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Cultura
febbraio, 2014

Lunga vita a Shakespeare: a 450 anni dalla nascita per il Bardo entusiasmi da rockstar

Libri. Mostre. Film. Musical. Itinerari sulle sue rotte e omaggi d’autore. Il mondo omaggia il grande genio dalla modernità eterna

Su Facebook ha quasi 7 milioni di “mi piace”. Su Twitter centinaia di account: tra poeti e patiti, accademici e studenti, organizzatori di festival e venditori di cottages dalle parti di Stratford-upon-Avon, una comunità da decine di migliaia di follower.

È terzo nella classifica sulle personalità più eminenti di sempre (“Who’s bigger”, stilata attraverso un software che scandaglia Internet), dopo Gesù e Napoleone, ma prima di Maometto. Secondo Interceder.net, che aggrega news in base al contenuto, nel solo periodo compreso tra il 25 dicembre e il 25 gennaio è stato oggetto di 1.300 articoli: una media di 40 articoli al giorno.

Forse non è mai esistito: solo fumo e voce, come diceva Jorge Luis Borges. Ma uno, nessuno o centomila, William Shakespeare, fascinatore eterno, è oggi più vivo che mai: rappresentato, evocato, adattato, citato, il drammaturgo è al centro di una rilettura di massa. E di un’epidemia trasversale e quotidiana, che affiora quando meno te lo aspetti: «Ma Bruto è uomo d’onore», scandisce Gianni Cuperlo, come Marco Antonio nel “Giulio Cesare”, rivolgendosi a Renzi, negli stessi giorni in cui Roberto Saviano mette il drammaturgo al centro di un dibattito sulle fiction. E se Caterina Bonvicini apre il suo ultimo libro, “Correva l’anno del nostro amore” (Garzanti), rievocando un’infanzia con Amleto e i racconti di veleni mortali nell’orecchio, i teatri d’Italia, da Nord a Sud, sono letteralmente invasi dalle più note opere shakespeariane.

Nuovi testi, audiolibri, riscritture di sue tragedie e commedie arrivano in libreria. In preparazione c’è persino un “docu-reality” sulla presunta origine siciliana del drammaturgo. Hollywood annuncia il sequel dell’amato “Shakespeare in love”. Bruce Springsteen, in “High Hopes”, suo ultimo cd, fa del drammaturgo il protagonista di “Frankie Fell in Love”, immaginandolo a spiegare l’amore ad Einstein, davanti a una birra: “Man, it all starts with a kiss”, tutto comincia con un bacio.

[[ge:rep-locali:espresso:285116245]]E siamo solo agli inizi: Shakespeare sta per festeggiare i 450 anni dalla nascita, il prossimo 23 aprile. I preparativi fervono, con la Gran Bretagna in testa ad annunciare mostre, omaggi, tour.

«Come con Dante, tutti sanno chi sia William Shakespeare. È un segno della potenza commerciale dell’inglese», dice Luigi Sampietro, anglista di lunga esperienza all’Università Statale di Milano: «Una volta c’era l’impero britannico, oggi è la lingua inglese l’elemento unificante e di predominio. Shakespeare è come il McDonald’s o la Coca-Cola: un tratto identitario. Proprio perché musica, tv, cinema se ne sono, nel tempo, appropriati, oggi chiunque parli inglese, in ogni parte del mondo e qualunque mestiere svolga, conosce Shakespeare». Icona pop. Nome noto a ogni latitudine, Shakespeare è praticamente un brand.

«L’Inghilterra è terra di banchieri e assicuratori, e Shakespeare è diventato un tesoro su cui investire e guadagnare», insiste Sampietro: «È come la Ferrari, il Chianti. Per “venderlo”, e ricavarne profitto, gli inglesi lo rivitalizzano di continuo. Shakespeare è da secoli una specie di nuova industria del carbone: non a caso ancora oggi nel suo nome si fattura quanto un’azienda di medie dimensioni. Nella sola Londra ci sono di continuo spettacoli tratti dalle sue 38 opere, ma anche dal punto di vista accademico l’interesse è continuamente rigenerato, grazie a una squadra di storici che ogni anno tira fuori una nuova teoria e pubblica nuovi libri. Così, quando sembra che la critica estetica e letteraria abbia detto tutto sulla sua vita e sui suoi lavori, la ricerca si sposta sul piano degli studi culturali: le donne, il sesso, i gusti. Io stesso, in occasione di Expo 2015, sono stato chiamato a indagare il rapporto tra Shakespeare e il cibo».

Il Bardo come parte integrante di quel “soft power” col quale una nazione fa propaganda di se stessa? Si fa presto a confermare la teoria: solo negli ultimi giorni, a dare nuova linfa a critici e studiosi, è arrivata la pubblicazione on line del suo testamento (“Lascio alle mie figlie 150 sterline, 10 sterline ai poveri di Stratford, a mia moglie il mio secondo letto con mobilio...”, su www.ancestry.co.uk). Nuove ricerche ne esaltano la lingua: «Lo sapevate che tredici parole inglesi sono state inventate da lui?», riferisce Huffington Post, citando, tra gli altri, “manager” e “fashionable”. L’orgoglio inglese è forte, palpabile.

«Ma se l’operazione di valorizzazione dello scrittore riesce è perché lui è grandissimo: per statura, per capacità di entrare nella psiche e di toccare le corde del cuore», sottolinea Sampietro: «Shakespeare è il poeta dell’uomo. Abbassa il cielo; considera, come Montaigne, l’uomo misura di tutte le cose e l’aldilà qualcosa che forse non esiste; esalta la forza dell’amore: temi spendibili in tutte le epoche. Come lo scetticismo, che mette in bocca a vari suoi personaggi. E la sorte avversa, che colpisce non gli uomini comuni ma i re, i campioni, coloro che dovrebbero avere più forza d’animo. Il gioco dei potenti, uomini spietati, rapaci, senza scrupoli, è estremamente contemporaneo. La crudeltà con cui viene condotta la scena politica allevia il peso del pubblico o del lettore. E un po’ ci consola».

Eccola, la modernità dello scrittore. I temi forti capaci di parlare al mondo d’oggi. Il sangue. Gli intrighi. L’amore: sentimentale, che non teme di apparire troppo sdolcinato, ma anche di stampo ottocentesco, passione Sturm und Drang. Per i più romantici, la storia d’amore per eccellenza rivive, in questi mesi, nella mostra “Romeo e Giulietta. Un amore da Oscar”, promossa dalla Fondazione Culturale Hermann Geiger: un’esposizione dei costumi originali indossati sul set di Franco Zeffirelli nel 1968 (fino al 2 febbraio 2014, a Cecina, Livorno). E in un sofisticato libro, un cofanetto di seta rossa di “Romeo e Giulietta” (edito da Rizzoli), con le illustrazioni rare di Salvador Dalí.

«È la sua articolata visione del mondo la vera ricchezza: dà vita a tragedie con sangue e disperazione, ma anche a commedie leggere come un giorno di primavera», nota Sampietro.

«C’è una capacità, in Shakespeare, di parlare d’amore, di soprusi, di vendette, di vita, che al suo confronto tutte le storie in circolazione appaiono piccine e ovvie», interviene il regista Giancarlo Sepe, da sempre affascinato dal repertorio shakesperiano. A Roma, al teatro Eliseo, ha appena allestito una assai applaudita versione gipsy di “Molto rumore per nulla”, con Francesca Inaudi nel ruolo di Beatrice. Ora è in scena al teatro La Comunità di Roma con “Amletò”, reinvenzione in una Francia degli anni Trenta. Perché c’è questo di evidente nell’interesse verso il poeta: non incute soggezione. Come ogni vero mito pop.

«I capolavori sono toccabili e modificabili, perché non perdono nulla della loro verità, anzi acquisiscono forza dalle nuove interpretazioni. Sono le storie mediocri, al contrario, che è meglio non modificare: rischiano di essere travisate», spiega Sepe, che in entrambi i testi ha svolto un affascinante lavoro sulla lingua: in un caso, spostando l’ambientazione da un luogo di potere come il palazzo del Governatore a un campo di zingari, dove si intrecciano i dialetti d’Italia; nell’altro giocando con le assonanze di un francese completamente inventato. «Ho tradotto così l’universalità della lingua di Shakespeare. Quanto alle atmosfere popolari, ho voluto esaltare la popolanità del gesto teatrale immaginando una festa di paese, occasione per raccontare storie, intrecciare avventure, mescolare aneddoti di santi e di vergini, di odi, passioni e tradimenti». In fondo, le atmosfere originarie del Globe Theatre, il teatro di Londra dove si esibiva la compagnia di Shakespeare. Col pubblico rumorosamente partecipe.

[[ge:espresso:visioni:societa:1.150957:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.150957.1391440963!/httpImage/image._gen/derivatives/articolo_480/image.]]«Shakespeare è una garanzia. “Romeo e Giulietta” un testo col quale è difficile sbagliare», semplifica David Zard, il produttore del musical più amato del momento: “Romeo e Giulietta. Ama e cambia il mondo”, debutto il 2 ottobre scorso all’Arena di Verona, attualmente a Milano (fino al 23 febbraio al Gran Teatro Linear4 Ciak), in mezzo numeri da record: 80 repliche a Roma con 160 mila spettatori; 135 mila fan su Facebook; 230 mila visitatori sul sito ufficiale (romeoegiulietta.it); 270 mila visualizzazioni su YouTube. «In questo momento così delicato, è stato comunque un gesto di coraggio. Un atto d’amore verso una storia. Lo spettacolo è costato diversi milioni di euro. E la messa in scena, con 45 tecnici, 50 artisti, costa molto ogni settimana», ammette Zard, che sostiene di aver modernizzato Shakespeare, rispettandolo: «Nello spettacolo facciamo uso di tanta tecnologia, ma talmente sofisticata da non essere invasiva rispetto al testo. Questa rilettura di Romeo e Giulietta, in mesi di rappresentazione, non ha registrato un solo commento negativo. È il musical dei sogni, delle speranze, delle illusioni dei giovanissimi. Per questo abbiamo voluto due protagonisti così giovani: per fedeltà al testo originale».

Il pubblico apprezza. Il musical ritornerà a Roma dall’11 marzo, per fare tappa poi a Napoli e a Torino. Intanto, la capitale resta avamposto di molti spettacoli dal repertorio shakesperiano: al teatro Eliseo fino al 9 febbraio c’è “Antonio e Cleopatra”, nella traduzione di Gianni Garrera, con regia e adattamento di Luca De Fusco. Al teatro Vascello è in scena, fino a 2 febbraio, “Giulio Cesare”, con la regia di Andrea Baracco. Prosegue la tournée per l’Italia di Alessandro Gassmann, che approderà il 4 marzo al Piccolo Teatro Strehler di Milano, alle prese con le deformità dell’animo umano di “Riccardo III”.

A Verona, città dove è sempre attivo il Club di Giulietta (l’associazione che risponde alle migliaia di lettere indirizzate alla protagonista della tragedia di Shakespeare), lo spettacolo “Hotel Shakespeare”, promosso dalla compagnia Ippogrifo, è dedicato ai pezzi classici della letteratura shakesperiana. Da Napoli è partita la rappresentazione, a cura di Francesca Florio, della commedia “Shakescene”, definizione di Robert Green, che in Gran Bretagna identifica anche un popolare gioco da tavolo.

Se a teatro adattamenti e rivisitazioni non si contano, è però dal mondo editoriale che arriva l’ultima novità: un progetto, promosso da Penguin Random House, che arriverà a compimento nel 2016, per riscrivere le opere di Shakespeare per i lettori d’oggi. «I lavori di Shakespeare sono amati in tutto il mondo. Ogni generazione ne ha fatto una sua rilettura, attraverso musical, film, racconti. È arrivato il momento di lanciare una collana di riscrittura delle sue opere, per mano degli scrittori contemporanei più amati», ha annunciato il gruppo editoriale, mettendo Margaret Atwood a riscrivere “La tempesta”, Howard Jacobson “Il mercante di Venezia”, Jeanette Winterson “Racconto d’inverno”, Anne Tyler “La bisbetica domata”. Sarà Jo Nesbo a elaborare la nuova versione del “Macbeth”, il più adatto a cogliere le atmosfere da noir cupo e cruento del dramma shakesperiano. Lo scrittore norvegese si è detto entusiasta: «Macbeth è una storia che mi sta molto a cuore», ha commentato: «È un thriller sulla lotta per il potere, mi permetterà di indagare la mente di un paranoico».

Decisamente più rassicurante l’iniziativa di Emons, che rinnova la bellezza dei “Sonetti” di Shakespeare con un audiolibro (in libreria dal 12 febbraio, in download dal sito www.emonsaudiolibri.it.): legge i versi, pubblicati per la prima volta nel 1609 e destinati in parte a un controverso “fair youth”, in parte a una misteriosa “dark lady” (perciò tra i più scandagliati dagli indagatori degli amori del drammaturgo), l’attore Stefano Accorsi. La traduzione è di Roberto Piumini, lo scrittore per l’infanzia autore di un long seller di Einaudi Ragazzi, “Giulietta e Romeo”, appena ritornato in libreria. Destinato ai bambini è anche l’adattamento di una “Shakespeare-geek”, Germana Maciocci, che da un blog (Shake-speares), e su Twitter, sparge il verbo del suo mito: è suo l’ebook “La dodicesima notte 4 kids”.

Ha cercato di avvicinare i più giovani a Shakespeare anche il regista Carlo Carlei, che all’ultimo Festival di Roma ha presentato, fuori concorso, un “Romeo & Giulietta” sceneggiato da Julian Fellowes (quello di “Downton Abbey”), primo lungometraggio della Swaroski Entertainment con Rai Cinema e Indiana Production Company.
L’annuncio più ghiotto però, cinematograficamente parlando, è arrivato da Harvey Weinstein: “Shakespeare in Love”, il film del 1998 diretto da John Madden, campione d’incassi e premio Oscar targato Miramax, avrà un seguito. Potrebbe essere la stessa Gwyneth Paltrow, quella Lady Viola che si fingeva uomo per recitare in “Romeo e Giulietta”, a interpretarlo. È sicuramente Marion Cotillard l’interprete di Lady Macbeth, in una riedizione della tragedia firmata dal regista Justin Kurzel: con Michael Fassbender, le riprese sono già iniziate.

Al lavoro è anche il Comitato per le Shakespeare Birthday Celebrations (www.shakespearesbirthday.org.uk). La febbre è altissima: perché se quest’anno si festeggiano i 450 anni dalla nascita (il 23 aprile del 1564), nel 2016 cadranno i 400 anni dalla morte (sempre il 23 aprile, ma del 1616). Due anniversari importanti. E costosi, per Stratford-upon-Avon. L’ambizione del comitato e del sindaco Diane Walden è di organizzare 18 mesi di festeggiamenti, ma occorrono fondi. Così, dalla cittadina dove Shakespeare è nato ed è morto, è partita l’idea di una rete internazionale di sostenitori, “Amici delle celebrazioni shakesperiane”, a caccia di sponsor. La parata alla Holy Trinity Church è fissata per il 26 e il 27 aprile. Chissà se in prima fila ci saranno, tra i fan del Bardo, i fidanzatini reali, il principe Harry e la bionda Cressida: nome che i genitori, patiti di Shakespeare, le hanno dato in omaggio a “Troilo e Cressida”.

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