Videogiochi, che passione. Anche per Steven Spielberg, 62 anni, uno dei re di Hollywood: che confessa di esserlo diventato ancora di più da quando è apparso sul mercato il sistema Wii. È per questa passione personale che a un certo punto della sua fenomenale carriera Spielberg ha stretto un'alleanza col gigante dei videogame Electronic Arts (EA) per sviluppare insieme nuovi giochi interattivi. Prima è arrivata l'invenzione spielberghiana 'Boom Blox', grande successo della Wii-sfera del 2008. E come per gli 'Indiana Jones', ecco l'inevitabile seguito, 'Boom Blox - Bash Party', che Spielberg sta presentando in questi giorni. Sarà in vendita dal 6 maggio negli Usa (dal 5 giugno in Italia) in esclusiva per la piattaforma Nintendo Wii. "Con 'Boom Blox' volevo far giocare insieme figli e genitori, riunire la famiglia con un intrattenimento elettronico invece di separarla - ognuno nella sua stanza a smanettare davanti al proprio monitor", racconta Spielberg. "Questo 'Bash Party', di nuovo pensato per la famiglia, è ancora più divertente: l'azione multiplayer è raddoppiata e ci sono oltre 400 nuovi livelli che trasportano i giocatori dallo spazio più remoto alle profondità oceaniche".
Il leggendario regista americano, premio Oscar per 'Schindler's List', nella forte potenzialità di aggregazione di questo gioco ci crede per davvero. Lo abbiamo intervistato la settimana scorsa a Los Angeles, dove vive con la moglie Kate Capshaw e i sette figli, dai 25 ai 14 anni, che mettono insieme da diversi matrimoni.
Signor Spielberg, ci descrive 'Bash Party'?
"Come il primo 'Blox' è imperniato sull'atto della demolizione: a chi non piace rompere tutto quello che gli capita tra i piedi? E diciamolo, non c'è niente di più bello che vedere mamma e papà sfasciare oggetti. Ma dopo la distruzione viene la costruzione. Il giocatore può costruire il suo gioco a seconda del livello a cui è arrivato e nella sua area favorita. Un'altra novità è che puoi scaricare contenuti da Internet e condividere le tue costruzioni con chiunque sia on line dall'altra parte del mondo".
Per lei i videogame sono una distrazione o uno stimolo creativo?
"Non mi sento di dire che possa stimolarmi creativamente. Ma vede, io ci metto un anno a fare un film, e la gratificazione per il lavoro svolto viene piano piano, a tappe. Col videogame questa gratificazione è invece immediata. Ideando videogame riesco a riempire gli spazi vuoti nella mia vita tra una fase e un'altra di un film".
Cinema e videogame possono incontrarsi?
"Non vedo come si possa integrare la narrativa di un film in un videogame. Le trame narrative e gli scenari del videogioco sono creati via via dal giocatore stesso. È lui a inventarlo. È impossibile, come autore, mantenere in un videogioco il controllo della narrazione che un regista ha invece sul suo film. Il pubblico del cinema tende ancora ad abbandonarsi tra le braccia dell'autore, mentre il video giocatore vuole creare lui stesso l'intreccio e la trama di storie".
Parlando di cinema, ha finalmente realizzato il suo sogno con un film su 'Tintin', l'eroe dei fumetti di Hergé.
"Sì. Le riprese sono concluse. Il film dovrebbe uscire nei cinema tra un anno. Sarà una trilogia: io ho diretto il primo, Peter Jackson dirigerà il secondo e forse dirigeremo insieme il terzo. È girato con la tecnica del motion-capture, con gli attori che recitano, ma poi vengono manipolati dal computer per una sorta di animazione digitale fotorealistica. È stato affascinante girarlo, perché mi sono addentrato in un nuovo territorio. È stata una sfida tecnica e creativa per me. Vede, se non avessi avuto questo grande debole per Tintin, fin da piccolo, probabilmente non ci avrei mai provato a fare questo film. Ma la strada del cinema in 3D è ancora lunga: finora negli Usa solo 700 sale su 37 mila sono munite di proiettori adatti".
Le tecnologie cambiano. Ma Hollywood è cambiata in questi anni?
"In realtà non tanto: al di là delle dispute sul 3D o sulla scelta di girare in pellicola o in digitale, alla fine si torna sempre allo stesso punto: qual è la storia? Chi sono i personaggi? Come sarà il finale? Posso portarci i miei figli? E questo spero che non cambierà mai. In ogni caso, fare un film è uno dei lavori più entusiasmanti ma anche più faticosi del mondo. Pensavo che al pubblico sarebbe piaciuto vedere un regista al lavoro. Per questo ho prodotto il reality televisivo 'On the Lot'. Ma mi sbagliavo, non gliene importava niente".
Quel flop l'ha dissuasa dal tornare a lavorare con quel tipo di show?
"Niente affatto, con il progetto giusto sarò contento di tornarci, mi piacciono i reality show, quando sono fatti bene".
Se dovesse definire il suo stile cinematografico, in che modo lo descriverebbe?
"Io voglio coinvolgere totalmente il pubblico nel mio film. E il modo di farlo non è stordire la gente con immagini che scorrono alla velocità della luce, e con suono così forte da far diventare lo spettatore sordo. Cerco invece di coinvolgere chi guarda il mio film, in modo che lo spettatore si possa guardare intorno e capire bene ciò che succede, fino a sentirsi parte della pellicola. In tutti i miei film, 'Indiana Jones', 'Jurassic Park' o 'Salvate il soldato Ryan', il pubblico deve sentire di far parte dell'esperienza, non deve sentirsi escluso".
I suoi prossimi progetti sono a sfondo politico: 'The Trial of the Chicago Seven' e 'Lincoln'.
"Lincoln era il mio presidente favorito fin dalle elementari. Poi ho studiato storia all'Università, anche se non mi sono laureato, e l'ho amato ancora di più. Anni fa ho comprato i diritti del libro su Abramo Lincoln di Doris Kearns 'King of Rivals', e Tony Kushner sta scrivendo il copione. In quanto ai 'Chicago Seven', si tratta di giovani contestatori accusati di cospirazione per aver organizzato manifestazioni di protesta contro la guerra in Vietnam nel 1968, durante la Convention democratica. Lo faccio con l'augurio che i giovani d'oggi possano trovare la stessa passione civile che ha avuto la mia generazione".