Racconta Goethe un po' piccato, nel suo viaggio al meridione d'Italia, di un ragazzetto preso a guida che al comparire del mare dopo una lunga camminata, aveva urlato forte ed era stato ripreso. Chiedendo scusa egli aveva spiegato: questa è la mia patria. Il 2009 non è la fine del Settecento, il liberismo trionfa sul neoclassicismo e io devo morigerare le espressioni per dire, ché vorrei solo ripetere con semplicità: è la terra che conosco. Quando mi innamoro pretendo di presentarla al mio nuovo uomo, non la risparmio ai miei amici del mondo che vengono a trovarmi, ma soprattutto la regalo a me stessa, in innumerevoli ritorni che portano sempre lo stesso abbaglio, lo stupore. La prima volta che mio figlio ha visto il mare, era il mare di Atrani, ma questo arriverà tra molti chilometri. Ora siamo a una cupola in maioliche che paiono scaglie di pesce: annuncia Cetara, che porta nel nome la sua origine e il suo destino: ogni anno vi si tiene la sagra del pesce azzurro. Ricordo di una processione dalla chiesa di san Pietro, in infanzia: la statua portata a spalla da robusti pescatori, giù per una scala sdrucciolevole, e poi di corsa imbarcata su una lampara infiorata, tra ali di persone che si segnavano. La processione si svolge ancora, il 29 del mese di giugno e, oggi, più che mani, a salutare il santo, ci sono cellulari a mo' di macchina fotografica che immortalano la scena. Qualche estate fa il capitano Pasquale mi ospitò a bordo della flotta di tonnare più grande del Mediterraneo: sull'ammiraglia Luigi Padre. Oltre a farmi entrare nelle viscere della nave e scoprirne la sala macchine e la plancia di comando con i super satelliti che disegnano il mare dal cielo, mi ha portato a vedere le gabbie da cui i giapponesi acquistano i pregiatissimi tonni rossi per i loro sushi. In quelle vasche, in un'atmosfera onirica, i giovani figli del capitano, Raffaele e Luigi, si tuffavano a nuotare a spirale tra i pesci. È che l'orgoglio dell'uomo e del mare non sono oggetti misurabili con il metro dei cittadini, e sì che io vivo a Napoli, ma è la Napoli della Ortese la mia. Continuando lungo la strada scavata a picco sulla roccia, solo oleandri e buganvillee a farle da contorno, sulla sinistra, con un po' di coraggio e soprattutto poiché non ci arrivo nel fine settimana, decido di scendere a Erchie.
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Di Maiori e Minori non so dire molto: se non che sono passaggio forzato per chi vuole proseguire. Complice un'alluvione di vaste proporzioni, e la politica scellerata della ricostruzione, oggi dei due comuni si salvano solo il porticciolo rimodernato da poco in pietra bianca e le spiagge, confortevoli perché di sabbia abbondante: non come quelle del resto della costiera, che un anno ci sono e l'altro no, a seconda dell'estro di Poseidone. Ma poi quella bassa edilizia alberghiera, monolitica, che fa apparire i palazzi come comò in cui a ogni balcone corrisponde un cassetto, la si lascia presto alle spalle, per raggiungere il tratto più monumentale. Atrani si annuncia con la chiesa della Maddalena, il cui campanile ha un'asola che lo passa da parte a parte. È famosa per essere il comune più piccolo d'Europa, e non lo è certo per il numero di abitanti, che si accalcano invece uno sull'altro, bensì per l'estensione del suo territorio, poiché volendo ripararsi dagli sguardi del mare si è sviluppata in un'insenatura della roccia, costruendosi a poco a poco, il tetto di una casa a far da pavimento a quella superiore, fino ad avere un'immagine indescrivibile, se non con quei presepii che si vedono a Napoli, nella via di san Gregorio armeno. La grande svolta di Atrani si è avuta qualche anno fa, forse una diecina: la piazzetta è divenuta il luogo dove ci si incontra la sera. Già dalle ventidue Amalfi inizia a svuotarsi e file composte o scomposte di persone sciamano lungo il chilometro di strada costiera che le divide, verso la parte bassa del paesetto, lì dove le arcate che sostengono la strada nova rivelano la piazza. Una ripida scalinata domina i localini, e diventa il luogo naturale dove ci andiamo a sedere, dopo esserci procurati il bicchiere giusto. Dico questo: Atrani per me ha un senso che va oltre qualunque ragione. Devastata o rasserenata, innamorata o abbandonata, c'è sempre stato un giorno in cui ho preso una barca e mi sono precipitata sulla spiaggia. Christian, compagno di liceo e proprietario di due stanze appese nella roccia che paiono sacchi da trekking, stava lì ad aspettarmi. Oggi riprovo le due strade che ho imparato a percorrere da Atrani: energia e fiato compagni di viaggio, è la volta dei Ravello steps: milioni di scalini che superano un dislivello di 400 metri portando, per gole e ruscelli, strane fabbriche in disuso e case coloniche, a Ravello. Quando ero una ragazza e non sapevo che sarei diventata una scrittrice arrivavo a villa Cimbrone, e, sotto i tempietti neogotici, immaginavo i conversarii tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West. Solo il mese scorso ho scoperto 'le terrazze', piscine profondissime che ti riconducono con un solo tuffo agli anni Settanta, in attesa di fricchettoni, se ne esistono ancora, o di nostalgici del socialismo reale. Sempre da Atrani, risalendo le indicazioni pedonali per Amalfi, mi ritrovo in breve tempo a camminare lungo la stessa strada costiera, ma a picco su essa, in una viuzza senza illuminazione, non fosse per le poche case che ne hanno di propria, e per la luna, nelle sere giuste. Questa strada, che ha lo stesso panorama mozzafiato della carrabile, ma l'indiscutibile fascino di essere immersa nella natura, finisce in un supportico che è già terra d'Amalfi. Entrando in città dalla piazza comunale, senza cedere alla tentazione di un aperitivo sul lungomare, ancora un supportico mi fa sbucare sotto le scale dell'immenso spettacolare duomo di sant'Andrea. È solo il primo dei supportici a calce bianca che servivano agli amalfitani per nascondersi dalle incursioni piratesche e da quelle del sole cocente e che, a volerli seguire, tutta la repubblica marinara per la sua lunghezza si attraversa, fino alla strada delle cartiere e da lì alla Valle delle Ferriere: riserva di felci estinte in altri luoghi d'Italia. Poi una galleria va avanti per Praiano e Positano: ma io mi fermo a mangiare un pasticciotto e aspetto Katia che arriva con il prossimo aliscafo.
Valeria Parrella-L'espresso by arrangement with Santachiara Literary Agency