Cosa resta da scoprire in cielo per il centenario della teoria di Einstein? Senza dubbio le onde gravitazionali, da lui previste ma osservate finora solo indirettamente in strane coppie di stelle di neutroni

Einstein, vorrei tanto vedere quelle onde

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Non è facile immaginare la seduta della Accademia Prussiana delle Scienze del 25 novembre 1915. In piena guerra mondiale erano tutti lì ad ascoltare un giovane (36 anni) professore ebreo che cominciava una serie di conferenze su di una rivoluzione nella fisica. A 17 anni, Albert Einstein aveva rinunciato alla cittadinanza tedesca (ed era perciò immune dal servizio militare, che profondamente disprezzava), a 22 aveva avuto una figlia illegittima (poi morta di scarlattina) da una giovane e talentuosa serba, l’unica donna ammessa al Politecnico di Zurigo, poi tardivamente sposata civilmente ma dalla quale si separerà proprio nel 1914, al suo ritorno ?a Berlino.

Nonostante infatti la sua origine ebraica ?e una vita turbolenta e politicamente sospetta, nel ’14 era stato nominato membro della Accademia, professore universitario (aveva dovuto riprendere la cittadinanza tedesca) e direttore dell’Istituto di fisica di Berlino, il più importante di Germania. Tutti avevano capito che era un genio fin da alcuni suoi lavori pubblicati dieci anni prima, tra cui quello che gli sarebbe valso il Nobel, nel ‘21. Ma questa “teoria della relatività generale”, l’oggetto delle sue prime lezioni tedesche, si annunciava come qualcosa di ancora più grandioso.

Partiva da una considerazione apparentemente banale, ma invece filosoficamente profonda: la massa del sasso che mettiamo in moto con un calcio (massa inerziale) e la massa dello stesso sasso quando cade attirato dalla Terra (massa gravitazionale) sono uguali. Semplice no? A questo principio fondamentale, detto di “equivalenza”, Einstein aggiunse un secondo principio (“cosmologico”), se possibile ancora più semplice: l’Universo è omogeneo ?ed isotropo e le leggi della fisica sono ?le stesse in ogni suo punto.

Con principi fondamentali come questi, Einstein costruì le “Fondazioni” (Grundlagen) della relatività generale e le pubblicò l’anno dopo. La prima possibilità di verifica della teoria fu di carattere astronomico: i quanti (di luce), come li chiamava Einstein, dovevano subire la attrazione gravitazionale. Per esempio, la luce di una stella che passasse radente ?al Sole doveva mostrare una deviazione causata dalla massa del Sole stesso.
Era un effetto relativamente facile ?da misurare, ma si dovette aspettare ?il 1919 a causa della guerra. Il grande astrofisico inglese A. Eddington eseguì ?la misura durante una eclisse: la luce della stella prescelta deviava della quantità prevista. Einstein aveva ragione, la teoria della relatività era un successo, anche se ancora oscura. A domanda infatti di un giornalista se fosse vero che solo tre persone al mondo capissero la teoria di Einstein, il borioso Eddington rispose: «Ah sì? E chi è il terzo?».

Poco più di mezzo secolo dopo, lo stesso effetto fu misurato su distanze cosmologiche, con la famose “lenti gravitazionali”, cioè immagini di galassie lontane distorte e talvolta moltiplicate ?da una galassia vicina, quasi perfettamente allineata rispetto all’astronomo. Sembra improbabile, ?ma succede: le galassie dell’Universo visibile sono più di cento miliardi...

La deviazione avviene perché, secondo la equazione più famosa del mondo, E=mc2, l’energia dei quanti di luce equivale a una massa e subisce perciò l’attrazione gravitazionale. Nei casi patologici delle stelle di neutroni, superdense, la luce emessa esce “stanca”, cioè con energia minore, proprio per aver dovuto vincere l’attrazione gravitazionale. Nel caso estremo del buco nero, la massa è ancor più concentrata e la luce non riesce proprio ad uscire, e per questo si chiama “nero”.

Cosa resta da scoprire in cielo per il centenario della teoria di Einstein? Senza dubbio le onde gravitazionali, da lui previste ma osservate finora solo indirettamente in strane coppie di stelle di neutroni. Quando una stella esplode, o quando due stelle si fondono una nell’altra, lo spazio circostante è perturbato da onde capaci di interagire con la materia. È sicuro che ci siano, l’ha detto il grande Alberto, ma sarebbe tanto bello vederle.

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