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Cultura
luglio, 2017

"Il dominio della tecnica? Inevitabile": a colloquio con Emanuele Severino

robot, robotica
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L’uomo. Le macchine. La filosofia. In un dialogo a ruota libera col filosofo. "L'incremento senza fine della potenza è destinato a diventare lo scopo del Pianeta"

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Il progresso della tecnologia sta cambiando le nostre vite con velocità esponenziale: il mondo in un solo decennio non sembra più lo stesso. I processi di automazione e di digitalizzazione della società ci pongono enormi problemi anche di ordine politico: la trasformazione in atto potrebbe non solo comportare la perdita di posti di lavoro in quantità tale da modificare il significato stesso che il lavoro ha oggi per noi; ma se continueremo a ospitare tecnologia all’interno del nostro corpo con questo passo presto arriveremo a modificare parti che ci caratterizzano come esseri umani, dal cervello al patrimonio genetico. Questa ibridazione confonde la chiarezza che si può avere nell’intendere la contrapposizione tra “artificiale” e “naturale”.

Se da un lato alcuni scienziati temono che l’incremento dell’intelligenza artificiale arriverà presto a creare robot che ci possono soppiantare o sfruttare, d’altro canto ci troviamo anche di fronte alla possibilità di potenziare noi stessi attraverso la tecno-scienza. Se è vero che è difficile prevedere quale futuro e quale tecnologia accompagnerà tra vent’anni le nostre vite, già oggi possiamo cogliere questa linea di tendenza e così comprendere, almeno in parte, le sfide che ci attendono.

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La pizza a casa la portano i robot
14/7/2017
La politica sembra impreparata a governare e anticipare questi scenari: i tempi del progresso e delle applicazioni scientifiche appaiono molto più veloci dei tempi decisionali della politica. Così i soggetti economici che oggi sono in grado di decidere sul futuro del pianeta sono più potenti dei rappresentanti politici dei singoli stati. Tuttavia dobbiamo riconoscere il fatto che non conosciamo altro strumento, se non quello della politica, per tentare di governare i processi di trasformazione in atto.

La tecno-scienza non appare più come un semplice “mezzo” in vista del raggiungimento di un certo “fine”; appare come un vero e proprio “apparato” che tende ad affermarsi secondo una propria logica: è possibile stabilire un limite etico all’incremento tecnico-scientifico? Scenari e mutazioni al centro del pensiero di Emanuele Severino, uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, che da oltre mezzo secolo si interroga sul legame tra la tecnica e l’uomo.

Partiamo dalla riproduzione umana. La tecnologia ha reso possibile avere figli attraverso la “surrogata”, il cosiddetto “utero in affitto”. Tra i molti problemi etici che questa pratica solleva, ci si interroga sul fatto se sia lecito utilizzare e sfruttare una parte del corpo della donna come se fosse una “macchina” incubatrice.
«Per rispondere a domande come questa bisognerebbe indicare a quale “etica” e quindi a quale concetto del “lecito” ci si riferisce. Se un essere umano è trattato come se fosse soltanto una macchina, cioè un mezzo, allora questo trattamento, prima ancora di essere illecito sarebbe una contraddizione. D’altra parte la cultura a cui preme la dignità umana non ritiene illecito trattare l’uomo anche come macchina. Comunque, non si può dare per scontato il significato delle parole-chiave (in questo caso “etica”, “lecito”) e credere di poter capire e rispondere alle questioni che da tale significato dipendono».

Il progresso offre nuove possibilità per procreare. Ritiene, in prospettiva, che la tecnologia che si sta affermando attraverso l’individuo farà venir meno il ruolo stesso della famiglia?
«Sì, se la famiglia dovesse risultare un ostacolo allo sviluppo tecnico (che ormai si presenta inarrestabile); no, se ciò non dovesse risultare. In questo secondo caso, comunque, la famiglia diventerebbe un mezzo di cui la tecnica si serve, cioè diventerebbe una “macchina”. Rimane aperto il problema se in questo secondo caso tale “macchina” sarebbe sostituibile o no».

Alla base di molte paure relative alla tecnologia vi è l’idea che alcune pratiche non siano “naturali”: si tratta di un’antica contrapposizione, quella tra “tecnica” e “natura”. Non potremmo considerare tutto ciò che è possibile, per il fatto stesso che è possibile, anche naturale?
«Da gran tempo vado scrivendo che la cultura del nostro tempo, allontanandosi dai valori della tradizione, chiede appunto perché non si debba fare ciò che si riesce a fare; sicché “naturale” è tutto ciò che si riesce a fare. Ma siamo di fronte a una questione gigantesca, o, anche, a una gigantomachia, perché la tradizione indica i limiti che l’agire umano non può oltrepassare, e li indica in base a un sapere che ritiene di potersi presentare come “Verità” incontrovertibile. La “natura” appartiene a questi limiti. E la natura è stabilita da Dio. Da due secoli la cultura dell’Occidente intende invece mostrare l’inesistenza di tali limiti e di ogni dimensione “naturale” inviolabile. Si pensi ad esempio al declino del “diritto naturale” (che cioè difende quanto spetta a ognuno “per natura”) e alla contrapposta affermazione del “diritto positivo” (cioè posto, imposto dell’uomo in una certa epoca storica)».

Nel commento delle vicende che chiamano in causa temi come l’aborto, l’eutanasia e il testamento biologico, l’opinione pubblica lascia intendere che esista un’idea chiara di che cosa sia la “vita” e cosa sia la “morte”. È possibile identificare dei criteri in grado di delineare i confini della vita umana?
«Anche qui: ciò che tuttora vi è di meno chiaro è che cosa siano “vita” e “morte”. La scienza va certo sempre più affinando i criteri dei confini della vita biologica; ma sono pur sempre criteri ipotetici – “falsificabili”, si dice – come ipotetica è la potenza della tecnica guidata dalla scienza moderna. Anche per la scienza la morte è “la fine” della vita. Finendo, la vita “non è più”. Ma siamo proprio sicuri che si sappia che cosa significa il “non esser più”, e quindi il “non essere” e il “non essere ancora”, e quindi il “non essere”?».

L’idea della vita espressa dal mondo cattolico non sembra sempre compatibile con lo sviluppo tecnico-scientifico: è possibile affermare dei valori contro la tecno-scienza?
«Sino a che non si vede perché quei valori sono impossibili, il mondo cattolico ha tutto il diritto di difenderli. E quel che accade ai valori del mondo cattolico accade anche a quelli delle altre grandi forze che intendono o intendevano trattenere la tecnica al rango di semplice mezzo: socialismo reale, capitalismo, democrazia, islam, Stati, politica, ecc. Il tramonto del cristianesimo è anche il tramonto di quelle forze. Ma va anche detto che quel perché esiste. Esiste, ma si nasconde in ciò che chiamo “sottosuolo filosofico del nostro tempo”. Abitatori di questo sottosuolo sono pensatori come Nietzsche e Gentile e, prima di loro, Leopardi. Un elenco, questo che indubbiamente può sembrare strano. Eppure....».

È possibile pensare a una regolamentazione dello sviluppo tecnologico su scala planetaria?
«Vado mostrando da tempo l’inevitabilità del processo che conduce al dominio della tecnica sulle forze che ancora intendono servirsi di essa. Qui possiamo accennare al processo a cui non si presta mai la dovuta attenzione. Tali forze si combattono, e ognuna, per prevalere, è costretta ad assumere come scopo il potenziamento della frazione dell’apparato tecno-scientifico da essa gestito. Quindi sono costrette a rinunciare ai loro scopi – e quindi a perire. Possono rimanere (prima lo si diceva per la famiglia) come mezzi più o meno sostituibili. L’incremento senza fine della potenza è destinato a diventare lo scopo del Pianeta. Nessuna di quelle forze può avere pertanto la capacità di regolamentare quell’incremento. È esso a regolamentare sé stesso, cioè a espungere tutto ciò che lo ostacola o lo rallenta».

Considera il lavoro un “valore” per l’uomo?
«Ciò che chiamiamo “uomo” è sempre stato inteso come una forza cosciente che organizza mezzi in vista della produzione di scopi. Tale organizzazione è l’essenza del “lavoro”. Senza “lavoro” non esiste ciò che chiamiamo “uomo”. Ma parlando in questo modo abbiamo soltanto sfiorato il problema. Innanzitutto quell’organizzare mezzi, che è l’essenza dell’“uomo”, è l’essenza stessa della tecnica. Per lo più non ci si rende conto che, dato il modo in cui l’uomo è sempre stato concepito, nell’uomo si è sempre visto un essere essenzialmente tecnico. Infatti che cos’è la tecnica se non l’organizzazione di mezzi per produrre scopi? Troppo facili e ingenue le critiche che si rivolgono alla tecnica in nome dell’“uomo”. Ma poi – ed è questione decisiva – l’uomo è proprio ciò che da sempre si ritiene che esso sia?».

Un futuro caratterizzato dal dominio tecnico potrebbe rilanciare una prospettiva politica di matrice marxista?
«No, per il motivo a cui ho accennato a proposito delle forze che per prevalere le une sulle altre sono costrette a rinunciare allo scopo da cui sono definite, e quindi è inevitabile che periscano. La politica è una di queste forze. La politica marxista anche. Dunque anche le democrazie e le dittature. Non sto dicendo che i rapporti sociali – ossia la politica in quanto coincidente con questi rapporti – tramontano: con la dominazione della tecnica tramonta la gestione politica di tali rapporti, quella cioè che ha uno scopo diverso, “ideologico”, dall’incremento indefinito della potenza e che di tale incremento intende servirsi»

Lo sviluppo tecnologico sembra comportare un aumento della disoccupazione. Bill Gates ha avanzato la proposta di tassare i “robot”. La tecnologia eviterà all’uomo di dover lavorare o tenderà solo a sostituirlo?
«L’incremento tecno-scientifico sostituirà l’“uomo” da cui tale incremento è ostacolato, cioè l’uomo che si ispira ai valori della tradizione; e si servirà come mezzo dell’“uomo” che invece favorisce tale incremento. Come ho detto per la famiglia...».

Stiamo accogliendo all’interno del nostro corpo un grado sempre maggiore di tecnologia: gambe, braccia, cuore e altri arti artificiali. Da tempo, la ricerca scientifica spera di riuscire a integrare, estendere e potenziare anche le nostre capacità cerebrali. Crede che a breve ci troveremo a essere dei soggetti “post-umani”? Oltrepasseremo grazie alla tecnica l’homo sapiens?
«Ciò a cui lei accenna non è più fantascienza. Ma il superuomo scientifico non è insipiente. È invece una autentica possibilità che tale superuomo affidi a un apparato tecnico decisionale (la Superintelligenza Artificiale) il compito di risolvere i problemi che si presenteranno – e che saranno problemi relativi ai criteri da adottare per non rallentare la marcia della potenza tecnica».

Non moriremo più se non di morte accidentale? Possiamo dire che lo sviluppo tecnologico mira innanzitutto a sconfiggere la morte naturale?
«Sin dagli inizi l’uomo è volontà. Il demonico e il divino sono le prime forme di potenza con cui la volontà si allea per vivere; la tecnica è l’ultima e più potente forma di questa volontà. Se per Freud la volontà di vivere (Eros) è inseparabile dalla volontà di morte (Thanatos), va però tenuto presente che la volontà di vivere, cioè di creare la vita, è essa stessa, in quanto volontà, distruttiva: deve distruggere tutto ciò che impedisce la vita. Non è un caso che Schumpeter definisca il capitalismo “distruzione creatrice”, ossia creazione di nuove forme di produzione che richiedono la distruzione di quelle vecchie. Ma è la filosofia ad aprire la storia dell’Occidente, portando appunto alla luce il senso radicale del creare e del distruggere: il condurre le cose nell’essere (creazione) e lo strapparle dall’essere (distruzione). D’altra parte la tecnica si fonda sulla scienza, e poiché la scienza riconosce ormai il proprio carattere ipotetico, “falsificabile”, provvisorio, ciò significa che la natura potrebbe ribellarsi da un momento all’altro alle leggi sulle quali si base l’attuale potenza della tecnica. Ipotetica, falsificabile, provvisoria è pertanto la sconfitta tecno- scientifica della stessa morte non accidentale».

Il significato della vita può essere ridotto a una spiegazione scientifica?
«La scienza appartiene al grandioso processo, che innanzitutto ha carattere filosofico, in cui l’uomo va abbandonando il tentativo di raggiungere una “Verità” definitiva intorno al significato della vita. Solitamente si presta ben poca attenzione alla circostanza che la potenza della tecnica è dovuta all’abbandono della “verita?”, ossia di ciò che intende essere il sapere assolutamente incontrovertibile e definitivo che né uomini né dèi, né qualsiasi altra forza hanno potuto, possono o potranno mai smentire, e che nell’antico popolo greco è stato chiamato “filosofia”. La tecno-scienza è potente perché si disinteressa della “verità” così intesa; ma, dicevamo, la sua potenza è ipotetica, provvisoria – e, da ultimo, angosciante. Si tratta comunque di comprendere soprattutto che, dato il modo in cui il pensiero della “Verità” ha compiuto il suo primo passo, la morte della “Verità” è conseguenza inevitabile di questo inizio. Il primo passo è l’evocazione del creare e del distruggere. Ma siamo proprio sicuri che questo passo sia indiscutibile? Quando lo si mette in questione e, con esso, tutto il cammino che ne è seguito, è messa radicalmente in questione anche la morte della “Verità”, che di tale passo è inevitabile conseguenza. Mentre la cultura del nostro tempo parla un’unica lingua che, sia pure in vari modi, esclude ogni “Verità” assoluta, è invece necessario aver cura non già di un ritorno alla “Verità” morta dell’Occidente, ma di un altro senso, inaudito, che alla verità compete dopo la vicenda che l’ha fatta nascere e morire. In questa complessa vicenda è la filosofia, non la scienza, a rivolgersi al senso della vita».

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