Il tenente sadico, il pilota che vorrebbe diventare pazzo, la surrealtà e parecchio divertimento. Su Sky Atlantic convince la serie con George Clooney. Che racconta la guerra. Ma quella di tutti i giorni: in cui chi comanda vince sempre

"Catch 22" ovvero la follia della guerra e l’umanità schiacciata dal potere

Solo il fatto che George Clooney dopo lo stetoscopio di “E.R” torni alla tv per interpretare un tenente maniacalmente ossessionato dalle parate, imbevuto di sadismo e orgoglioso di chiamarsi Scheisskopf (che letteralmente sarebbe “testa di merda”) dà subito l’idea di che razza di gradevole follia sia “Catch 22”, serie in onda su Sky Atlantic tratta dal libro di Joseph Heller in cui si racconta la guerra, in tutta la sua tragica, assurda e ingombrante ottusità.

Guidati da un surrealismo puntuale, con un po’ di Sturmtruppen, un po’ di “M.A.S.H” e un po’ di fratelli sia Coen che Marx, gli episodi semplificano di molto il romanzo di partenza, costellato da andirivieni continui nel tempo e nello spazio e si prendono la libertà dell’ordine cronologico. Il protagonista, Yossarian detto Yo-Yo, dalla bella faccia di Christopher Abbott, ha un obiettivo assolutamente sensato: quello di mollare il prima possibile e cercare di salvarsi la vita. Il sistema che lo circonda e lo governa, al contrario, ne ha un altro, del tutto privo di senso: lasciarlo lì, in divisa, una missione dopo l’altra. E appellarsi all’insanità mentale serve a poco. Perché c’è il Comma 22, secondo il quale se sei pazzo puoi chiedere di non combattere, ma se non vuoi combattere non sei pazzo.

Così, Yo-Yo dopo ogni ordine idiota, dopo ogni incarico portato a compimento per un soffio, dopo ogni vittima lasciata sul campo si incammina, inesorabile, verso la follia. Ambientato nella Seconda guerra mondiale, in realtà il racconto va molto oltre la guerra stessa, sia quella contro Hitler sia quelle che verranno. “Catch 22”, a partire dall’urlo iniziale, descrive l’opposizione tra l’uomo e i suoi superiori, tra chi si deve confrontare con le istituzioni e chi regolarmente riesce a schiacciarti senza un vero perché. Per questo, nonostante faccia ridere e anche parecchio, lascia sempre un senso di claustrofobica oppressione. Anzi. È proprio dalle battute, dalle situazioni comiche che emerge il suo senso del tragico, quello che dipinge il divario incolmabile, in cui solo la stupidità alla fine vince.

Persino il contrasto visivo che accompagna le inquadrature, tra il verde delle campagne italiane, il blu degli spruzzi del mare e quel giallo ocra opprimente che si vive sopra le nuvole nel momento in cui vengono sganciate le bombe racconta meglio di qualsiasi monologo lo scontro filosofico su cui si poggia: quello di un sistema che oppone gli uomini gli uni contro gli altri, semplicemente in base a un potere conferito dall’alto e governato dall’insulsa presunzione di superiorità. Come quando, per dire, si tolgono dei lenzuoli dai balconi.

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