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Cultura
febbraio, 2015

Björk, la donna che plasmò se stessa

bjork
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Un'artista che prende quello che le serve, quello che ritiene utile per esprimersi al meglio. E in questa narrativa che prende forme inquiete e ipnotiche anche il corpo, intero o frammentato, diventa materia viva in continua evoluzione

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Il Daily Telegraph lo ha votato come il nono abito maggiormente ricordato di tutti i tempi. È il vestito con cui Björk arrivò nel 2001 alla consegna degli Oscar. L’oggetto, a forma di cigno, assolutamente realistico, progettato dal designer macedone Marjan Pejoski, plasmava il corpo dell’artista grazie al tulle carne elasticizzato. Björk camminando lasciava una scia di candide uova. Molti scrissero che era orrendo. Dimenticando che quando si parla di un autore così complesso, selvaggio e soprattutto unico come Björk, non si possono usare categorie scontate come bello/brutto o elegante/inelegante. Così cantò “Selma Songs”, la canzone di “Dancer in the Dark” di Lars Von Trier con cui era candidata all’Oscar. A Cannes, alla presentazione del film che le valse il premio per la migliore interpretazione femminile, indossava, sempre di Pejoski, l’abito lanterna, un complesso origami rosso arancio.

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Lei è catalizzatrice di emozioni, capace di restituire amplificata l’intensità del suo sentire in ogni declinazione della sua straordinaria forza creativa. Forse solo chi viene da una terra magica e lontana come l’Islanda può essere così libera da regole e preconcetti. Björk prende quello che le serve, quello che ritiene utile per esprimersi al meglio. In questa narrativa che prende forme inquiete e ipnotiche anche il corpo, intero o frammentato, diventa materia viva in continua evoluzione. Un corpo e un volto cangianti, femminili, ma non ingabbiati negli stereotipi ?di genere. Plasmabili e allo stesso tempo sempre inconfondibili.

Sono moltissimi e appartengono alle diverse declinazioni delle industrie creative i designer visionari che hanno collaborato con lei, e hanno agito non nella continua messa a fuoco di una serie di personaggi schiavi delle leggi dello spettacolo come nel caso di Lady Gaga, ma come coautori di una identità in transito, ?alla ricerca dell’opera d’arte vivente. Intenso il rapporto ?con Alexander McQueen, conosciuto nel 1997, con cui divideva l’interesse per le relazioni possibili tra natura ?e tecnologia: sua la trasformazione in una geisha techno per la copertina di “Homogenic”. La ricordiamo ancora nella cattedrale di Saint Paul mentre intona “Gloomy Sunday” compressa da rigide ali in uno spettacolare abito piumato dell’amico suicida.

Icone
Björk, al MoMA di New York la mostra evento
3/2/2015
Era naturale che nella “moda al limite” Bjork potesse trovare compagni capaci di seguirla nella progettazione non di un corpo ma di molti corpi. Ci sono Comme des Garçons, Jeremy Scott, Iris van Herpen, solo per fare alcuni nomi. Bernhard Willhelm, designer della scuola di Anversa, arriva a costruirle per ?il progetto “Volta” una specie di involucro colorato dai grandi piedi blu, come quelli ?di un hobbit, dove lei s’infila lasciando apparire solo il volto. Quel suo volto così speciale sintesi di diversi mondi con quegli occhi allungati ?e liquidi, che non ha paura di coprire o stravolgere. Coperto da una sorta di velo/tenda di cristalli neri e lucenti progettata dal turco-cipriota di base a Londra Hussein Chalayan, o ancora chiaroscurato da un copricapo maschera ?di capelli pensata ?dagli M/M Paris, gli art director più interessanti degli ultimi anni, ?per Medúlla.

In questa factory, ?unica e labirintica, ci sono anche i fotografi: ?da Nick Knight a Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin, da Juergen Teller ad Anton Corbijn che insieme a fashion designer, art director e video maker danno forma e immagine a ogni sua prodigiosa avventura. ?Il regista Chris Cunningham nel video del singolo “All is Full of Love” la trasforma ?su sua richiesta in un robot lattiginoso e desiderante memore delle indicazioni del Kamasutra.

Ritratto
Björk, signora dei ghiacci e della musica
3/2/2015
Con Matthew Barney, l’artista americano che racconta le grandi imprese umane impastate di sforzo e disciplina, esso stesso performer della trasformazione, condivide un pezzo di vita. L’ultimo progetto “Vulnicura” mette a nudo il dolore più intimo e crudo, quello della separazione da lui. Un titolo che allude al difficile viaggio verso la cura del vulnus, la ferita, che sulla cover squarcia il petto di Björk. Nel 2005, in “Drawing Restraint 9”, Björk recitava insieme a Barney. Nel film epico e intimo, per il quale Björk aveva realizzato anche le musiche, i due salgono in una baleniera giapponese, nella baia di Nagasaki, dove viene plasmata una gigantesca scultura di vasellina. Abbigliati con abiti della tradizione scintoista Björk e Barney si abbracciano: nella cabina inondata da vasellina inizia la trasformazione. Un bacio consuma le loro labbra, mentre i loro coltelli spappolano la carne. Verso una radicale trasformazione.

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