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Cultura
luglio, 2021

Camilleri, Eco, Sciascia: il tempo dell'attesa negli scatti di Lia Pasqualino

Allieva di Letizia Battaglia, moglie di Roberto Andò, la fotografa con le sue immagini immortala grandi artisti e intellettuali. In mostra a Napoli. «Ho sempre cercato di fotografare persone che non si lasciano afferrare del tutto e cercano di proteggere una parte di sé»

Una nuvola di fumo color latte svela in trasparenza la figura di Andrea Camilleri. Viene ritratto durante una pausa delle prove di “Conversazione con Tiresia”, nel 2018, spettacolo da lui scritto e interpretato, in scena al Teatro greco di Siracusa, da molti considerato il suo testamento spirituale. Elegante in maniche di camicia e bretelle, Leonardo Sciascia sta seduto con le mani conserte sul terrazzo della sua casa in provincia di Agrigento. Sullo sfondo un filo dei panni con le mollette appese nella tipica sequenza casuale di chi, ritirando gli indumenti, sa già che dovrà ripetere il gesto. È avvolto in un’atmosfera rarefatta di una rovente estate siciliana di metà degli anni Ottanta.

 

Nessuno dei due grandi scrittori ci guarda. Gli occhi del padre del commissario Montalbano (già cieco al momento dello scatto) sono magicamente velati dal fumo della sua sigaretta, mentre Sciascia quasi abbagliato dal riverbero di un sole che ben si percepisce seppure la foto sia in bianco e nero, ammicca lontano, pensieroso e intenso. Eppure sembra di incrociarli i loro sguardi, sembra di entrare in relazione con la loro dimensione più intima. È la magia dei ritratti sospesi della fotografa palermitana Lia Pasqualino, fino all’11 luglio protagonisti della mostra “Il tempo dell’attesa” al Museo di Capodimonte di Napoli all’interno del programma di Campania Teatro Festival.

 

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Circa cento scatti di grandi dimensioni ripercorrono, per la prima volta, oltre trent’anni di attività di questa artista, nata a Palermo in una famiglia di artisti e intellettuali. La nonna era la grande pittrice Lia Pasqualino Noto, sodale di Renato Guttuso e membro del gruppo dei Quattro. Il padre Antonio, medico e antropologo, uno dei più celebri studiosi di marionette del mondo, ha fondato a Palermo il Museo Internazionale delle marionette, poi diretto dalla madre danese, Janne Vibaek, anche lei antropologa. Diplomata all’Istituto di Patologia del libro di Roma, e quindi restauratrice della carta ha incontrato la sua passione per la camera oscura nel 1986 e da allora non ha più smesso. A farle da maestra una decana come Letizia Battaglia, fotoreporter pluripremiata siciliana come lei, che negli anni Ottanta decise di avviare a Palermo il “laboratorio d’If”. «È stato un periodo entusiasmante, in cui ho finalmente scoperto la cosa che mi piaceva fare», racconta Lia Pasqualino: «Con la macchina fotografica ero a mio agio come mai lo ero stata nella mia vita. Eravamo un gruppo eterogeneo, e Letizia ci portava in giro per Palermo nei quartieri popolari, dallo Zen alla Vucciria, e lì scattavamo seguendo le sue indicazioni. La volta dopo ci vedevamo al laboratorio, dove guardavamo i provini e selezionavamo gli scatti migliori da stampare. Letizia mi ha insegnato un modo esclusivo di vivere la fotografia, e direi anche uno sguardo morale sul mondo. Da allora, era il 1987, non mi sono più separata dalla macchina fotografica». Un legame mai interrotto anche quello tra Lia e Letizia Battaglia che dal prossimo settembre vedrà un nuovo sodalizio grazie alla serie a lei dedicata che il regista Roberto Andò, marito della Pasqualino, inizierà a girare e che vedrà la stessa Lia attiva come fotografa di scena. 

 

A curare la antologica concepita all’interno del programma di Campania Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio, c’è dunque Giovanna Calvenzi. «Vedendo il lavoro di Lia non volevo farne una mostra cronologica, ma volevo per lo spettatore un’immersione totale nella sua capacità di vedere il mondo mescolando la Palermo degli anni Ottanta con quella di oggi», racconta la curatrice. Il risultato è testimoniato anche dalla pubblicazione di un libro catalogo edito Postcart, che oltre agli scatti si compone di interventi di Roberto Andò, Giovanna Calvenzi, Salvatore Silvano Nigro, Lia Pasqualino e Ferdinando Scianna. Un lavoro che restituisce la coerente visione della fotografa nella sua evoluzione temporale.

Sono quasi sempre i set, i dietro le quinte e le pause tra un ciak e un altro le scenografie ideali dei ritratti presenti nella antologica di Napoli. «Non ho nessuna predisposizione a fare teoria sul lavoro che faccio», racconta Pasqualino: «Fotografo artisti, scrittori, registi, fotografi, fotografe, attori, attrici perché fanno parte del mondo in cui vivo, sono gli amici con i quali condivido viaggi, film, cene, o altre occasioni di vita. A posteriori posso dire che ho sempre cercato di fotografare persone che non si lasciano afferrare del tutto, e che cercano di proteggere una parte di sé. Fotografarli è un modo per dare evidenza a questo qualcosa, lasciando una traccia del loro mistero. Mi riconosco molto in quello che diceva Diane Arbus: la fotografia è un segreto che si occupa di un segreto. L’artista, che sia implicato nella pittura, nella musica, nel cinema, o nella scrittura, ha impresso nel volto, e nel modo di guardare gli altri, il segreto della sua arte. Un fotografo può tentare di decifrarlo».


Così, mentre il ritratto di Camilleri avviene durante la una pausa dello spettacolo Tiresia, quello di Roberto Saviano in occasione di seminario tenuto dallo scrittore sui rapporti del crimine organizzato con politica e imprese a Princeton, prestigiosa università americana. Ancora, Nanni Moretti, protagonista di un trittico «nato dall’impossibilità di accontentarsi di un solo scatto, dalla necessità di un tempo che fosse la dilatazione di tre momenti diversi», viene immortalato in una sequenza dei ciak di “Habemus Papam”. Un Francis Coppola inedito e intimo suona la tuba durante le riprese del “Padrino III”, a Palermo. Quasi un’incursione nell’autobiografia del regista che, figlio di direttore d’orchestra e flautista, nipote del compositore Francesco Pennino, per la musica ha da sempre una autentica passione. «Come ben indica il titolo della mostra, l’ingrediente che mette insieme la mia produzione di ritratti è proprio il tempo dell’attesa», aggiunge la fotografa: «Un momento fondamentale e strumentale allo studio dei soggetti e dei rapporti. Nel momento in cui scatto è come se recuperassi questo scorrere temporale indefinito. L’esito del lavoro è possibile a condizione che io non venga percepita dal mio soggetto».

 

Un punto di vista che coincide con quello della curatrice. «Le sue immagini non sono rubate ma attese perché Lia Pasqualino tende a esserci e contemporaneamente a non esserci», aggiunge Giovanna Calvenzi. Difficile per la fotografa avere una preferenza per questa o quella fotografia. Ogni scatto è per lei esito di istinto e razionalità, «come se fossi chiamata a raccontare quel momento preciso sono comunque guidata da un percorso di consapevolezza. Non scatto mai a caso e, malgrado oggi la tecnologia grazie al digitale ci renda disponibile un numero potenzialmente illimitato di prove, pondero la mia scelta del momento. In questo resto fedele ad una precisa idea di fotografia».  Una fotografia a cui comunque resta molto affezionata «è quella che fatto a Leonardo Sciascia. Cronologicamente è anche la prima del corpo dei 100 di questa mostra. Nei primi anni Ottanta, ancora non avevo frequentato il corso di Letizia Battaglia ma già avevo intuito la mia passione per la fotografia, abitavo a Roma e con Roberto lo frequentavamo molto». Era il periodo in cui Sciascia era stato eletto deputato per il Partito radicale. «Ci aveva adottato, ci invitava a pranzo e d’estate, quando tornavamo in Sicilia, lo andavamo a trovare a Racalmuto alla contrada Noce. C’era un terrazzo dietro la casa e qualche volta si andava lì dopo pranzo, a cercare refrigerio e ombra. Ma quel giorno c’era uno scirocco assillante e siamo rimasti un po’ in balia del vento, in silenzio. Con me avevo la mia prima macchina fotografica una Olympus OM-2. L’aveva comprata Roberto durante un viaggio a Hong Kong. Ricordo il momento in cui ho visualizzato lo scatto, ho preso la camera e ho impresso l’immagine. Per anni questa come altre foto sono rimaste nel mio cassetto, quasi fossero una cosa privata».

 

Lia Pasqualino


Accanto ai volti di personaggi celebri, da Umberto Eco a Ferdinando Scianna, da Dacia Maraini a Laura Morante a Jeanne Moreau, la rassegna accosta scatti del quotidiano palermitano, dal quartiere Zen al parco della Favorita, insieme alle immagini all’interno dell’ospedale psichiatrico: lavori che testimoniano l’intenso legame con l’insegnamento di Letizia Battaglia e la sua adesione alla fotografia dell’impegno. Il percorso si completa con le due serie. Un lavoro dedicato ai gemelli e la serie “Proprio come se nulla fosse avvenuto”, realizzata durante le prove di uno spettacolo di Roberto Andò, in cui per la prima volta Lia Pasqualino mette in posa i soggetti come un regista, ritraendoli dietro una finestra.


«Dopo Napoli mi piacerebbe che questa mostra potesse avere un seguito», auspica. Magari nella sua Sicilia «una terra forte, piena di contraddizioni e di stimoli proprio come Napoli. Luoghi dell’anima che chiamano a testimoniare e a raccontare con la fotografia. Adoro Palermo perché ci sono nata e forse oggi, da quando non ci vivo più, la apprezzo maggiormente recuperando con la lente della distanza gli aspetti migliori».

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