Gli immigrati italiani negli Stati Uniti e la diabolica razionalità del razzismo

Un libro di Enrico Deaglio indaga su un linciaggio di cinque siciliani negli States nel 1899. Ma parla del nostro rapporto con gli altri, gli immigrati

Una famiglia di immigrati italiani a Ellis Island
E' una notte d'estate dell'ultimo anno del 19esimo secolo, il secolo positivista, periodo degli ingegneri e medici, degli scienziati e dei primi psicologi; un'era in cui l'Occidente era convinto che il Progresso avrebbe instradato l'umanità verso una vita nel segno della razionalità. In testa alla trionfante marcia verso la sconfitta dei pregiudizi risalenti all'epoca buia del Medioevo, c'era il Mondo Nuovo, gli Stati Uniti d'America, un Paese dove il lavoro era ormai quasi tutto meccanizzato, i soldi erano facili e la società era disposta ad accogliere chiunque volesse lavorare sodo.


Un notte di luglio 1899, dunque, nella piccola cittadina di Tallulah, in Luisiana, lo Stato che tutti noi conosciamo per via di New Orleans e di tutto quello che New Orleans rappresenta nel nostro immaginario, a Tallulah dunque (quattro strade, un bar, un emporio, una chiesa) vengono impiccati cinque italiani. Sono immigrati dalla Sicilia, da Cefalù. L'esecuzione non avviene in conseguenza di una regolare condanna a morte; i cinque vengono semplicemente prelevati dalla folla, a ognuno di loro viene messo un cappio sul collo e l'uccisione ha luogo tra gente festante, che beve whisky, ride, canta, si diverte.

La cover del libro di Enrico Deaglio
Tallulah e il linciaggio dei cinque italiani nel lontano 1899 è il punto di partenza di un libro che in realtà parla di tutti noi oggi, dei barconi sul Canale di Sicilia e del nostro quotidiano e in apparenza razionale, anche se talvolta non cosciente, razzismo.
Lo ha scritto Enrico Deaglio, ha come titolo “Storia vera e terribile tra Sicilia e America” e lo ha pubblicato Sellerio editore. Attenzione, i barconi non sono menzionati nel testo, ma l'impianto narrativo porta inevitabilmente a pensare alla stretta attualità e probabilmente questa era l'intenzione dell'autore.

Enrico Deaglio prende a pretesto la vicenda di immigrati assassinati da una folla di persone, uomini che che sapevano benissimo che cosa stessero facendo e perché stessero uccidendo cinque innocenti, per indagare sui meccanismi con cui viene codificato e propagato il razzismo. L'autore si muove come se fosse un detective. Cerca le fonti, interroga le persone che hanno sentito racconti sui fatti accaduti nel 1899, fa ipotesi e mette queste ipotesi al confronto con altre versioni possibili e immaginabili, lavora su indizi e trova sia i colpevoli che la motivazione del delitto. E questa è una parte del libro tutta da leggere e godere (si fa per dire, dato il tema: l'orrore).

L'altra parte è invece il contesto storico e culturale in cui accadono i fatti di Tallulah. Succede dunque questo; dopo la liberazione degli schiavi, gli Stati del Sud sono a corto di forza lavoro nei campi di cotone, dove la fatica è immensa e la meccanizzazione scarsa. Si lavora spaccandosi la schiena, morendo di sete e di insolazione. Si pensa dunque di rimpiazzare gli schiavi neri (i negri li chiama Deaglio, in omaggio al vocabolario di allora e per accrescere il disagio di noi lettori abituati agli eufemismi del politicamente corretto), con gente proveniente dall'Italia meridionale. Gli agenti che reclutano coloro che poi in America verranno chiamati spregiativamente “dagos”, promettono un buon salario, una casa, un pezzo di terra. Arrivati sul luogo i contadini analfabeti scoprono di essere trattati come schiavi: lavoro sotto sorveglianza armata, paga da fame, umiliazioni quotidiane. Ricorda qualcosa dell'Italia dei raccoglitori dei pomodori, oggi?

Alla base di questo trattamento c'è però la complicità dei governanti italiani. Per i piemontesi, unificatori del Paese, i meridionali sono degli esseri umani inferiori, dice Deaglio, gente la cui vita non vale un soldo bucato. La catena delle complicità tocca anche le classi dominanti nel Sud; pure per loro i contadini fanno parte di un'umanità allo stato di sviluppo inferiore. E tutto questo è possibile e sembra razionale perché il razzismo è considerato scienza. Pochi se lo ricordano ma alla fine dell'Ottocento, la classificazione dell'umanità in razze e la gerarchia delle razze erano ritenute dati oggettivi. In quel contesto Deaglio riesce a indicare dei nessi tra le teorie di Cesare Lombroso (per ironia della sorte ebreo e socialista) e l'ideologia e la pratica dei nazisti.

Negli Stati Uniti, specie nel Sud, nel ventennio che va dal 1887 e fino al 1907 vengono linciate quattromila o forse cinquemila persone. Il 90 per cento sono neri. Il linciaggio è una pratica comune, razionale (altro che folle impazzite) e serve all'affermazione della supremazia dei bianchi. Gli italiani, in particolare i meridionali, sono ritenuti vicini dal punto di vista razziale ai neri; ecco perché anche loro vengono linciati, e Deaglio racconta altri casi. Anche il linciaggio di Tallulah non è opera di ubriachi e cialtroni ma un fatto pianificato ed eseguito con una diabolica precisione e a scopi molto razionali.

Zygmunt Bauman nei suoi libri sulla modernità, scritti nel periodo precedente all'interesse per la società liquida, aveva individuato nella razionalità moderna il meccanismo che porta all'esclusione di interi gruppi umani dalla possibilità di vivere, sopravvivere, godere dei diritti. Un'esclusione, motivata sceintificamente, oggettivamente e che in fine dei conti porta alla Shoah. Deaglio illustra questa tesi con un affascinante viaggio in una storia rimossa del Sud degli States.

Impressionante quanto il razzismo possa apparire razionale e quanto il discorso razzista possa apparire del tutto persuasivo. Non è forse vero che i clandestini portano malattie e, in quanto musulmani, costituiscono un potenziale pericolo per la nostra sicurezza? Non è forse evidente che gli italiani devono avere più diritti degli immigrati? E non è vero che il nostro benessere ce lo siamo guadagnati col sudore della nostra fronte e quindi non lo dobbiamo condividere?

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