il grande pubblico, Facebook è diventato un potente strumento di marketing, sia in termini di conoscenza dei gusti delle persone sia per diffondere il proprio messaggio o il proprio brand. E influenzerà sempre di più le scelte dei cittadini, dei consumatori e degli elettori", spiega la Shih. Senza che la contaminazione tra temi diversi rischi di minarne la forza: "In Facebook c'è un grande mix di serio e faceto. Ma questo non impedisce a chi vuole utilizzarlo per una campagna - politica, d'opinione o commerciale - di fare leva sulla sua straordinaria forza virale" (ancora la Shih).
Insomma, sembra che con Facebook si dovranno fare parecchi conti in futuro, così come con tante altre realtà del mondo digitale-sociale che ormai sono parte della nostra vita quotidiana. E se in questo network entrano anche i supporter dei mafiosi o i nostalgici di Auschwitz, c'è poco da scandalizzarsi: "La tolleranza verso cause inaccettabili è un prezzo da pagare per chi crede nella libertà di pensiero", taglia corto Rheingold. D'accordo la Shih: "Facebook nasce in America, dove la Costituzione garantisce la libertà di espressione. Il che include anche la libertà di schierarsi a favore della mafia, per quanto possa suonare sgradevole". Chiude Kirkpatrick: "Se un punto di vista esiste al mondo, esiste anche su Facebook", e bisogna farsene una ragione.
D'altro canto dentro il social network fioriscono anche gruppi contro questo o quell'aspetto di Facebook medesimo, che viene accusato (fra l'altro) di cannibalismo a scopo di lucro di tutti i contenuti che gli iscritti vi caricano, dalle fotografie ai video, fino ai famosi dati sensibili (qualcuno l'ha definito 'un'autoschedatura'). E questo è uno tra i tanti temi di discussione che presto ci inseguiranno non solo in Rete, in tivù o alla macchinetta del caffè, ma anche al cinema, se verrà confermata la notizia (lanciata dal 'Los Angeles Times'), che la saga di Facebook diventerà un film, prodotto dalla Sony per la regia dell'americano Aaron Sorkin. Il quale, a quanto pare, ha aperto una pagina sullo stesso social network per chiedere consigli in merito ai suoi frequentatori. Sempre che si tratti del vero Aaron Sorkin, dato che - come noto - su Facebook chiunque può iscriversi con il nome e la foto di chi gli pare.
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