È la star assoluta dell’infanzia, e non solo. Un semiologo spiega: ci rivela cosa vuol dire oggi essere famiglia 

Ecco perché Peppa Pig è diventata un mito

Rosa, come il colore più detestato dalle mamme di oggi. Essenziale nelle espressioni, poche parole e molti grugniti. Neanche troppo originale come soggetto: una maialina antropomorfa, ultima dopo schiere di Tre porcellini, Porky Pig (Loonely Tunes), Miss Piggy (Muppets) e Olivia di Ian Falconer.

Aveva tutte le carte in regola per passare inosservata. Invece, non solo Peppa Pig è la star incontrastata della prima infanzia, da dieci anni a questa parte; non solo si è spalmata nella quotidianità dei più piccoli con una pervasività impressionante, saturando ogni segmento commerciale, su un merchandising infinito. Si scopre pure che è stata la celebrity più ricercata su Internet nel 2014, secondo Bing. E che un semiologo implacabile, padre di due bambini, si è messo sulle sue tracce: l’ha spiata, ne ha sezionato il linguaggio e le ambientazioni, deciso a scovare la risposta definitiva: perché Peppa è diventata un mito?

Per svelare il mistero, “Peppa Pig”, saggio di Francesco Mangiapane pubblicato dalla casa editrice digitale Doppiozero, costola dell’omonimo sito di critica culturale sul web (doppiozero.com), scandaglia i cartoni animati in onda tutti i giorni (su Rai YoYo e Disney Junior): puntate nate dalla fantasia di Neville Astley, Mark Baker e Phillip Hall, da cinque minuti appena e con accadimenti minimi: una scoperta, una gita, una sorpresa. Tutto all’interno di una casetta monofamiliare, in cima a una collina, dove convivono: mamma casalinga con sporadiche esperienze di telelavoro, un pingue papà che fa calcoli e ogni tanto progetta case, Peppa, maialina di 4 anni, e il fratellino George, che detesta le verdure e adora i dinosauri. Famiglia stereotipata, che tuttavia stravince su altri predecessori di successo come la Pimpa, Barbapapà, Heidi.

«Dietro questo decoro familiare piccolo borghese d’altri tempi, non è difficile riconoscere i cambiamenti che stanno ridisegnando la forma delle nostre famiglie», sostiene Mangiapane: «La precarizzazione del lavoro, la riconfigurazione dei ruoli di genere fra marito e moglie, la degradazione dell’autorità paterna e il parallelo ritorno verso una configurazione patriarcale allargata ai nonni che riprendono, dopo averlo perduto, il sopravvento sulla famiglia nucleare». Ecco allora Nonno Pig, marinaio e astronomo; nonna Pig, collezionista di cappellini e formidabile cuoca; e poi zie, conoscenti, vicini. Enclave che somiglia a un paese di una volta: dove tutti fanno cose da umani, ma si finisce sempre con un verso e a saltare nel fango.
«Essere famiglia, propone Peppa Pig, è “sentirsi” famiglia, con il proprio corpo, con il proprio stato emotivo, con la propria complicità, nonostante i conti non sempre riescano a tornare, nonostante non tutto vada come dovrebbe andare», sostiene l’autore.

Un esempio? Papà Pig: non sa piantare un chiodo, scivola di continuo, è tecnicamente un imbranato che ha bisogno del pragmatismo della moglie. Eppure, resta una figura forte e rassicurante. Perché chi l’ha detto che ci siano lavori da maschi e compiti da femmine?, sembra fare la morale il cartoon. E da questa famiglia imperfetta, Peppa e il fratellino non cercano di smarcarsi, con esercizi di indipendenza, come in altri cartoni: al contrario, scelgono l’adattamento, il buon senso. Strategie vincenti per le versioni più aggiornate di famiglia: varie, fragili, coraggiose; con due papà, con due mamme, con un genitore solo; con lavori instabili, amici provenienti da altri mondi, identità in trasformazione.

Peppa stravince grazie alla capacità di tenere insieme questi cambiamenti, non indolori, con un sorriso. E rendendo modello una famiglia non perfetta, “good enough”. Ma profondamente vera.

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