L'adolescenza da bambino-soldato e l'età adulta da scrittore e attore. Le radici in Sri Lanka e il vissuto presente in Francia. Le battaglie, il carcere, la fuga e la rinascita a Parigi. Il passaporto in tasca da apolide, nonostante la Palma d'oro al festival di Cannes come protagonista del film di Jacques Audiard Dheepan.
È una vita a tinte forti, costellata di emozioni e contrasti quella di Jesuthasan Antonythasan, 48 anni portati con la naturalezza dell'anti-divo. La sua storia di profugo scappato dalle violenze dei ventisei anni di guerra civile tra governo di Colombo e le Tigri Tamil che si confonde con la narrazione del protagonista del film che l'ha reso famoso: "Dheepan. Una nuova vita", il racconto di una finta famiglia singalese che trova rifugio in una banlieue parigina dominata da bande criminali (in uscita nelle sale italiane in questi giorni).
"L'Espresso" lo incontra al festival dei diritti umani di Lugano (cinque giorni di dibattiti, lungometraggi e documentari ambientati in Siria, Eritrea, Palestina, Ungheria e Russia seguendo il filo rosso delle violazioni e delle migrazioni), dove è arrivato come testimonial per la cerimonia di apertura.
Che cosa significano diritti umani per lei?
«Non è un concetto univoco e universale. L'America dà una definizione, l'organizzazione per la liberazione della Palestina né dà un'altra che non coincide con quella della Nazioni Unite. Per me, che sono un marxista convinto, i diritti umani sono pura anarchia. Lo raccontiamo bene nel nostro film: partendo da passaporti ed esistenze in prestito si costruisce una vera famiglia tra perfetti sconosciuti che mentono per sopravvivere».
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Come ha vissuto l'arrivo dei profughi siriani in Germania tra gli applausi?
«Sono felice, felicissimo di quella accoglienza ma non basta. Tutti sanno che i siriani scappano dal regime di Bashar-Al Assad e dalle truppe dell'Isis. Non sono però gli unici: ci sono migliaia di persone che vivono le stesso dramma e vorrebbero aver un posto che li accolga. Dovete ancora capire in Europa che nessuno vuole rubarvi la ricchezza che avete ma i migranti sbarcano qui per salvarsi».
Ci racconta la sua storia di adolescente in guerra?
«Io sono cresciuto con la guerra in casa. Avevo sette anni quando è scoppiata e vivevo a Nord dell'isola vicino e Jaffna. Ho osservato con i miei occhi il massacro del popolo Tamil. Ho visto prima le librerie bruciare, poi il massacro di Colombo e cinquantatré oppositori politici arrestati e uccisi. Non potevo stare con le mani in mano. Per me era importante aiutare e difendere il mio popolo: per questo a sedici anni ho scelto di entrare a far parte delle Tigri e imbracciare il fucile. Ho vissuto la guerriglia per tre anni e mezzo e ho visto il crescente controllo del territorio e del potere dei vertici dell'organizzazione che puntava alla secessione. Ho deciso però di mollare quando le Tigri hanno iniziato a colpire i civili singalesi e i musulmani. Era troppo per me: io combattevo per un ideale socialista e il sogno di vivere senza differenze di religione, classi e cultura. Per me l'ideale era raggiungere la parità per tutti non massacrare i nostri nemici».
Come ha vissuto da ex guerrigliero?
«Nell'autunno del 1990 sono scappato da Jaffna per andare nella capitale, a Colombo, dove sono stato arrestato per la mia militanza. Uscito dalla prigione ho raggiunto la Thailandia dove per tre anni ho vissuto come rifugiato. Lo Stato ci garantiva un piccolo sussidio per poter vivere ma il visto era impossibile. Facevo ancora fuori e dentro il carcere per l'assenza di documenti. Quando ho messo le mani su un passaporto falso francese sono scappato a Parigi. Appena sbarcato in aeroporto i poliziotti hanno capito che i miei documenti erano palesemente fasulli e mi hanno richiuso ancora in una cella e massacrato di botte. È stato il mio "benvenuto" in Europa».
Che idea si era fatto del vecchio Continente?
«I miei amici che erano emigrati da anni mi ripetevano come un mantra "Non venire, non venire. È difficile sopravvivere qui". Ma io dovevo scappare per salvarmi la vita e ricominciare da qualche parte. Per tanto tempo ho aspettato buone notizie dal mio paese per poter tornare indietro. Nel frattempo però sono passati 25 anni».
Quando ha capito che il "nuovo mondo" poteva offrirgli la possibilità di diventare scrittore e attore?
«Fin da ragazzo non avevo nessun piano di vita, nessuna idea per far evolvere la mia parte artistica. Io vivo senza fare progetti: anche i guadagni del film li ho quasi terminati e non so come vivrò il prossimo anno. A gennaio si vedrà».
Che cosa pensa dello Sri Lanka di oggi, con le Tigri Tamil praticamente scomparse e l'isola proiettata verso una nuova era di benessere?
«Ben venga quello che fa l'attuale governo per lo sviluppo del Paese. Io lo vedo positivamente il nostro futuro. I partiti degli estremisti tra le fila dei Tamil e dei singalesi hanno preso una sonora batosta nelle ultime elezioni presidenziali di gennaio. Entrambe le fazioni devono dimenticare la violenza e i soprusi della guerra civile. Oggi l'importante è l'uguaglianza. Il modello dell'India con tante etnie sotto la stessa bandiera può funzionare anche da noi».
Quanto c'è di tutto questo vissuto nel film?
«Dheepan è un film di Jacques Audiard e lui tre anni fa aveva già scritto tutto partendo da "Le lettere Persiane" di Montesquieu, aveva un'idea precisa di quello che voleva realizzare. Io sono semplicemente un attore, non c'è niente di mio in questa storia. Il regista non sapeva nulla del mio passato. Io ho semplicemente tradotto in lingua Tamil dando dei nomi e situazioni reali. È una storia d'amore con una famiglia "falsa" che diventa una vera famiglia. Sono contento che si faccia vedere la sofferenza dei rifugiati singalesi che arrivano fino a qui».
Come è stato il suo incontro con il regista Audiard?
«Prima di incontrarlo avevo una grandissima paura. Ma al primo incontro si è sciolta immediatamente. Jacques oggi per me rappresenta un amico sincero e trasparente. Il suo modo di vedere il mondo si riflette anche durante le riprese: tutti eravamo liberi di dire la nostra opinione e aggiungere particolari».
Come ha vissuto la Palma d'Oro e la celebrità di un premio così importante?
«Ho capito che c'era qualcosa nell'aria perché il venerdì, con il festival di Cannes ancora in corso, io ero già rientrato a casa pensando che non avremmo vinto mai. La domenica però mi hanno telefonato per dirmi di tornare indietro. E ho pensato: o mi danno il premio come migliore attore o ci siamo aggiudicati la Palma d'oro. Quando però sono arrivato in aeroporto e ho trovato il mio collega attore Vincent Rottiers ho capito che il premio non era per me. Dopo la premiazione non è cambiato assolutamente nulla. Anzi sì: ora mi riconoscono e non posso più saltare i tornelli della metropolitana come facevo prima».
Dopo il vostro premio la rivista francese Cinema ha parlato di "vuoto politico del cinema francese". Si aspettava una critica così spietata?
«Non condivido questa critica. Il nostro film è stato molto importante per la cinematografia d'Oltrealpe: è stata la prima volta di un attore in scena con un volto Tamil e con dialoghi all'80 per cento in lingua originale. Per Audiard è stata una grande sfida: non poter sapere cosa gli attori dicono durante le riprese e scegliere di lasciar tutto in una lingua così lontana dal francese era un un grosso rischio. In più all'interno del cast c'erano solo due professionisti. Gli altri erano tutti all'esordio o quasi. Io credo che abbia vinto il coraggio di questa sfida».
Quanto c'è di Dheepan nella vita di Jesuthasan?
«Tutti mi dicono che abbiamo ceduto alla voglia di fare un finale in stile americano, con il protagonista integrato e felice. La mia però non è una storia con happy ending. Sono un perfetto apolide e quando il prossimo mese presenteranno il film al festival di Colombo non potrò tornare nel mio paese».
Cultura
22 ottobre, 2015Jesuthasan Antonythasan è il protagonista della pellicola di Jacques Audiard Dheepan (in questi giorni nelle sale italiane) premiata con la Palma d'oro in Francia. E nel suo passato c'è l‘adolescenza con le Tigri Tamil in Sri Lanka e la fuga con il passaporto falso verso l'Europa
Dalla guerriglia in Asia al festival di Cannes
La storia da film (ma vera) dell’attore apolide
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