Compie proprio in queste ore novant'anni, ed è tuttora il pranzo veloce di riferimento per milioni di italiani: al bar, portato da casa o all'autogrill. Il primo tramezzino della storia, morbido e succulento, venne servito nel gennaio del 1926 al caffè Mulassano di Torino.
Si chiamava ancora sandwich quando il poeta e scrittore e Duce mancato Gabriele D'Annunzio, di passaggio nel locale sabaudo, lo addentò ribattezzandolo "tramezzino", folgorato dalla somiglianza coi tramezzi della sua dimora di campagna. Ora: il vate pescarese, al di là di tutto, è stato un grande pubblicitario ante litteram, coniando réclame epocali; nonché un clamoroso pioniere dell'arte di attribuire un nome di successo a un'azienda e a un marchio.
Una tecnica fondamentale quanto il disegno del logo, che adesso viene definita, nel marketing pubblicitario,"Naming". Una questione di aderenza al prodotto, e di efficacia e immediatezza del messaggio sotteso. Rivivesse nel 2016, D'Annunzio fatturerebbe milioni di euro visto che oltre al tramezzino s'inventò tanti altri longevi nomi commerciali: "la Rinascente" (in questo caso si trattò di un "renaming", sulle ceneri dei grandi magazzini Barduzzi), il liquore Aurum, l'amaro Unicum (quanto gli piaceva il latino "imperiale" al poeta-soldato di Fiume), i biscotti Saiwa. Tutte vocali e consonanti intrecciate dall'autore de "Il Piacere". E fu sempre lui a decidere una volta per tutte che l'automobile dovesse essere di segno femminile: "Mio caro Senatore, ritorno in questo momento dal mio campo di Desenzano con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza" scrisse nel 1926 a Giovanni Agnelli.
Non esistono più i D'Annunzio, e nemmeno gli altri scrittori che dopo di lui si cimentarono, in maniera più blanda, col dorato mondo dell'advertisement (da Garcia Marquez a Paolo Coelho, passando per Pessoa); e però ancora oggi la pubblicità è l'anima del commercio e senza creatività terminologica non andrebbe da nessuna parte.
Viviamo in un mondo disseminato di brand, di nomi aziendali che ci suonano familiari come quelli dei nostri parenti stretti o del nostro primo amore, e a volte anche di più. Ma ci siamo mai attardati a chiederci da dove derivasse, per dirne il più noto di tutti, il termine Coca-Cola, e chi ne fu l'artefice? Lo creò, intorno al 1886 e in bella calligrafia, Frank Robinson, contabile del suo inventore ufficiale John Stith Pemberton, andando a fondere la pianta sudamericana della coca e la cola, un estratto della noce di kola.
È variopinta e spesso sorprendente l'origine nominale dei marchi che costellano la nostra vita quotidiana, materiale o immateriale che sia. Ecco qualche esempio.
Google. I due fondatori, Larry Page e Sergey Brin, al tempo studenti dell'Università di Stanford, cercavano un nome che contenesse l'oceanica quantità di informazioni raggiungibili sul web. Scelsero "Googol", plasmato dal nipote del matematico statunitense Edward Kasner nel 1938 per riferirsi al numero rappresentato da 1 seguito da 100 zeri. Al momento della registrazione, ignorando come si scrivesse di preciso, uscì fuori Google. Il giorno dopo se ne accorsero, ma il dominio era già stato registrato.
Facebook. Il nome discende dall'annuario (yearbook in inglese) distribuito dalle università americane agli studenti, è noto. Ma chi lo ideò? Mark Zuckerberg ha sempre sostenuto di essere stato lui, ma Aaron Greenspan ha dichiarato di averla pronunciata prima di chiunque altro la parola magica Facebook.
Twitter. Dal verbo "to tweet" e cioè "cinguettare". Il nome è farina del sacco di Noah Glass: subito dopo il (prodigioso) naming entrò in rotta di collisione con gli altri fondatori.
Amazon. Dal Rio delle Amazzoni, uno dei fiumi più grandi al mondo. Dovrebbe averlo pensato Jeff Bezos in persona.
Spotify. Daniel Ek, il suo deus-ex-machina, ha dichiarato in streaming mondiale: "Spotify non significa niente". Il retroscena è infatti questo: Ek stava parlando da una stanza all'altra col socio Martin Lorentzon e capì male una parola pronunciata dall'amico. Questa parola travisata, però, lo affascinò a tal punto da farne la sua ragione di vita.
Samsung. In coreano il termine Samsung sta per "3 stelle".
Microsoft. Il nome originario era Micro-soft: "microcomputer" più "software". Nel 1976 venne tolto il trattino. Di comune accordo tra Paul Allen e Bill Gates.
Adobe. Il nome sgorga dal ruscello Adobe Creek di Los Altos, California, che scorre proprio alle spalle delle abitazioni di John Warnock e Charles Geschke, i fondatori della società di grafica digitale.
Yahoo! Esclamazione presa in prestito da "I viaggi di Gulliver" di Swift. David Filo e Jerry Yang la scelsero anche perché acronimo di "Yet Another Hierarchical OfficiousOracle" ("ancora un altro oracolo gerarchico ufficioso").
Apple. Perché Steve Jobs lavorò in una piantagione di mele? O perché adorava l'etichetta discografica dei Beatles? E per assurdo,"Apple" fu una scelta di ripiego...
Danone. The name della multinazionale francese è figlio del figlio del fondatore Isaac Carasso: il suo soprannome era Danon.
Wikipedia. Lanciata 15 anni fa da Jimmy Wales e Larry Sanger, fu di quest'ultimo l'idea di un vocabolo-macedonia che inglobasse wiki ed enciclopedia.
Audi. Dal latino "audire" (ascoltare). Quindi, essendo imperativo, "Ascolta!". D'Annunzio ne sarebbe fiero.
Volkswagen. Significa "vettura del popolo".
Kodak. Fine Ottocento. George Eastman la ribattezza così perché "era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi depositati, non significava nulla".
McDonald's. Dal cognome dei fratelli Richard e Maurice McDonald, che inaugurarono un chiosco di hot dog in California nel 1937. Sony. Anche il Sol Levante venera il latino. Parliamo qui di un mix tra la parola latina "sonus", quella inglese "sunny" e l'espressione gergale giapponese "sonny boys".
Virgin. Richard Branson e soci si ritenevano "vergini" nel mondo del business...
Ikea. Acronimo delle iniziali del fondatore e di Elmtaryd e Agunnaryd, la fattoria e il villaggio dove è cresciuto.
Lego. Nel 1934 Ole Kirk Christiansen imbastì un concorso tra i dipendenti per trovare il nome giusto per la sua azienda. Indovinate chi vinse? Lui stesso, dicendo "Lego" ("leg godt", "gioca bene").