Wikipedia, rivolta on line

L'enciclopedia autosospende la sua versione italiana contro le nuove leggi liberticide sulla Rete: un fatto senza precedenti in una democrazia. Centinaia di migliaia di persone protestano on line e sui social network

Accedere a Wikipedia e ritrovarla oscurata per protesta non era mai accaduto in nessun paese del mondo.

Dalla sera del 4 ottobre l'Italia può gioire per l'ennesimo primato conquistato, in seguito all'iniziativa della community dell'enciclopedia di pubblicare un messaggio per lanciare l'allarme contro il ddl intercettazioni e la norma 'ammazza blog'. «La decisione di lanciare questa protesta è partita dai wikipediani, con una votazione pubblica», spiega a 'l'Espresso' Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia, associazione che promuove i progetti della piattaforma Wiki, «Gli utenti sono convinti che questa legge renda impossibile lavorare sulle biografie di Wikipedia, perché si rischia di diventare un sito di comunicati stampa mandati da chi non è d'accordo su quanto scritto. E questo va contro il principio di libertà che anima Wikipedia».

La protesta della versione italiana dell'enciclopedia è unica nel suo genere, ma ha già raccolto il sostegno della Wikimedia Foundation americana, l'associazione guidata dal fondatore di Wikipedia Jimbo Wales che sostiene l'intero progetto. «Abbiamo fornito i dettagli legali agli avvocati della fondazione e loro stessi ci hanno confermato che potevano esserci dei rischi per Wikipedia», continua Codogno. Lo stesso fondatore di Wikipedia Wales ha lanciato su twitter un messaggio definendo "idiotic" questo disegno di legge. «In ogni caso la decisione die wikipediani non è a favore o contro un partito o un governo», continua Codogno, «Nella nostra comunità ci sono persone di destra e di sinistra, e ogni voce è sempre frutto di un dibattito interno che tiene conto delle posizioni di tutti».

La portata della protesta di Wikipedia riaccendercon forza il dibattito sul comma ammazza blog. «Non c'è dubbio che quella di Wikipedia sia una protesta motivata», spiega a 'l'Espresso' Stefano Rodotà, già presidente dell'authority per la privacy, «Dietro questo Ddl ci sono due elementi principali: aggressività e ignoranza. Chi ha scritto l'articolo dedicato ai siti informatici non ha chiaramente idea di cosa stia parlando. Prevedere quelle modalità di rettifica, quei tempi e quelle sanzioni significa ignorare del tutto come funzioni la rete».

Della stessa opinione anche Vincenzo Vita, senatore del Pd e uno dei principali esponenti dell'opposizione per quanto riguarda internet: «Fanno benissimo a protestare: è una norma grottesca, medievale e antistorica e quella di Wikipedia è un'iniziativa che va appoggiata, nella speranza che decada non solo la norma sui siti internet, ma anche tutto il Ddl».

«Il grado di conoscenza della rete da parte della politica è di gran lunga inferiore a quello della società», continua Rodotà, «Ci sono politici che non sanno neppure che si può correggere una voce su Wikipedia e in questo senso il comunicato diffuso dall'enciclopedia spiega molto bene l'esistenza di strumenti per l'autocorrezione e per intervenire se si ritiene leso un proprio diritto, anche attraverso provvedimenti di urgenza. Gli strumenti, sia tecnologici che legali, quindi ci sono già».

«Non bisogna però commettere l'errore di credere che si tratti solo di ignoranza della politica», sottolinea Vita, «C'è una vera e propria cultura nel voler bloccare la rete, presente anche in Francia con la legge Hadopi. Questa norma, inserita a forma nel ddl intercettazioni, è particolarmente incredibile certo. Ma queste azioni non sono il frutto di una sbadataggine».

Ma lo sciopero e la possibile chiusura di Wikipedia per alcuni commentatori sono una buona notizia, come è possibile notare dalle esultanze della stampa di centrodestra. Un articolo sul quotidiano romano 'Il Tempo', spiega tutto nella frase di apertura: «La nuova legge sulle intercettazioni potrebbe avere un merito inaspettato: far scomparire Wikipedia». Non molto diverso il tono del 'Giornale', che invece preferisce insinuare una manipolazione politica della protesta. «Chi sia l'autore del comunicato non è dato sapere visto che Wikipedia non ha una redazione e dietro il papello denuncia potrebbe nascondersi un Di Pietro o un Grillo qualsiasi», si legge in un articolo a pagina 7.

«Non credo che certa stampa italiana possa presentarsi come paladina di verità e moralità, visto quello che si legge ogni giorno sui giornali», chiosa Rodotà, «Almeno in rete c'è la possibilità di modificare quello che non è giusto, mentre alcuni giornali sono completamente impermeabili alle correzioni».

«In ogni passaggio tecnologico c'è una reazione di questo tipo: l'innovazione non si controlla e fa paura», continua Vita, «Anche ai tempi dell'invenzione della stampa di Gutenberg si è urlato tanto».

«La decisione di Wikipedia», dice Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale  «rappresenta una pietra miliare nella storia del web e della tutela del diritto alla libertà dell'informazione in rete. È una fondamentale presa di coscienza per i collaboratori e i fruitori della più grande opera collettiva che l'umanità abbia conosciuto, improvvisamente messi di fronte agli effetti delle norme censorie approvate dal Parlamento».

Tra l'altro, Wikipedia non ha una redazione e rischierebbe continuamente di incorrere nelle multe (fino a 12.500 euro) previste per chi non fa la rettifica in tempo. Inoltre gli utenti avrebbero una versione 'addomesticata' dell'enciclopedia: «Siti come Wikipedia vivono e informano trattando milioni di informazioni in tempo reale: tutti i politici prenderanno carta e penna e scriveranno a Wikipedia imponendo la loro verità sulla loro biografia, al posto di quella tratta dalla rete e quindi imparziale», come spiega Fulvio Sarzana, avvocato tra i massimi esperti di diritti digitali. Wikipedia funziona infatti con il principio dell'intelligenza collettiva: è il coro degli utenti a migliorare in continuazione gli articoli. La rettifica imporrebbe sul coro la voce di un singolo.

Una lettera indirizzata a tutti i parlamentari verrà inviata nelle prossime ore a tutti i parlamentari, assieme a tutte le firme raccolte e pubblicate sul sito dell'associazione Agorà Digitale e ad un resoconto di tutta la mobilitazione sui social network di queste ore da "Rivogliamo Wikipedia - No alla legge bavaglio" con 160 mila iscritti a "Salviamo Wikipedia" con 21 mila.  

Intanto in Parlamento stanno arrivando molti emendamenti al comma 29, tra cui spicca quello Cassinelli (Pdl), presentato mercoledì mattina: «Lascia l'obbligo di rettifica solo alle testate giornalistiche registrate (entro 48 ore e senza commento). Niente per tutti gli altri siti», spiega a Roberto Cassinelli. «L'emendamento sarà discusso alla commissione giustizia della Camera. Cassinelli si dice «prudentemente ottimista».

«Ho visto tanti emendamenti, anche peggiorativi, provenire dalla maggioranza», ribatte Paolo Gentiloni (Pd). «Se passa il comma così com'è ora, sarà un disastro per tutti i siti e i blog, in particolare quelli che non hanno una redazione. Se prevale invece l'emendamento Cassinelli, il danno sarà minore ma ancora non basta», aggiunge. «Bisognerebbe fare un passo in più ed eliminare qualsiasi obbligo di rettifica per i siti Internet. Ai quali non si può applicare una norma degli anni '40, pensata per la carta stampata».

Al centro della questione c'è proprio questo: la legge sulla stampa prevede infatti che il diritto di rettifica valga a discrezione e arbitrio di chi vuole rettificare, se questi semplicemente ritiene quanto scritto «lesivo della sua dignità o contrario a verità»: era stata infatti pensata, giustamente, per dare un'arma ai cittadini comuni rispetto al maggior potere di un giornale. L'estensione dell'articolo 8 di questa legge ai blog o ai piccoli siti di informazione rovescerebbe tuttavia le parti: il blogger o il responsabili del sito sarà infatti il più delle volte parte debole rispetto ai soggetti di cui scrive – i politici, le corporation, i Vip tipo Vasco Rossi – e con questa nuova legge sarà obbligato a rettificare (pena una multa di 12.500 euro) tassativamente entro 48 ore (se per due giorni non ci si collega, si paga la multa), quale che sia il merito della questione.

In discussione c'è dunque un po' tutta la questione delle libertà  digitali nel Paese dove comanda un tycoon con un impero economico e un consenso politico fondato sulle tv, che quindi ha interesse a inbrigliare la rete sia per motivi politici (frenare l'organizzazione del dissenso che avviene sempre di più on line) sia per interesse economico (gli investimenti pubblicitari sul web stanno erodendo quote di mercato a quelli sulle emittenti televisive).

La questione della rettifica – così come quella del diritto d'autore al centro delle delibera che Agcom sta preparando in materia di web – pare quindi più un alibi che altro, per frenare il più possibile, in Italia, un processo fortunatamente irreversibile.

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